I migranti e noi, una storia da costruire

COMUNICATO STAMPA 35/2014
 
Padova, 26 novembre 2014
 
 
GIORNATA DI STUDIO
25 novembre 2014
 
I migranti e noi, una storia da costruire
 
Europea, femminile, cristiana: è il volto dell’immigrazione oggi, in Italia e nel Nordest. Chiede alle democrazie coesione, integrazione, incontro tra domanda e offerta di lavoro perché ogni persona sia considerata un cittadino.
 
 
Nel giorno in cui papa Francesco ha parlato a Strasburgo alle Istituzioni europee – richiamando l’Europa «a favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto a ridare dignità al lavoro», e ad affrontare insieme la questione migratoria, perché «l’assenza di un sostegno reciproco all’interno dell’Unione europea rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali» – anche la Facoltà teologica del Triveneto poneva l’accento sui temi della migrazione e del lavoro nella giornata di studio promossa dal biennio di specializzazione in teologia pastorale.
 
Ad aprire i lavori è stato chiamato il presidente di Caritas italiana, l’arcivescovo di Trento mons. LUIGI BRESSAN. Il presule ha inquadrato il Nordest come “zona-cerniera” fra nord e sud, est e ovest, come spazio naturale di transito, viaggio, scambio, come terra di movimenti di emigrazione e di immigrazione sostenuti da associazioni e da sacerdoti dediti all’assistenza pastorale, «perché si possa vivere insieme una coesione giusta». Oggi questo territorio ospita il 27-28% degli immigrati in Italia, su una popolazione del 14% per cento della popolazione totale italiana. «Siamo tutti fratelli e sorelle – ha affermato Bressan – e questa è una grande ricchezza ed esperienza culturale per tutti».
 
Il tema delle migrazioni è stato poi letto da due prospettive diverse: sociologica, da parte del prof. MAURIZIO AMBROSINI, e dottrinale-pastorale da mons. Giancarlo Perego.
Il sociologo dell’Università di Milano ha esordito sfatando alcuni luoghi comuni e ridisegnando la mappa delle migrazioni. Innanzitutto ha chiarito che i migranti non provengono dai paesi più poveri del mondo, se non in minima parte (i migranti nel mondo sono circa 215 milioni, pari a circa il 3 per cento della popolazione mondiale; i poveri sono molti di più), perché per migrare occorre disporre di risorse; in molti casi l’emigrazione è una strategia estrema di difesa di uno stile di vita da classe media (provvedere agli studi dei figli o aiutarli a costruirsi una casa). È la speranza di migliorare la proprie condizioni, più che la disperazione, a spingere al viaggio verso un altro paese, che per lo più viene intrapreso con un visto turistico, quindi regolarmente (i migranti [5 milioni in Italia], anche gli irregolari [400 mila], sono molti di più degli sbarcati via mare [100 mila nel 2014]).
Se mancanza di controlli e accoglienza diffusa da parte della chiesa appaiono agli occhi comuni i “responsabili dell’entrata dello straniero”, a ben guardare si scopre invece che Unione europea e sviluppo economico sono vettori di inclusione. I migranti per motivi economici restano nel nostro paese perché trovano lavoro in imprese e famiglie; i richiedenti asilo sono tutelati dall’articolo 10 della nostra Costituzione e dall’Onu, mentre i familiari ricongiunti sono sotto la tutela di convenzioni internazionali e corti di giustizia. «Ciò è un vantaggio anche per l’integrazione sociale – ha sottolineato Ambrosini – perché un giovane sbandato che si mette a fare il padre ritrova una normalità di vita». Oltretutto, ha aggiunto «è un diritto fondamentale sorgivo quello di essere accolti».
La foto scattata dal sociologo ha messo a fuoco alcune caratteristiche dell’immigrazione in Italia: in prevalenza europea (proveniente da Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina), femminile, cristiana (ortodossa). «Con la crisi – ha concluso Ambrosini – è aumentata l’occupazione degli immigrati (dal 6,8% sul totale nel 2008, oggi siamo sopra il 10% e a questi andrebbero aggiunti i lavoratori stagionali e le persone che lavorano nelle famiglie). Ciò significa che degli immigrati continuiamo ad avere bisogno anche in tempo di crisi (pensiamo all’assistenza a domicilio degli italiani – che ha fatto aumentare l’occupazione femminile). Le culture, per fortuna, sono plastiche, flessibili, adattabili al contesto».
 
L’approccio al tema da parte di mons. GIANCARLO PEREGO, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei, è partito da un dato di fatto: il saldo negativo della popolazione lavorativa in Europa nei prossimi vent’anni passerà dal 24% al 27%; nel 2035 il saldo migratorio, secondo l’attuale trend, coprirebbe solo il 25% del fabbisogno dei lavoratori. «Le migrazioni pertanto sono una necessità – ha affermato Perego – e sarà un aspetto fondamentale delle politiche migratorie e lavorative del futuro aiutare a costruire e accompagnare questa emigrazione sul piano lavorativo».
Dopo un excursus sul magistero della chiesa il direttore di Migrantes ha accennato ad alcune cifre significative che dicono la condizione dei migranti in Italia: un lavoratore migrante guadagna il 27% in meno di un collega italiano e il 49% è precario (contro il 29% degli italiani) e svolge un lavoro non qualificato, spesso non adeguato ai propri titoli di studio; per un ricongiungimento familiare sono necessari dai 6 ai 9 anni (il più alto tasso di suicidi dei figli è in Romania e Ucraina, paesi da cui provengono la maggioranza delle “badanti” che lavorano in Italia); su tre immigrati regolari, uno soltanto ha il medico di base; l’85% degli stranieri vive in affitto (86% degli italiani ha casa di proprietà) e paga il 20% in più di un italiano. Sul fronte del welfare, dal 2010 al 2030 in Europa i giovani caleranno del 25% e agli anziani aumenteranno del 29%; in Italia ogni anno 150 mila anziani perdono l’autosufficienza e solo 50 mila potranno essere accolti nelle strutture: come sarà possibile rinunciare alle lavoratrici straniere?
All’evidente ingiustizia di queste situazioni, il presidente della Caritas invita a rispondere con l’integrazione delle persone immigrate e con il favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. «L’ideologia – afferma Perego – ci ha dato delle leggi (prima la Turco-Napolitano e poi la Bossi-Fini) che hanno legato questo incontro ai flussi; in realtà i lavoratori stranieri sono entrati in Italia e continueranno sempre a entrare irregolarmente finché non ci saranno nuove leggi che permetteranno incontro fra domanda e offerta di lavoro. Anche alla luce della dottrina sociale della chiesa – ha concluso – dobbiamo lavorare insieme sul piano sociale, economico e politico perché effettivamente il nostro paese sia una democrazia dove ogni persona, al di là del colore della pelle e del paese da cui proviene, sia considerata un cittadino, ossia una persona importante per la città».
 
 
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