Ascoltare Dio per riscoprirne il volto

Cercatori di Dio? Tra sacro e spiritualità

Si è tenuto venerdì 6 maggio 2011 il convegno annuale della Facoltà Teologica del Triveneto, un’intera giornata di approfondimento sul tema: Cercatori di Dio ? Tra sacro e spiritualità.

Il preside della Facoltà don Andrea Toniolo nel suo saluto di apertura de convegno ha sottolineato il momento particolare in cui la proposta annuale della Facoltà si inserisce: «Alla vigilia della visita di Benedetto XVI nelle nostre terre, e in particolare alla vigilia dell’incontro di Aquileia con i rappresentanti delle Chiese del Nord-Est, chiamate a verificare e a raccontare il cammino di fede e di evangelizzazione che si sta portando avanti. Il convegno vuole essere anche un contributo al cammino delle nostre comunità civili e cristiane, in questo preciso tempo della storia. Il tema della spiritualità non riguarda solo una parte dell’uomo (la vita interiore, l’anima, la preghiera) ma è una finestra che getta luce su tutto l’uomo, sul suo nucleo originario e più profondo, a cui si riferisce tutto l’essere dell’uomo, tutta la sua vita, personale e comunitaria, come pure l’economia, la politica».

 

I lavori si sono aperti con l’introduzione di padre Luciano Bertazzo, vicedirettore del ciclo di licenza della Facoltà, che ha evidenziato i due ambiti tematici del convegno. Da un lato il significato del cercare quale categoria antropologica, espressa con le metafore del “silenzio di Dio”, della “notte”, del “lottare con Dio”; una dimensione che «si muove in un’oscillazione  tra il quaerere dell’esperienza biblica (“cercare il volto di Dio”) e della tradizione patristica (se pensiamo alla forza di questa parola nella riflessione agostiniana, nella sapienza monastica) e le sperimentazioni letterarie ed esistenziali della recherche di proustiana memoria». Dall’altro lato si pone la riflessione «tra l’ambito del sacro e l’ambito della spiritualità, spazi che possono anche incrociarsi ma che non corrispondono necessariamente, anzi spesso sono ambivalenti in una polisemia di significati».

 

L’intervento del filosofo Pietro Barcellona è stato un vero e proprio gemito disperato sulla crisi, una lettura drammatica dell’attualità dove però il dolore – è stato evidenziato – può divenire la fonte massima che consente di guadagnare una visione del mondo che vada oltre lo scientismo oggettivista oggi dilagante e l’ottuso ottimismo tecnologico. Anche nello scenario più nero, comunque, si intravvede un barlume che può salvarci: solo l’amore può guarire le ferite e «solo il messaggio che dai Vengeli ci è stato trasmesso attraverso il racconto della vita di Gesù può costituire un’apertura a una speranza di rinascita oltre l’ultimo livello di disperazione che l’uomo ha sperimentato».

 

Partendo dalla domanda su come e dove cercare Dio, il monaco francese e teologo Ghislain Lafont ha rilevato, innanzitutto, tre nodi critici. “Dio è inutile al mondo scientifico”: «Gli antichi stoici, disattenti al tempo ma attenti all’essere, – ha detto – parlavano di un Logos immanente a tutti i processi della terra e del cielo. Noi oggi, più sensibili al tempo e alla storia, parliamo di evoluzione, anch’essa immanente. In ambedue i casi, non si tratta sempre di un principio tanto cieco quanto potente? Per un Dio non c’è posto». “Dio è irreperibile in filosofia”: «Diciamo – ha spiegato Lafont – che siamo di fonte a un dilemma che sembra non lasciare posto a nessuna scappatoia: o Dio è accessibile alla ragione – e allora è finalmente misurato da essa, ma un Dio misurabile sarebbe ancora Dio? – oppure non lo è – e allora come parlarne, poiché non disponiamo di nessun linguaggio, se non quello della ragione?». “Dio è travisato nella religione”: «Si esalta Dio nella misura secondo la quale si disprezza l’uomo. Si cercano allora dei mezzi per colmare l’abisso esistente tra Lui e noi: sacrifici, offerte, preghiere, come se una nostra auto-afflizione fosse un cammino verso di Lui».

Qual è allora il punto di partenza autentico per un cammino verso Dio? Il teologo francese lo ha individuato nell’ascolto: «All’orecchio attento, all’ascolto profondo risponde il mormorio della Parola divina e, in tale mormorio, Dio c’è. Possiamo dunque individuare i luoghi essenziali nei quali Dio si fa sentire, nei quali l’orecchio spirituale l’ascolta e i sensi spirituali gli rispondono. Sono tre: la liturgia, la Bibbia, la carità fraterna. (…) Questi tre poli sono la base permanente di ogni teologia e, insieme all’esperienza mistica a loro unita, creano il clima spirituale autentico nel quale diventa possibile riscoprire il volto di Dio negli spazi menzionati all’inizio, dove Egli sembra non esserci più: la ragione scientifica, la filosofia, la religione».

 

Nel pomeriggio si sono tenuti quattro laboratori, da cui sono emersi alcuni spunti.

Percorsi spirituali tra Occidente e Oriente (tenuto da François Marie Dermine e Giuseppe Toffanello) ha evidenziato la necessità di rispettare tutti i bisogni di coloro che sono in ricerca e le identità degli altri, senza però trascurare la propria.

Mondo giovanile e domanda di spiritualità (Alessandro Castegnaro e Ivo Seghedoni) ha richiamato l’annuncio come “palestra dell’umano”: questa dev’essere la Chiesa per i giovani, capace di fare pulizia delle immagini che non rendono ragione del Dio narrato da Gesù Cristo (una sorta di “cassonetto teologico”) e anche degli stili di vita sbagliati.

Movimenti e domanda di spiritualità (Aldino Cazzago e Tiziano Civettini) ha posto l’accento sul fatto che la gente ha voglia di comunità e la nuova evangelizzazione deve acquistare un linguaggio nuovo.

Educare a una spiritualità autentica (Daniela Lucangeli e Antonio Bertazzo), infine, ha ribadito che come educatori siamo chiamati a rivedere la nostra idea di Dio, vivendola e trasmettendola come immagine del Dio della gioia.

 

Nella relazione conclusiva della giornata Bruno Secondin, docente della Facoltà Teologica del Triveneto e della Pontificia Università Gregoriana, ha messo in evidenza che «la spiritualità dev’essere una sapienza orientatrice, sorgente esploratrice profetica, coraggiosa, di percorsi da seguire, di orizzonti da abitare. Ha inoltre citato  due esempi carichi di simbologia, tra ferite e feritoie: «Il tracciato della cortina di ferro in Europa è divenuto sentiero ecologico – ha affermato – ma è anche ferita, ricordo di una violenza, cicatrice ancora sanguinante nelle memorie, squarcio nella topografia dell’Europa. Tutti inoltre ricordiamo Giovanni Paolo II al muro del pianto: un uomo stanco, anziano, sorretto dal bastone, un uomo ferito che pone il suo biglietto in quegli interstizi di pietra e apre un altro modo di parlare al Padre, umile come tutti gli altri uomini, icona di qualcosa di misterioso, feritoia di una presenza, di una santità che nei trionfi veniva forse più occultata che rivelata».

 

 

Paola Zampieri

 

 

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