Radici e ali per una chiesa ”sostenibile”

Tra Vaticano II e modernità, secolarizzazione e inculturazione

Quale volto di chiesa? Da questa domanda è partito il convegno della Facoltà teologica del Triveneto che si è svolto a Padova venerdì 23 marzo 2012, annuale appuntamento accademico e quest’anno anche momento di preparazione al convegno delle chiese del Triveneto in cammino verso Aquileia 2 (13-15 aprile).

 

Dopo i saluti del vice gran cancelliere della Fttr, il vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo, e del preside, prof. Andrea Toniolo, i lavori della mattinata sono entrati nel vivo con la relazione del prof. Livio Tonello, docente Fttr, che ha subito definito la realtà ecclesiale del Triveneto come «un cantiere» dove sono in ristrutturazione, in particolare, i due ambiti dell’iniziazione cristiana e della parrocchia. Nel passaggio, infatti, da un cristianesimo di tradizione a un cristianesimo di elezione, da un contesto cristiano diffuso a un contesto secolarizzato in cui la fede cristiana appare come una tra le varie opzioni e, molte volte, quella più ardua, la forma tradizionale della chiesa ha spiegato Tonello «non appare una risposta esaustiva ai disagi (immigrazione, crisi matrimoniali, carenza del clero, ritrosia verso l’istituzione e le pratiche liturgiche…): la preminenza delle valenze giuridiche e istituzionali ingabbiano la presenza e la vicinanza in risposte non adeguate che creano indifferenza e perdita di appartenenza». Per dare volto a una chiesa “sostenibile” e significativa il cammino passa attraverso tre verbi: abitare, trasmettere, immaginare, che dicono come la proposta cristiana si debba rivolgere, sempre, all’uomo e come la Parola si espliciti e diventi produttrice di senso solo nei concreti mondi vitali.

 

Ma come siamo giunti fino a qui? Le difficoltà del nostro presente sono facilmente spiegabili con l’avanzare dalla secolarizzazione? Il prof. Hervé Legrand, domenicano, docente emerito della Facoltà di Teologia de l’Institut Catholique de Paris, nel suo intervento (Verso un nuovo volto di chiesa. Servire il vangelo, cinquant’anni dopo il Vaticano II, come chiesa inserita nelle società occidentali attuali in via di secolarizzazione) ha affermato che «nella comprensione delle difficoltà attuali della chiesa il ricorso al concetto sociologico di secolarizzazione rappresenta una spiegazione vera e falsa nello stesso tempo, perché troppo generale (…) I processi di secolarizzazione non possono essere affrontati esonerandoci facilmente dalla nostra responsabilità (…). Anziché spiegare le nostre difficoltà, come capita spesso, incolpando la secolarizzazione, non ci guadagneremmo a spiegarle a causa della nostra reticenza a inculturare la vita cristiana in un quadro del tutto nuovo che, senza malevolenza, non dà più lo stesso spazio alla religione?». Anche in Europa, come in Italia e nel Triveneto, tutti i marcatori della civiltà parrocchiale tradizionale sono ormai in rosso e, allo stesso tempo, il bisogno di sacro persiste e conduce a una religione “à la carte”. Perché le nostre chiese, anziché adottare atteggiamenti spesso passivi o difensivi come fanno attualmente, non reagiscono e ritornano protagoniste del loro futuro al servizio del vangelo, andando a cercare il contatto con quell’80-90 per cento della popolazione che non raggiungono più?

Legrand suggerisce alcune strade, a partire dall’ecclesiologia di comunione del concilio Vaticano II. Innanzitutto la rivalorizzazione del popolo di Dio in un clima di cooperazione e dialogo, di partenariato e di inclusione reciproca nella chiesa; la sinodalità; lo sviluppo di uno stile di parola pubblica in consonanza col vangelo; l’uso del dialogo piuttosto che dell’anatema; la capacità di dare risposte diversificate alla domanda di spiritualità dei nostri contemporanei; lo sviluppo di competenze nel campo interreligioso; l’ampliamento dei mezzi di comunicazione e lo sviluppo di nuovi linguaggi per il vangelo; la rivisitazione di alcune forme dell’antropologia cristiana che devono più alla storia che alla teologia. In tutto ciò è necessario tenere conto – sottolinea Legrand «che le condizioni sociali non costituiscono criteri teologici: l’inculturazione non è adattamento al mondo. Un’inculturazione presuppone che la nostra fede tragga beneficio dal mutamento». E conclude, citando Balthasar: «La storia lungi dal dispensarci dallo sforzo creativo, ce lo impone. (…) Per restare fedele a se stessa e alla sua missione, la chiesa deve fare uno sforzo continuo di invenzione creativa».

 

