Academic freedom: right and responsibility. Libertà ed etica della ricerca

L'editoriale del n. 2/2021 di "Studia patavina", firmato dal direttore Stefano Didonè.

Universa universis patavina libertas (la libertà nell’Università di Padova sia intera e per tutti). La celebre formula che accompagna sin dall’inizio i primi passi della sede patavina, fra le piú antiche al mondo, è inequivocabile. Quantomeno nelle intenzioni. La figura della libertà intesa come “libertà da”, cioè come autonomia e indipendenza da qualsiasi auctoritas che non sia quella accademica è uno dei tratti caratteristici della fondazione delle università moderne. Il tema evoca lo sviluppo di altre implicazioni del concetto di libertà, ad esempio in riferimento all’uguaglianza e alla fraternità, dato il rilievo storico che tali categorie hanno assunto nell’intera vicenda europea moderna. Da questo punto di vista, le celebrazioni dell’Ottocentenario dell’Università di Padova (1222-2022), lungi dall’esaurirsi nell’ambito dei cerimoniali, rappresentano un’occasione opportuna per riflettere – certamente senza ingenue idealizzazioni dell’ambiente universitario – sul tema della libertà di condurre la ricerca scientifica, inseparabile dalla responsabilità che ogni sapere comporta.
Storicamente, la libertà di pensiero e opinione che rivendicava il neonato ateneo patavino era originariamente indirizzata nei confronti della sede universitaria di Bologna, dove l’autorità civile del Comune si confondeva con quella ecclesiastica, esercitando controlli e pressioni sulle corporazioni studentesche. L’appello alla libertà di ricerca si carica di ulteriori significati in epoca moderna, non senza vicende dolorose come il celebre “caso Galileo”, la cui condanna fu riconosciuta esplicitamente come “errore” solo il 31 ottobre 1992 nel celebre discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla Sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze.

Le celebrazioni dell’Ottocentenario dell’Università di Padova (1222-2022), lungi dall’esaurirsi nell’ambito dei cerimoniali, rappresentano un’occasione opportuna per riflettere – certamente senza ingenue idealizzazioni dell’ambiente universitario – sul tema della libertà di condurre la ricerca scientifica, inseparabile dalla responsabilità che ogni sapere comporta.

Attualmente, gli ultimi report dei vari osservatori indipendenti sulle università del mondo segnalano che la difesa della libertà dei ricercatori deve fare i conti con orientamenti e condizionamenti extra-scientifici, a partire dalle possibili ingerenze dei governi. Sono noti in Italia i casi dei ricercatori Regeni e Zaki, ma anche di Li Wenliang, il medico oftalmologo del Wuhan Central Hospital che aveva invitato i suoi colleghi a proteggersi da un nuovo virus per evitare il contagio e che fu convocato dall’ufficio cinese di pubblica sicurezza per firmare una lettera in cui veniva accusato di “diffondere false notizie” e di “disturbare l’ordine pubblico”. Non si tratta, dunque, di un tema da “addetti ai lavori”, ma anche di grande attualità.
Da parte sua, la chiesa riconosce che «in tutti i paesi, le università costituiscono la sede primaria della ricerca scientifica per il progresso delle conoscenze e della società, svolgendo un ruolo determinante per lo sviluppo economico, sociale e culturale, soprattutto in un tempo come il nostro segnato da veloci, costanti e vistosi cambiamenti nel campo delle scienze e delle tecnologie. Anche negli accordi internazionali viene rimarcata la responsabilità centrale dell’università nelle politiche della ricerca e la necessità di coordinarle creando reti di centri specializzati cosí da facilitare, tra l’altro, la mobilità dei ricercatori» (Francesco, Veritatis gaudium, n. 5). L’apprezzamento per la ricerca scientifica nel magistero di papa Francesco diventa motivo per stimolare la nascita di nuovi centri specializzati negli studi ecclesiastici «che approfondiscano il dialogo con i diversi ambiti scientifici» (ibid.).
Al netto di queste dichiarazioni programmatiche, è evidente ai piú che queste intenzioni di ampio respiro devono fare i conti con la realtà. Non solo per le questioni pratiche (il tema dell’omologazione dei crediti all’interno del cosiddetto “processo di Bologna”), ma per non secondarie questioni di ordine teorico, che vale la pena almeno di enunciare: la marginalizzazione culturale del cristianesimo (o “esculturazione”) e della chiesa; il superamento del pregiudizio sull’autenticità del carattere scientifico della ricerca teologica; la fatica di trovare un minimo comune denominatore per l’umano nell’ambito della bioetica. L’ambito universitario, originariamente inteso come luogo di ricerca, d’apprendimento e di insegnamento da parte di coloro che si impegnano nel libero confronto pubblico per raggiungere la verità, necessita di una vera libertà anche rispetto a ogni forma di pregiudizio e discriminazione, compresa quella di natura religiosa. Da questo punto di vista, la vexata quaestio dell’insegnamento accademico della teologia in Italia si configura a tutti gli effetti come un «caso anomalo» (1). Non è questa la sede per affrontare il tema, ma certamente l’evocazione della proverbiale patavina libertas rinvia a una lettura disincantata della storia delle istituzioni.

