Il Verbo divenne cultura

Il card. Gianfranco Ravasi, intervenendo al dies academicus della Facoltà teologica del Triveneto, ha parlato di Vangelo e cultura nell’orizzonte dell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di papa Francesco.

La cultura è una nozione rilevante, anzi, decisiva, per la teologia e per la pastorale. È partita da qui la prolusione tenuta a Padova dal card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, per l’inaugurazione del dodicesimo anno accademico della Facoltà teologica del Triveneto, martedì 28 marzo 2017.

Scarica le relazioni:
saluto del gran cancelliere S.E. mons. Francesco Moraglia
relazione sulla vita accademica, di mons. Roberto Tommasi
prolusione di S.Em. card. Gianfranco Ravasi

File mp3 degli interventi

Foto della giornata

 

 

“Vangelo, cultura ed Evangelii gaudium” è l’ambito tematico entro cui il card. Ravasi ha delineato il ruolo della cultura nel suo legare la figura e il messaggio di Gesù Cristo e il programma teologico-pastorale di papa Francesco.
Categoria “fluida” e “democratizzata” negli ultimi decenni, rispetto all’orizzonte intellettuale “alto” abbracciato dal termine coniato nel Settecento tedesco (Kultur), la cultura è oggi segnata anche da una trasversalità di penetrazione in diversi ambiti ed esperienze umane. A essa si lega strettamente la categoria di inculturazione, «connotata a livello teologico come segno di compenetrazione tra cristianesimo e culture in un confronto fecondo». Nell’ambito delle interazioni fra le diverse culture che vengono in contatto fra loro, Ravasi mette innanzitutto a confronto il modello etnocentrico e quello interculturale.

«L’etnocentrismo si esaspera in ambiti politici nazionalistici o religiosi di stampo integralistico, aggrappati fieramente alla convinzione del primato assoluto della propria civiltà – afferma – Questo atteggiamento è riproposto ai nostri giorni sotto la formula dello “scontro di civiltà”. Certo è che, se si adotta questo paradigma, si entra nella spirale della guerra infinita.

Ai nostri giorni tale modello ha fortuna in alcuni ambienti, soprattutto quando si affronta il rapporto tra Occidente e Islam, e può essere adattato a manifesto teorico per giustificare operazioni politico-militari di “prevenzione” o di “esportazione” di valori come la democrazia, mentre in passato avallava interventi di colonizzazione o colonialismo. Esso è però ora incarnato proprio dal fondamentalismo islamico che ha nel cosiddetto Califfato dell’Isis la sua espressione più emblematica».

La prospettiva più corretta invece, sia umanisticamente sia teologicamente, è quella dell’interculturalità.

«L’interculturalità è una categoria dinamica ben differente dalla multiculturalità, che invece è statica, semplice giustapposizione o coesistenza. L’interculturalità si basa sul riconoscimento della diversità come una fioritura necessaria a preziosa della radice comune “adamica”, senza però perdere la propria specificità. Essa si propone l’attenzione, lo studio, il dialogo con civiltà prima ignorate o remote, ma che ora si affacciano prepotentemente su una ribalta culturale finora occupata dall’Occidente (si pensi all’Islam, all’India, alla Cina)».

Questo affacciarsi è favorito dall’attuale globalizzazione e da mezzi di comunicazione capaci di varcare ogni frontiera.

«Si deve dunque proporre un impegno complesso di confronto e di dialogo, di interscambio culturale e spirituale, che potremmo rappresentare – in sede teologica cristiana – proprio attraverso la stessa caratteristica fondamentale della Sacra Scrittura e in particolare del vangelo».

La caratteristica della Rivelazione cristiana è il confronto dinamico con le varie civiltà. Prima di farsi carne in Gesù Cristo – afferma Ravasi – la Parola divina si era fatta linguaggio umano, e fu l’esperienza di osmosi feconda fra cristianesimo e culture a dare origine all’inculturazione del messaggio cristiano in civiltà lontane (si pensi all’opera di Matteo Ricci in terra cinese). «La visione cristiana è profondamente innervata all’interno delle varie società e nella molteplicità delle culture, tanto da costituire una presenza dialogante, spesso imprescindibile».
Con un po’ di libertà – aggiunge Ravasi – potremmo dire che “il Verbo divenne cultura” e questo asserto potrebbe essere considerato la filigrana che regge le pagine dell’Evangelii gaudium.