Alla lettura teologica ha fatto seguito una lettura storica (Chiesa e modernità: la risposta cattolica ai mutamenti della società negli ultimi decenni) proposta dal prof. Daniele Menozzi, docente di storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Partendo dallo schema tripolare che  ha caratterizzato, nel corso del Novecento, il rapporto del papato con il mondo moderno (rifiuto della modernità – promozione della modernizzazione – condanna del modernismo), il relatore ha evidenziato alcuni passaggi: «Il Vaticano II recepiva e riconosceva la legittimità  di aspetti fondamentali del moderno, come la libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, e ammetteva effettivi spazi per l’autodeterminazione degli istituti sociali; però affermava anche che l’autonomia non era assoluta ma relativa: toccava infatti all’autorità ecclesiastica, garante ultima di ciò che è autenticamente umano, decidere fino a che punto le scelte individuali e collettive potevano essere lasciate alla libera opzione della coscienza e in quali ambiti la gerarchia avrebbe dovuto intervenire per prescrivere in forma vincolante comportamenti e orientamenti». Il pontificato di Giovanni Paolo II affermò poi che quei principi di libertà, di democrazia, dei diritti umani avevano in realtà la loro radice nel cristianesimo e perciò «alla chiesa, autentica interprete della dottrina cristiana, – spiega Menozzi – spettava il compito di costituire il fondamentale punto di riferimento per una loro pratica corretta». Benedetto XVI ha poi approfondito e allargato questa concezione «ponendo la legge naturale come il fondamentale criterio regolatore, di carattere universale, in quanto valido in ogni tempo e in ogni luogo, per la determinazione delle regole dell’insieme della convivenza civile. (…) Dunque la chiesa, custode e interprete della legge naturale, impressa da Dio nel cuore degli uomini, svolge una funzione non solo utile ma indispensabile all’organizzazione di una comunità ordinata, felice, prospera». Sembra dunque essersi interrotto quel processo di riconsiderazione dello schema tripolare, forse perché quel “balzo in avanti” che l’apertura al moderno doveva garantire non si è verificato.

Menozzi conclude con una domanda: «Non è stata anche la debolezza, l’insufficienza e l’inadeguatezza del rinnovamento proposto dall’aggiornamento conciliare del rapporto della chiesa con la modernità a determinare il ritorno ai moduli che già mezzo secolo fa apparivano incapaci di assicurare un’efficace presenza della chiesa nella storia degli uomini?».

 

I lavori del pomeriggio si sono aperti con l’intervento del sociologo Alessandro Castegnaro, che ha disegnato il quadro delle trasformazioni socio-religiose del Nordest. In un contesto che è sembrato “tenere” più a lungo, rispetto al resto d’Italia, di fronte all’incombere della secolarizzazione, oggi gli elementi di spicco sono: l’individualizzazione, la personalizzazione del credere; il distacco del mondo giovanile dall’universo religioso che la chiesa rappresenta; l’allontanamento dalla pratica religiosa e dal senso di appartenenza alla chiesa da parte delle donne con un più alto livello di scolarizzazione; un atteggiamento critico generale nei confronti della chiesa sentita più come istituzione che comunità; una forte spinta all’autonomia nelle scelte morali.

«Ciò che resta la specificità del Nordest – ha osservato Castegnaro – è il bisogno di un riferimento di chiesa e di religione a cui legare la propria spiritualità individuale. L’orientamento è verso un cattolicesimo “con poca chiesa” ma “non senza chiesa”». E ha proseguito: «Questo nuovo momento della secolarizzazione mette in questione la mediazione ecclesiale, accentua il contrasto tra vita e legge: non poche delle norme del magistero sono disattese perché non se ne capiscono le ragioni. C’è uno iato, un fossato fra coscienza e magistero che riguarda anche una parte rilevante dei cattolici attivi e che si unisce alla divaricazione crescente fra identità religiosa e appartenenza che attraversa il cattolicesimo dall’interno».

 

Il convegno ha poi dato spazio ai laboratori che hanno affrontato tre tematiche cruciali che toccano la chiesa: la sfida educativa (dove è emersa, in particolare, la caratteristica della reciprocità nella relazione dell’educare), la realtà economica (con l’accento sulla fatica di elaborare il rapporto tra fede ed economia), le appartenenze “critiche” (dove la riflessione sulle famiglie ricostituite ha portato a evidenziare il bisogno di accoglienza avvertito dalle persone e la necessità di un cambiamento dell’atteggiamento ecclesiale, da improntare sull’ascolto, l’incontro, il confronto e la ricerca di soluzioni assieme agli interessati).

 

Infine, la relazione del prof. Giampietro Ziviani, ha concluso la giornata raccogliendo e rilanciando alcuni elementi emersi. Innanzitutto lo sprone ai teologi, che hanno «la responsabilità dell’eccedenza pasquale», di trarre cioè dalla notte del sepolcro nuovi elementi di vita e di stimolo per uomini e donne, parroci e operatori pastorali oberati dal carico della vita, delle responsabilità, degli affanni». Per la trasmissione della sapienza umana e della fede – ha proseguito – servono la dimensione del sogno (un sogno condiviso, che leghi le generazioni superando la stanchezza e l’appiattimento della vita spirituale dei “vecchi” e il sovraccarico di speranze a attese riversato sui giovani) e la dimensione del racconto (che racchiude la capacità immaginifica e spinge verso il futuro). «Pensare il futuro significa impegnarsi a incarnare il vangelo con i giovani, le donne, la classe dirigente, aprendosi alla fantasia pastorale. La chiesa vincerà sul terreno dell’umanizzazione, della vita buona, degli stili di vita nuovi. La nuova forma ecclesiale – ha concluso – dovrà essere sostenibile e nascerà dal basso, dai nuclei caldi di vita comune e condivisa: sono questi i “punti di condensazione” della chiesa, che le potranno dare radici e stabilità».

 

Paola Zampieri

 

In allegato le relazioni tenute al convegno, nella stesura non definitiva (© I testi non possono essere riprodotti con alcun mezzo né integralmente né parzialmente. Tutti i diritti di pubblicazione sono di proprietà della Facoltà Teologica del Triveneto).

La versione definitiva sarà pubblicata in ”Studia patavina” numero 2 del 2012, in uscita a settembre.

 

 

 

 

Album fotografico del convegno

 

 

Il servizio di Telechiara (in onda il 9 aprile 2012)

 

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