L’ambito universitario, originariamente inteso come luogo di ricerca, d’apprendimento e di insegnamento da parte di coloro che si impegnano nel libero confronto pubblico per raggiungere la verità, necessita di una vera libertà anche rispetto a ogni forma di pregiudizio e discriminazione, compresa quella di natura religiosa.

In questa cornice si colloca il progetto editoriale che la rivista Studia patavina ha predisposto per l’anno 2022, in concomitanza con le celebrazioni per gli 800 anni dell’Università di Padova. Già questo numero, nella sezione Temi e discussioni ospita un ideale “dialogo sulla giustizia” tra l’Università e la Facoltà, grazie all’intervento di Giuseppe Zaccaria, già rettore dell’ateneo patavino, che propone una felice rivisitazione dantesca dell’ideale della giustizia, e il contributo di Gianfranco Maglio su bene e giustizia in Tommaso d’Aquino. Ma il progetto prevede un confronto ancora piú ampio e sistematico. A partire dal n. 1/2022, i lettori saranno accompagnati in un ideale percorso attorno ai vari temi che l’Ottocentenario porta con sé e che interpellano anche la riflessione della teologia ecclesiale: la memoria dei tanti protagonisti dell’interlocuzione tra università e chiesa, il rapporto epistemologico tra scienze umane e scienze religiose, le declinazioni recenti del macro-tema “scienza e fede” e infine il rapporto tra le università presenti nel territorio e la Facoltà teologica del Triveneto.

Tornando ancora su questo numero, fa il suo esordio la nuova rubrica Agorà, già annunciata nell’editoriale del n. 1/2021. Questa prima uscita ruota attorno ai risvolti economico-sociali dell’ecologia integrale della Laudato si’ e vede protagonisti il vescovo di Treviso Michele Tomasi e Stefano Solari, docente di Economia politica presso l’Università di Padova. Da una parte Tomasi afferma che «nessuna forma di saggezza deve essere trascurata, nemmeno quella religiosa che porta, col linguaggio suo proprio, i frutti di un’esperienza secolare di conoscenza e approfondimento. Questa mi può insegnare che il creato ha un valore in sé, indipendentemente dal fatto che lo si possa trasformare in risorsa o meno (LS 77, 83). Se si guarda alle cose solo attraverso il filtro del prezzo, si crea un appiattimento e si perde il valore della molteplicità degli enti». Dall’altra, ribatte Solari: «nell’ultimo mezzo secolo, il fatto di non considerare l’economia politica una scienza morale ha avuto significative conseguenze sulla cultura occidentale e, successivamente, sulle economie dei paesi emergenti».

Continua, infine, l’approfondimento sulle forme storiche della sinodalità nella chiesa, con la seconda parte dell’interessante Focus, curato da Silvio Ceccon e Cristina Simonelli, dedicato al secondo millennio, che si arresa alle soglie del Vaticano II. In quanto storici, i due curatori ritengono che «una valutazione propriamente storica sul post-Concilio necessiti di altro spazio e ancora di ampi dibattiti per essere costruita. Altrimenti rischia di intrecciarsi e perdersi nell’attualità non ancora decantata, di venire limitata da fonti non ancora disponibili per il ricercatore, di contaminarsi – invece che di entrare in dialogo – con discipline aventi statuti epistemologici diversi. Non si tratta di abdicare al compito proprio dello storico, ma neppure si vuole cavalcare il tema con eccessiva disinvoltura e sull’onda delle mode». Gli stessi, tuttavia, non mancano di segnalare che «la differenza tra quanto accadeva in un sinodo diocesano dell’XI, del XV o del XVIII secolo e quanto è in genere avvenuto nel sinodo dei vescovi dal 1965 in poi non è poi cosí marcata!». Si tratta di contributi che possono offrire certamente materiale per la riflessione in vista della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, prevista per il mese di ottobre del 2022, sul tema: Per una chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione. Il “sinodare” necessita di forme concrete attraverso le quali realizzare effettivamente il “camminare insieme”.

Stefano Didonè
direttore

 

 

(1) Cf. S. Xeres, Il caso anomalo dell’insegnamento accademico della teologia in Italia. Dalla soppressione delle Facoltà universitarie (1873) alla nascita delle Facoltà ecclesiastiche (1968), in Id., Fare teologia in Facoltà. Percorso storico e opzioni teoriche, Glossa, Milano 2018, 25-72.

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