Giovani alla ricerca di senso nella nuova “terra di mezzo”

Un sociologo, Alessandro Castegnaro, e un teologo, Duilio Albarello, hanno portato il proprio punto di vista sulla situazione dei giovani oggi rispetto al credere e alla ricerca spirituale. Le analisi, condotte con linguaggi diversi, hanno rivelato anche dei punti di convergenza.

Come si pone oggi la questione del credere in un mondo giovanile dove nulla è scontato? «Oggi la domanda sul credere riguarda più il senso che il contenuto del credere; la domanda sulla verità è seconda. La maggioranza dei giovani attuali non comprende la pretesa delle istituzioni religiose di possedere la verità: questa può essere proposta solamente in termini non perentori» afferma il sociologo Alessandro Castegnaro, presidente dell’Osservatorio socio religioso Triveneto, intervenuto il 5 dicembre a Padova, alla giornata di studio Giovani e ricerca spirituale nell’epoca post-secolare, organizzata dal biennio di licenza della Facoltà teologica del Triveneto in collaborazione con l’Istituto S. Antonio dottore. Al punto di vista sociologico si è affiancata la riflessione di taglio teologico portata da Duilio Albarello (Facoltà teologica dell’Italia settentrionale). Ascolta i file audio degli interventi.

Castegnaro: i giovani e la religione in standby

«I giovani chiedono di capire preliminarmente che senso potrebbe avere per loro credere, quali conseguenze potrebbe determinare nella loro vita, in termini sia di benefici da ricevere che di condotte spirituali da assumere – spiga il sociologo –. Le esperienze vitali attraggono assai più dei catechismi e ciò che per i giovani potrebbe avere veramente valore è l’esperienza spirituale: fare esperienza di un rapporto appare più importante che trovare ragioni argomentabili per credere».
Lo specifico dei giovani oggi è costituito da quella che Castegnaro chiama la «fase della religione in standby», uno stato di “moratoria psicosociale” (come la definisce Erikson), che indica come le fasi dell’evoluzione spirituale siano cambiate. «La definizione di sé in rapporto alla dimensione spirituale, più che essere il prodotto di una scelta in senso forte, presa una volta per tutte, assumerà di fatto i contorni di un lungo processo, non lineare, che attraverserà fasi diverse, ora di sospensione, ora di ripresa. Nella consapevolezza, riflessiva e relativizzante, che se l’identità può – non “deve” – essere ancora ritenuta ereditata e ricevuta, le proprie convinzioni religiose, la fede, non potranno che essere basate su una scoperta interiore, se ci sarà».
La definizione di sé sul piano religioso assume cioè un carattere processuale, subisce le più strambe evoluzioni e i più diversi approdi in rapporto alle esperienze vissute. Per molti assumerà i contorni di un’attesa, magari blanda. «Con ciò la questione religiosa non viene rimossa o negata – precisa Castegnaro – ma posta in standby, relegata cioè in una distinta sezione della mente dove rimane sotto vuoto, riattivabile in ogni momento. È questo uno dei motivi per cui i giovani danno spesso l’idea di essere poco interessati alle questioni religiose».

Una nuova “terra di mezzo”

Le stesse forme linguistiche usate – non assertive né negative ma piuttosto condizionali, possibiliste, probabiliste, ipotetiche, indeterminate, esplorative, mobili, provvisorie, personali e, assai spesso, desiderative – denotano i modi di credere e la situazione “di stallo”, più che di incredulità, in cui si trovano i giovani rispetto al credere.
«Con queste modalità linguistiche i giovani ci dicono che il credere non è così sicuramente associato all’idea di certezza come si era soliti pensare – spiega il sociologo – e che alla domanda relativa al credere non si può più rispondere con un sì o con un no (la classica contrapposizione fra credenti convinti e atei incalliti). C’è una “terra di mezzo”, un vasto spazio – che io penso maggioritario – fra le rive del credere e del non credere, in cui si manifestano gradi di convinzione e forme del credere quanto mai differenziate».
Finito il cattolicesimo per inerzia e aumentato relativamente di poco l’ateismo, ad abitare la «nuova terra di mezzo del credere» – ancora tutta da studiare nei suoi dinamismi – sono «i nuovi cercatori spirituali, le spiritualità non di chiesa, i partecipanti occasionali, gli spirituali ma “non religiosi”, quelli che pregano ma non vanno in chiesa, i credenti che si mettono in proprio ecc. Lì possiamo rintracciare quelle multiformi spiritualità con o senza Dio o quasi senza Dio, ma non senza il divino, un divino ancora ricercato, atteso, sperato».

 È questo un prodotto della sensibilità post-secolare, che nasce una volta che si sono prese le distanze sia dalle certezze del teismo tradizionale che dalla grande narrazione della secolarizzazione. «Se c’è stato infatti un distacco dai sistemi di credenza ben definiti, – aggiunge il sociologo – c’è oggi anche una disillusione rispetto all’idea che la secolarizzazione avrebbe portato, fuori dalle “oscure” ombre della religione, a una storia di inarrestabile progresso umano. Nella “nuova terra di mezzo” si manifesta allora in forma appena occultata il dato inatteso di questa nostra epoca: quel bisogno di dare un senso alla vita individuale che proprio la centralità assegnata all’individuo innesca».

L’inquietudine spirituale

L’origine di questi ritorni e di queste nuove domande – al contrario di ciò che solitamente pensiamo – va situata proprio in quei processi di individualizzazione che oggi dominano la formazione dell’uomo. L’inquietudine spirituale, secondo Castegnaro, nasce dalla necessità di comprendere noi stessi quali siamo, soggetti oggi non più descrivibili a partire semplicemente dal contesto esterno, ma inviati a dialogare, a scoprire e a costruire la nostra misteriosa individualità, attraverso un lungo processo interattivo volto a porre in relazione mondo interno e realtà esterna. «Proprio dal momento in cui ci pensiamo come individui almeno parzialmente auto-costruiti – conclude – non possiamo evitare di capire quale mistero noi siamo per noi stessi. Ed è per questo che c’è oggi una spontanea predisposizione allo spirituale».

