Racconto biblico e lettore: un processo di formazione continua

Giornata di studio - teologia pastorale
L’importanza del lettore nella costruzione del significato di un testo è una scoperta – o una riscoperta – della letteratura moderna. Già san Gregorio affermava che la Scrittura sacra «cresce con i suoi lettori», ma è l’esegesi biblica più recente ad aver trasformato questa affermazione in un metodo di lettura della Bibbia. La questione è stata approfondita nel corso della giornata di studio proposta il 5 novembre 2013 dal Biennio di specializzazione in teologia pastorale della Facoltà teologica del Triveneto, dal titolo (preso a prestito dello scrittore Henry James): L’autore crea i suoi lettori così come crea i suoi personaggi. Il relatore, prof. Jean Louis Ska, gesuita, docente di Esegesi dell’Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico di Roma, ha trattato il tema a partire da quello che è forse il più significativo esempio di “educazione” del lettore: il libro di Giona (leggi la relazione ►).
 
Il Signore impartisce al profeta Giona l’ordine di recarsi a Ninive – città violenta e crudele, che per l’ebreo del tempo rappresentava l’odiato impero assiro, responsabile di conquiste e distruzioni – a riferire che è giunta l’ora del suo giudizio. «Per capire la portata della cosa – ha spiegato Ska – basterebbe sostituire i niniviti, ad esempio, con i capi di Al Qaeda». Giona dovrebbe eseguire con gioia l’ordine di Dio e invece non va a Ninive ma percorre altre strade, e il lettore subito si domanda: perché? E spontaneamente cerca una spiegazione, dato che il testo non offre alcuna motivazione di questo comportamento, che anzi diventa sempre più misterioso. «È senz’altro lo scopo del racconto attivare la partecipazione del lettore, – evidenzia Ska – portarlo nell’intimo del cuore di un personaggio e indagare sui suoi processi mentali». Giona, controvoglia, andrà poi a Ninive a predicarne la distruzione e avrà un grande successo: l’immediata conversione degli abitanti porterà Dio a “pentirsi” del male minacciato e a desistere dal farlo. Ma ancora Giona si arrabbia, e forse il lettore approva: perché perdonare e salvare un popolo talmente malvagio, di cui ancora potremmo dubitare della sincerità del pentimento?
Qui Dio interviene facendo sperimentare al profeta, sulla sua pelle, prima il sollievo che può dare un po’ d’ombra fornita da una pianta di ricino nata spontaneamente e cresciuta in una notte, e poi il dispiacere per la perdita di questa pianta, altrettanto velocemente morta. «Questo legame creato fra Giona e un essere vivente, sia pure una pianta effimera – spiega Ska – porta alla domanda finale, ora concreta e non più astratta, posta da Dio a Giona: “Tu hai pietà del ricino, per il quale non ti sei affaticato (…) e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e [aggiunge con un tocco di ironia, nda] tanta quantità di bestiame?”». Quale fu la risposta di Giona? Non lo sappiamo, perché il libro si chiude senza dircelo e ci lascia questo interrogativo. «Toccherà al lettore – conclude Ska – scrivere la conclusione del racconto, cioè credere alla vita, a un Dio di misericordia che non mette la fredda giustizia matematica al di sopra di altri elementi. E l’ultima domanda da porsi è: chi è Giona? La risposta mi pare assai evidente».
 
Il libro di Giona ha permesso di esemplificare una delle tre tipologie principali dei modi in cui i narratori biblici formano i loro lettori: il racconto con conclusione aperta, dove la risposta spetta, appunto, al lettore che si identifica col personaggio. C’è poi il racconto paradigmatico, in cui il narratore invita il lettore a confrontare il proprio atteggiamento o la propria mentalità con quelli descritti nel racconto o incarnati nei personaggi. Infine, ci sono i racconti che invitano a condividere un’esperienza, a “com-patire”, a “simpatizzare” con un personaggio.
 
Le risposte che il lettore è chiamato a dare ai racconti, infine, sono di tre tipi, secondo la schematizzazione di Wayne Booth ripresa da Ska: intellettuale (imparare cioè una verità sull’umanità, sul destino della persona umana, sul significato o sui misteri dell’universo…); di tipo etico o pratico (esplorare il mondo dei valori, delle qualità umane o della vita…); estetico (apprezzare lo sviluppo dell’intreccio, le qualità letterarie, lo stile, la composizione del testo…). «È anche vero – conclude Ska – che un racconto può combinare diversi aspetti. I grandi racconti, in realtà, interpellano il lettore in diversi modi e sollecitano risposte intellettuali, etiche ed estetiche».
 
 
Paola Zampieri
 
 
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