L’esortazione apostolica di papa Francesco delinea un mondo culturale variegato, caratterizzato da alcuni aspetti negativi che però possono diventare un campo fecondo di nuova evangelizzazione. Ravasi fa emergere dalle pagine del pontefice alcuni modelli culturali più rilevanti: le culture urbane, la cultura mediatica, le culture professionali, scientifiche a accademiche, dove si colloca anche «la funzione della teologia, il suo dialogo interdisciplinare, il suo sforzo per elaborare la credibilità della fede cristiana».

«Oggi abbiamo davanti una raggiera di modelli culturali differenti e spesso coesistenti, retta da un criterio strutturale: la molteplicità. Per questo papa Francesco insiste sulla necessità di sviluppare una “cultura dell’incontro”, di sigillare una specie di “patto culturale” che faccia emergere una diversità riconciliata».

In una società moderna variegata e in costante accelerazione, la chiesa è chiamata a «esprimere la verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua perenne novità». Secolarismo, globalizzazione dell’indifferenza, soggettivismo e relativismo, culture del benessere e dello scarto, assieme a «superficialità, banalità, stereotipi, volgarità si insediano nella piazza pubblica della società e si irradiano innervando il palazzo, le case, le famiglie, le persone, gli stessi credenti» sottolinea Ravasi.
In questo quadro vengono delineate tre opzioni concrete pastorali, fra le molte suggestioni offerte da Evangelii gaudium: la via dell’inculturazione, il percorso del dialogo e la via pulchritudinis.
Papa Francesco è chiaro: «ciò a cui si deve tendere è che la predicazione del Vangelo, espressa con categorie proprie della cultura a cui è annunciato, provochi una sintesi con tale cultura».

«È per questa via “inculturante” – chiosa Ravasi – che si potrebbe scuotere la polvere dell’indifferenza, dissolvere la nebbia della superficialità, ed entrare nell’orizzonte asettico della secolarizzazione con una proposta forte. In sintesi papa Francesco dichiara ripetutamente la necessità di evangelizzare le culture per inculturare il vangelo».

Strettamente conseguente a questo è il secondo percorso proposto, quello del dialogo. Come dice il vocabolo nella sua matrice greca, si tratta dell’intreccio di due logoi, cioè visioni diverse della realtà, con la capacità di scendere in profondità nel discorso: «non un duello, ma un duetto, dove voci anche antitetiche , come un basso e un soprano,coesistono si interpellano, non perdono la loro identità ma creano armonia».

«È per questa via che si crea una comunità nuova dove tutti sono coinvolti in un confronto progettuale, così che il dialogo diventa anima anche della politica, della pastorale, della società; un dialogo che non riguardi solo un ambito intellettuale e sociale superiore ma che sia più corale e generale. Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale».

La via pulchritudinis, infine, richiama a un’estetica teologica che, accanto alle categorie capitali del verum e del bonum, consideri anche il pulchrum, il bello. «In mezzo alle brutture e bruttezze della civiltà contemporanea e alle prove della vita, si esalta anche l’uso delle arti nell’opera evangelizzatrice, il coraggio di trovare nuovi segni e nuovi simboli, una nuova carne, per la trasmissione della Parola».
Ravasi ha concluso la carrellata sul profilo della cultura presentato dall’Evangelii gaudium con una dichiarazione di papa Francesco, che cita nel finale un’affermazione di Giovanni Paolo II in Fides et ratio:

«Ogni popolo è il creatore della propria cultura e il protagonista della propria storia. La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea costantemente, e ogni generazione trasmette alla seguente un complesso di atteggiamenti relativi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve rielaborare di fronte alle proprie sfide. L’essere umano “è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso”».

Paola Zampieri

 

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