Albarello: ricerca di senso e proposta cristiana

Con linguaggio diverso, ma con una sostanziale consonanza di vedute, il teologo Duilio Albarello (Facoltà teologica dell’Itala settentrionale) ha portato uno sguardo teologico-culturale sul tema del bisogno di credere e del desiderio di senso dei giovani, delineando come il soggettivismo spirituale si intrecci con la ricerca di senso e si incontri con la proposta cristiana. [Si veda anche l’intervista già pubblicata su questo sito ]
Nel nostro tempo quel “paganesimo di ritorno”, o meglio quel secolarismo culturale che attorno alla metà del Novecento si affacciava soltanto sulla scena, ora non solo si è pienamente realizzato, ma ha anche cominciato a mostrare i segni del suo logoramento. Uno di questi segni più palesi, specie a livello giovanile, è la ricomparsa del “sacro” prevalentemente nella forma del soggettivismo spirituale, ossia del cosiddetto “bricolage” religioso. Si tratta di un fenomeno che va decifrato e che il teologo Albarello contestualizza innanzitutto con l’analisi storico-culturale elaborata da Charles Taylor – da cui coglie come oggi la ricerca spirituale si fa strada nello spazio aperto dalla reciproca fragilizzazione delle visioni del mondo di tipo religioso e non religioso –; e, successivamente, in rapporto al pensiero di Julia Kristeva – evidenziando come la ricerca spirituale si radichi nell’«incredibile bisogno di credere», cifra della dimensione sempre eccedente del bisogno di senso.

Adolescenti tra entusiasmo e disincanto

Alla base dell’atteggiamento dell’inquietudine, e quindi della ricerca spirituale, – spiega Albarello citando Taylor – sta il bisogno di un “senso eccedente”. Intrecciato strettamente con il desiderio di senso, si pone quello che Kristeva definisce l’«incredibile bisogno di credere», ossia una dimensione fondamentale di fiducia, che connota strutturalmente il soggetto umano, in quanto soggetto che parla e agisce: una “necessità antropologica, prereligiosa e prepolitica” che, nella prospettiva della psicoanalisi, affonda le radici nel vissuto profondo del rapporto primario con la madre e con il padre.
«In questa prospettiva – afferma il teologo – l’adolescente è un credente mosso, nella sua ricerca di senso, da una fiducia appassionata per l’assoluto; una fiducia destinata a scontrarsi con l’ambiguità del reale, che la minaccia e la mette addirittura in scacco. La facile oscillazione tra l’entusiasmo/fanatismo e il disincanto/depressione, fino al nichilismo, mette in luce l’esigenza di avviare percorsi formativi, in cui l’adolescente sia accompagnato a gestire il suo bisogno di credere, affinché l’opportunità creativa che esso costituisce sia posta al riparo dal degenerare in minaccia distruttiva».

La “questione vocazionale”

Questa esigenza di equilibrare “l’onnipotenza di esserci e la convinzione di essere”, come sostiene Kristeva, può essere applicata anche alla società occidentale contemporanea, che si presenta attraversata nel suo complesso da un «malessere adolescenziale». E il cristianesimo, in particolare la comunità ecclesiale, come può posizionarsi in questa sfida per la società e per le stesse religioni che l’«incredibile bisogno di credere» porta con sé? Albarello focalizza la «questione vocazionale» come figura pratica di una ricerca spirituale in cui possono incontrarsi il desiderio, la libertà e la fede. E precisa che non si tratta di un tema che riguarda l’appartenenza alla chiesa ma che, prima di tutto, tocca il cammino per diventare se stessi, per attuare in pienezza la propria umanità secondo la promessa di Dio in Cristo.
«L’opzionalizzazione dell’esperienza religiosa – spiega il teologo – implica che non si nasce soggetti dotati di una fede religiosa/cristiana oppure umanisti esclusivi, bensì eventualmente lo si diventa, in base a una scelta personale. Qui la risposta della libertà è chiamata in causa come elemento determinante, che fa la differenza appunto perché la decide». La «scelta vocazionale» diventa allora «l’affidamento creativo dell’uomo a quella promessa singolare da parte di Dio, che interpella e suscita la libertà creaturale». La promessa è un orientamento di fondo, anticipa un orizzonte ma non predetermina il cammino: la nostra storia personale rimane da svolgere nella distensione e nelle peripezie del tempo.

La chiesa e i giovani

Proprio la ricerca vocazionale è uno degli ambiti privilegiati in cui la chiesa è chiamata a delineare il suo compito specifico come «servizio alla fede»: una fede che dà credito a Dio nella misura in cui il rapporto con lui viene riconosciuto come davvero determinante per la propria vita.
Nel contesto attuale, la chiesa è sollecitata a riscoprire e intensificare una forma di presenza capace di attuare «relazioni comunicative segnate dal vangelo, attraverso le quali chiunque lo desideri sia accompagnato e sostenuto a rispondere di fronte al dono di senso e di salvezza, che Cristo offre a chiunque». Per procedere efficacemente in questa direzione, il primo passo, indispensabile, è l’esercizio dell’ascolto dei giovani, delle loro esperienze, attese, disillusioni, risposte, dubbi… Solo così sarà possibile incontrare i giovani in carne e ossa e discernere insieme a loro le strade del vangelo, verso la meta di un’autentica umanizzazione.

Paola Zampieri

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