L’etica nel tempo della pluralità

Dialogo e verità, coscienza e volontà, libertà e responsabilità, azione e fondamento, complessità e differenze, identità e felicità, discernimento e amore… sono molte le “parole dell’etica” emerse nel confronto tra Lorenzo Biagi, Paul Renner e Cristiano Bettega nella tavola rotonda che ha concluso il percorso di ricerca condiviso da Facoltà teologica e Fondazione Lanza “Dove va la morale? Bene e male nell’incontro tra le religioni”.

Come pensare l’etica nel tempo della pluralità? È stata questa la domanda al centro della tavola rotonda che il 6 aprile 2017 a Padova ha concluso il ciclo di incontri Dove va la morale? Bene e male nell’incontro tra le religioni >, promosso da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza.
Ascolta le registrazioni degli interventi.

La vita ha la caratteristica della pluralità, della differenza: la pluralità è la legge della terra, per dirla con Hannah Arendt; e il pluralismo, inteso come categoria di interpretazione simbolica, sociale e culturale, e anche morale, del tempo in cui viviamo, è la cifra del nostro tempo – ha esordito Lorenzo Biagi, segretario generale della Fondazione Lanza e docente di Filosofia morale all’Istituto superiore di Scienze religiose di Treviso-Vittorio Veneto. Per l’etica siamo entrati in una prospettiva di complessità, che chiede di tenere assieme prospettive e visioni diverse e richiede discernimento. «Il pluralismo – spiega – può far bene ai processi di maturazione morale nella misura in cui spinge la persona a riappropriarsi del suo essere un “valutatore forte”, capace cioè di scegliere anche ciò che deve desiderare, di andare alla questione ultima di ciò che dà senso». Per abitare la pluralità della condizione umana, secondo Biagi, occorre innanzitutto la capacità di argomentare e l’abilità di persuadere (espressa dal verbo greco parakalein); ci vogliono inoltre convinzioni profonde (la semplice adesione ai valori oggi non basta più); e, prima ancora dei principi, serve una forma di vita (bios praktikos).

«Ma soprattutto – conclude – dobbiamo rifigurare il nostro rapporto tra il dialogo la verità: i dialoganti devono lasciarsi guidare dalla verità, che è fuori di loro e nessuno dei due la possiede».

Da un’etica apodittica, categorica, oggi siamo passati a un’etica che si appella alla coscienza ed è proprio la coscienza la grande sfida su cui deve lavorare un’etica della pluralità, guidata dalla verità. Così ha proseguito il confronto sul tema Paul Renner, vicedirettore dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Bolzano e docente di Teologia delle religioni che ha sottolineato come tante persone oggi vivano un’identità presa a prestito dai media, proposta in modo persuasivo come modello cui conformarsi per sentirsi al passo con i tempi (pensiamo a programmi televisivi quali Il grande fratello o L’isola dei famosi), mentre i grandi tutori della coscienza – la famiglia e la scuola – rischiano di mancare e di cedere il passo all’etica dell’immagine, al narcisismo, alla globalizzazione, al conformismo.

«Dobbiamo depotenziare l’etica fondata sul successo a tutti i costi – ha affermato Renner – e tornare a vedere il volto dell’altro, a sapere qual è il mio posto nel mondo, volerlo e realizzarlo. Libertà è volere profondamente ciò che si fa, e fare ciò che è giusto, buono, nobile, non ciò che conviene. Questo porta alla felicità e noi dobbiamo puntare a un’etica della felicità, che fa rima con responsabilità e porta alla consapevolezza per il bene comune, quindi alla cura dell’uomo e del creato, oggi e per le generazioni a venire».

Il dialogo è inscritto nel dna dell’essere umano e, per il cristiano, il dialogo è un imperativo di fede. «Dio è uno e trino, singolare e plurale, è dialogo in se stesso, eterno e reciproco dialogo d’amore fra Padre, Figlio e Spirito; l’uomo, creato a sua immagine, quanto più entra nella logica del dialogo tanto più assomiglia a Dio. Si genera così un eterno movimento d’amore dato e ricevuto». Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei e docente di Teologia dogmatica allo Studio teologico di Trento e di Bolzano, sottolinea la valenza del dialogo come testimonianza di fede cristiana e afferma: «la sfida è vedere che nel volto di ogni uomo che ho di fronte si riflette l’immagine di Dio». L’immagine biblica della torre di Babele, che letteralmente significa “porta di Dio”, bene rappresenta un programma di vita:

«La pluralità dei linguaggi, simbolo dell’orgoglio dell’uomo che vuole superbamente incontrare Dio, – afferma Bettega – è possibilità di esplorazione di spazi diversi; è invito all’uomo, “vocazione”, a dialogare innanzitutto in se stesso con le componenti che lo costituiscono, desiderio e ragione, per corrispondere con onestà al proprio essere – si tratta di un duro lavoro da fare su se stessi e quindi in fondo una prospettiva etica, un esercizio altissimo della libertà; ed è stimolo ad attraversare la porta, a cercare per incontrare l’altro uomo e l’Altro, l’Assoluto, che è fondamento, traguardo e fine da raggiungere».

 

Paola Zampieri

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