La morte e il morire: oltre il paradigma della rimozione

COMUNICATO STAMPA 28/2014
Padova, 5 settembre 2014
LA MORTE E IL MORIRE
oltre il paradigma della rimozione 
  
I punti di vista sociologico, etico e bioetico, pastorale, medico
nel nuovo focus di Studia patavina
È uscito il nuovo fascicolo di Studia patavina (n. 2/2014), la rivista della Facoltà teologica del Triveneto, che nel focus di apertura affronta il tema La morte e il morire: oltre il paradigma della rimozione secondo i punti di vista sociologico, etico e bioetico, pastorale, medico.
Quanto e come è cambiato il modo di vivere la morte da parte del morente e da parte di chi lo assiste, nelle famiglie e nelle strutture ospedaliere? E come è mutata l’azione pastorale delle chiese nell’attuale modo di affrontare la morte, in una società in cui malattia e morte sono sempre più ospedalizzate mentre si affievolisce la visione di fede tradizionale, che legava il momento del trapasso a pratiche cristiane ben precise quali la confessione, il viatico, l’unzione degli infermi?
Studia patavina articola la riflessione in sei articoli, a partire dall’editoriale di Antonio Da Re, docente di storia della filosofia morale e di bioetica all’Università di Padova, che ha coordinato il lavoro; seguono: Stefano Allievi (La morte declinata al plurale. Tra rimozione ed emozione: smascherare i tabú per ritrovare un senso); Francesca Marin (Vita, salute e autonomia: alcuni aspetti problematici nel dibattito bioetico sul fine vita); Angelo Brusco (La preparazione alla morte, l’accompagnamento pastorale del morente, l’elaborazione del lutto: l’evoluzione delle pratiche pastorali); Valter Giantin (Il morire: la prospettiva medica); Luigi Colusso (Accompagnare nel lutto. Il progetto «Rimanere insieme» dell’Advar di Treviso).
È innegabile che negli ultimi anni si sta guardando alla realtà della morte con modalità nuove e che finalmente se ne parla, pure nello spazio pubblico, sollecitati anche dal dibattito bioetico e dalla progressiva pluralizzazione culturale e religiosa delle nostre società, come evidenzia il sociologo Stefano Allievi (La morte declinata al plurale. Tra rimozione ed emozione: smascherare i tabú per ritrovare un senso). D’altra parte il riappropriarsi del morire, la sua “umanizzazione”, trova forma, specie negli hospice, nell’approccio delle cosiddette cure palliative, come spiega il medico Luigi Colusso (Accompagnare nel lutto. Il progetto «Rimanere insieme» dell’Advar di Treviso). Senza dimenticare che risignificare la morte (e la vita) vuol dire anche dare voce e valore a parole, simbologie, ritualità che hanno necessità di essere costantemente ridefinite, secondo la prospettiva di Angelo Brusco, sacerdote camilliano e docente di counseling pastorale (La preparazione alla morte, l’accompagnamento pastorale del morente, l’elaborazione del lutto: l’evoluzione delle pratiche pastorali).
Di fronte alla fortissima spinta alla “medicalizzazione del morire” il medico geriatra Valter Giantin (Il morire: la prospettiva medica) opportunamente elenca i buoni motivi che inducono a criticare la scorciatoia rappresentata dalla legalizzazione dell’eutanasia ma nel contempo critica quegli eccessi dell’intervento dell’apparato medico-tecnologico che si accaniscono sulla malattia, finendo poi per accanirsi sul malato. Di fronte a ciò appare più che opportuna l’interrogazione di carattere bioetico, come afferma nell’editoriale Antonio Da Re, docente di storia della filosofia morale e di bioetica all’Università di Padova, che ha coordinato il focus: «I problemi bioetici, anche quelli più spinosi, per essere adeguatamente istruiti devono essere preceduti da una interrogazione sul senso della morte e del morire (che è poi anche un’interrogazione sul senso della vita), sul senso del dolore e della sofferenza, sul significato dell’accompagnamento e della cura del morente. Spesso, nell’affrontare le questioni bioetiche, vi è un’eccessiva precipitazione nel voler proporre una soluzione normativa, che tra l’altro è di solito calibrata sui casi più dilemmatici ed estremi e affidata per lo più al diritto. E invece l’ancoraggio alla normalità dell’esperienza, in cui migliaia e migliaia di malati, di parenti, di medici, di infermieri, di volontari, sono direttamente coinvolti giorno per giorno, dovrebbe indurre a coltivare questa interrogazione quotidiana, frutto di riflessività ed empatia, nella quale continuamente ci chiediamo quale sia il senso del nostro vivere e del nostro morire, quali siano i valori e i principi che lo sostengono (senz’altro la tutela della vita e il rispetto della integralità della persona, inclusa l’espressione delle sue volontà), quali le modalità che consentano al meglio di tener conto di diverse istanze morali, tutte meritevoli di riconoscimento».
È quindi importante anche un chiarimento lessicale, come propone la docente di filosofia morale Francesca Marin (Vita, salute e autonomia: alcuni aspetti problematici nel dibattito bioetico sul fine vita), che recuperi distinzioni quali quelle tra uccidere e lasciar morire (killing and letting die) o tra azioni e omissioni. Ancora, va riconosciuta la legittimità di un paziente competente a rinunciare e a rifiutare le cure e nel contempo va valorizzata l’autonomia professionale del medico, chiamato a relazionarsi attivamente con il paziente.
È possibile acquistare il volume 2/2014 (al costo di € 15,00) richiedendolo tramite email astudiapatavina.abbonamenti@fttr.it
Per i giornalisti, copie per recensione possono essere richieste a: ufficiostampa@fttr.it
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