Fede e social network, un terreno da coltivare

COMUNICATO STAMPA 20/2011

Padova, 9 giugno 2011

                              

Fede e social network, un terreno da coltivare

 

Ieri in Facoltà Teologica del Triveneto la conferenza Dire la fede nell’epoca dei social network

 

Castegnaro: i giovani coinvolti in un processo di individuazione del proprio credo

Bourlot: il messaggio efficace è un seme ben curato lanciato in rete

Laurita: abitare, non idolatrare il continente digitale

 

L’esperienza di fede nei giovani, il suo riaffiorare nei linguaggi dei social network e le vie per comunicare il vangelo nel mondo digitale: tre prospettive e tre esperti, un sociologo, un semiologo e un catecheta, si sono confrontati mercoledì 8 giugno 2011 in Facoltà Teologica del Triveneto a Padova, in una conferenza dal titolo Dire la fede nell’epoca dei social network. I new media, i giovani e le parole della fede, organizzata nell’ambito del Festival della comunicazione da Facoltà e Società San Paolo – Centro studi Pauls.

 

Oggi non è più possibile credere in modo ingenuo, ha esordito il sociologo Alessandro Castegnaro, docente della Facoltà Teologica, riprendendo posizioni di Charles Taylor, e ha proseguito: «Oggi la fede è solo una possibilità umana fra le altre. Siamo usciti dalle forme di cristianesimo “di tradizione” e ci stiamo dirigendo verso un cristianesimo “scelto”, un cristianesimo delle religioni in cui l’identità religiosa è frutto di una scelta e di una appropriazione personale; non è quindi qualcosa di ereditato o è un modo di ereditare diverso da quello tradizionale: è l’individuo a decidere quale sarà la sua eredità e il passato è un repertorio di possibilità entro cui scegliere. Un’identità religiosa autentica è una eredità religiosa scelta». Si può quindi parlare di un percorso di esplorazione e, entro certi limiti, di invenzione: «Ciò non vuol dire necessariamente che ognuno va per la sua strada, ma che c’è un processo di individuazione del proprio credo, in dialogo con le religioni. Non c’è fede vissuta dove non c’è personalizzazione della fede». Questa esplorazione, rilevata dalle più recenti indagini sociologiche condotte dall’Osservatorio socio-religioso del Triveneto presieduto dallo stesso Castegnaro, esclude che si possa parlare per i giovani di “tranquilla incredulità” e gli esiti di questa nuova dimensione spirituale sono una differenziazione delle forme del credere e un’ambivalenza nell’esperienza religiosa, oscillante fra l’adesione a forme di religiosità popolare  e inclinazione verso forme innovative. «Sono due, in particolare, le forme interessanti – ha spiegato Castegnaro – il convertito e il pellegrino. Il primo risolve l’ambivalenza fra innovazione   e integrazione in un potenziale annullamento dell’individualità (“io credo perché sento profondamente dentro di me questa cosa – non perché credono i miei padri”). Il pellegrino rappresenta invece una delle forme più individuali della religiosità contemporanea: è colui che non trova perché non ha trovato i canali giusti e perché in un certo senso è solo possibile cercare, in quanto l’oggetto stesso richiede una ricerca infinita. Sono giovani sul crinale, vivono una fase antecedente alla scelta, ora spinge il vento del credere ora il vento del non credere, e anche una condizione permanente di ricerca, che può essere scelta di apertura alla trascendenza, di perenne cammino». Il sociologo ha aggiunto che la contrapposizione fra convertito e pellegrino è anche contrapposizione fra due sistemi di credenze: proposizionali e semiproposizionali, dove le prime si basano su una sola proposizione e sono caratteristiche della fede cristiana, mentre le seconde identificano tante possibilità di espressione di un enunciato e rappresentano i giovani d’oggi. «Oggi il credere non è così fortemente associato a un sistema fisso di credenze, è piuttosto una sorta di possibilismo o probabilismo credente, soprattutto fra i giovani, e forse anche fra gli adulti – ha concluso Castegnaro – Possiamo fare l’ipotesi che ciò svolga una funzione positiva, che sia un modo per esplorare lo spazio religioso, che possa accompagnare chi è in ricerca e che permetta di affrontare dissonanze tra le credenze tradizionali e le nuove acquisizioni della modernità. Dare alle credenze una forma semiproposizionale può essere un modo per tenere aperta la questione e trovare, magari, domani una soluzione».

