L’altro: ospite, non nemico

Filosofia e teologia a confronto
È stato un dialogo tra filosofia e teologia il terzo appuntamento del ciclo Dove va l’umano?, promosso da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza, giovedì 21 gennaio 2016 a Padova. Elena Pulcini, professoressa di filosofia sociale all’Università di Firenze, e Giuseppe Quaranta, docente di teologia morale fondamentale della Facoltà teologica, sono partiti dai dinamismi che attraversano oggi l’umano e il sociale per offrire una lettura che ha evidenziato alcuni elementi utili alla comprensione dei fenomeni in atto.
 
La filosofa ELENA PULCINI tra le sfide fondamentali macroscopiche del nostro tempo ha scelto di approfondire quella che proviene dall’altro come diverso. «L’altro oggi è lo straniero, una figura senza nome e senza volto – ha spiegato – che viene fra noi per restare, vive nelle nostre città; non si può assimilare né espellere perché la globalizzazione è la scomparsa di un altrove dove prima veniva relegato il diverso». Di fronte all’altro «abbiamo paura della contaminazione: il diverso minaccia le nostre certezze, i nostri privilegi, la nostra identità e diventa il capro espiatorio delle nostre paure. Così l’ospite (hospes) lo trasformiamo in nemico (hostis)». Dall’altra parte si forma il risentimento di chi percepisce il rifiuto, l’umiliazione per la mancanza di riconoscimento e «si formano comunità chiuse, fondamentalismi che sfociano in violenze, guerre, atrocità».
La globalizzazione, in quanto perdita di confini, genera dunque lo spettro della contaminazione, ma apre anche la possibilità di declinare la contaminazione in positivo: apre al contagio, al rapporto con l’alterità e prelude all’ospitalità. «Questa non è semplice rispetto o tolleranza – afferma Pulcini – ma è esporre la propria identità all’alterazione che proviene dal contatto col diverso; e occorre lasciarsi alterare, perché un’identità chiusa può diventare fonte di intolleranza». Certo non manca un momento di disagio, di spaesamento, di inquietudine e ci sono aspetti dell’altro che non siamo disposti ad accettare ma, insiste Pulcini, «solo se siamo disponibili all’alterazione è possibile superare la paura e accogliere la diversità». In questo è fondamentale la capacità di entrare in relazione empatica con l’altro. «L’empatia è il presupposto necessario per il risveglio di motivazioni rimosse dall’egemonia dell’egoismo e dell’utilitarismo della modernità; è la condizione emotiva basilare per il risveglio della generosità, della compassione, della mobilitazione solidale verso l’altro».
In tutto ciò non va sottovalutata la risposta dell’altro, che ha un ruolo nella relazione. «Perché si apra la possibilità di una convivenza sostenibile – conclude Pulcini – c’è almeno un terreno di reciprocità che dobbiamo chiedere all’ospite: il riconoscimento dell’ospitante corrisponde al riconoscimento dell’ospite». Il mutuo riconoscimento dell’altro, allora, converte il risentimento in ira, che è una passione legittima e feconda (pensiamo alla primavera araba): è l’indignazione che nel conflitto riconosce l’altro e chiede di ristabilire un equilibrio senza sfociare nella devastazione, nella distruzione, nella violenza che, invece, l’altro lo vuole eliminare».
 
Alla domanda “dove va il sociale?” il teologo GIUSEPPE QUARANTA ha risposto a partire dal pensiero di Christoph Theobald. «Nell’epoca moderna e post-moderna la forma stessa dell’identità cristiana si è profondamente trasformata – ha spiegato – perché la modernità occidentale rappresenta la matrice culturale e sociale di tutte le relazioni sociali e di tutte le creazioni umane, anche spirituali». Lungi dall’utopia di un nuovo ordine cristiano, «la fede cristiana e la chiesa si trovano “a nudo” nelle attuali società europee in gran parte indifferenti o diversamente religiose».
«Nel contesto delle nostre democrazie, – spiega Quaranta – la fede deve affrontare due sfide: quella dell’agnosticismo politico e quella della responsabilità etico-politica di tutte le forme di vita nei confronti del legame sociale globale della società». La questione fondamentale è dunque «sapere se, nell’orizzonte della modernità, i cristiani possono accettare il carattere enigmatico del legame sociale e il pluralismo delle visioni del mondo perché vi sono obbligati o per intima convinzione». Ciò che tiene unite le nostre società è indeterminabile, cioè enigmatico: «questo spazio si sottrae per definizione a ogni potere che pretenda di impadronirsene e rappresenta la condizione di possibilità della storia sociale oltre che un imperativo rivolto alla società perché decifri se stessa da sé, senza ricorrere ad altri». I cristiani, secondo Theobald, possono accettare per convinzione il carattere enigmatico del legame sociale perché «il cristianesimo – spiega Quaranta – si può comprendere come religione di comunicazione purché rinunci al bisogno di una gnosi che sovrasti le differenze spirituali dell’umanità». Il carattere non determinabile e non controllabile del legame sociale si identifica con lo statuto enigmatico dello Spirito: «La dynamis dello Spirito, biblicamente, è irriducibile alla conoscenza o al pensiero, ma si realizza nell’azione che non cessa di aprire lo spazio e il tempo del corpo sociale a ciò che è diverso, lontano e imprevedibile (il “di più”). La funzione dello Spirito significa la capacità del credente di lasciarsi coinvolgere dalle doglie del parto di un corpo sociale enigmatico quanto il suo stesso legame; al contempo, essa è anche funzione critica, di discernimento e di giudizio». Criterio di discernimento è «la figura di Gesù di Nazareth che, venendo dal logos della croce, implica un rovesciamento e, al contempo, un pensiero sapiente, altro e sobrio, che in realtà è il pensiero di Cristo».
La cristologia si sposta dunque in una prospettiva etica e spinge a riprendere la regola aurea della reciprocità: fai agli altri ciò che vuoi gli altri facciano a te. «Non gnosi – conclude Quaranta – ma azione, quindi una testimonianza ecclesiale e individuale: questo è il modo di abitare il mondo per in cristiano».
 
Paola Zampieri 
Facebooktwitterlinkedinmail