 

Per capire se e come i giovani al di sotto dei 30 anni parlano del religioso, il Centro studi Paulus della Società San Paolo ha realizzato una ricerca tra i post di Facebook individuando 5 parole che rimandano all’ambito della fede: interiore, fede, spirituale, santo, Dio. Alberto Bourlot, semiologo, docente all’Università Cattolica di Milano e curatore della ricerca  assieme a Walter Lobina, ha presentato i risultati raggiunti dall’indagine, evidenziando alcuni punti essenziali. «Per la parola “Dio” – ha spiegato – ci siamo trovati di fronte a un gran numero di utilizzi che esorbitavano dalla ricerca, soprattutto a causa dell’uso della bestemmia come fenomeno comunicativo on line. Questo ci fa comprendere che nei social network c’è uno stile di comunicazione più diretto, spesso provocatorio, e che comunicare in questo campo vuol dire affrontare queste regole di comunicazione». Altra caratteristica rilevata è legata ai messaggi: «Solo un terzo dei post è uno scritto originale, mentre i due terzi sono formati da messaggi ripresi e rilanciati, talvolta fino a divenire fenomeni “virali”, continuamente passati e ripassati fra gli amici, magari con qualche aggiunta personale, e questo ci dice che il messaggio è un seme lanciato in un campo, che circola a non si sa dove andrà a finire». Infine, la caratteristica  stilistica principale dei messaggi in rete è la brevità: «Non è solo questione di quantità ma anche di qualità, cioè di essenzialità del periodare: circolano di più quelle espressioni che individuano un’idea e la esprimono efficacemente. La virtù comunicativa è data da brevità e semplicità accompagnate dalla cura formale del messaggio».

 

La vita nell’epoca digitale, nell’intreccio delle reti sociali e delle relazioni che permettono di superare le barriere spazio-temporali porta anche alla domanda: la rete e i new media sono solo strumenti? È solo l’utente a usare la tecnologia o anche la tecnologia usa l’utente? Roberto Laurita, catecheta e docente della Facoltà Teologica del Triveneto, ponendo la questione ha evidenziato che lo strumento non è neutro, come dimostra la scoperta della “neuro plasticità”: ogni esperienza che facciamo lascia una traccia nel nostro cervello e questo si adatta continuamente alle circostanze in cui vive. Si usa, quindi, e si è usati. «L’incontro virtuale è chiaramente diverso da quello fisico – ha affermato Laurita – perché manca il corpo, la carne direbbe san Giovanni. Su Facebook si sta insieme ma manca la vicinanza fisica; ci sono maschere per cui gli amici virtuali non sanno se stiamo barando. In gioco allora è la relazione: quella che i social network mi offrono non dà profondità, ricchezza, unicità; a questo tipo di comunicazione manca il contesto intimo, personale. Posso fidarmi di una persona, non di un messaggio». La connessione allora è solo la condizione della relazione, «è relazione potenziale – ha spiegato Laurita – da realizzarsi nell’integrità della relazione diretta, corporea, fisica, come afferma Benedetto XVI nella Verbum Domini: “Tra le nuove forme di comunicazione di massa, un ruolo crescente va riconosciuto oggi a Internet, che costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale e che l’evangelizzazione potrà usufruire della virtualità offerta dai new media per instaurare rapporti significativi solo se si arriverà al contatto personale, che resta insostituibile”». Come evangelizzare, allora? «La rivoluzione digitale – ha concluso – domanda di essere “abitata” non “idolatrata”. Il continente digitale va vissuto con competenza, con apertura di spirito e con la nostra specificità di cristiani che passa attraverso uno stile che si ispira al Vangelo e rinuncia alla forza del volume, all’aggressività dei messaggi, al bombardamento delle immagini».

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