Per una teologia in dialogo con le culture

Una teologia che sia in grado di dialogare con la società, con la cultura, con le scienze si costruisce imparando innanzitutto al proprio interno a pensare insieme. Un esercizio che la Facoltà teologica del Triveneto cerca di mettere in atto a partire dai docenti e che coinvolgerà anche gli studenti. Intervista al preside mons. Roberto Tommasi.

In occasione del Dies academicus, che martedì 28 marzo 2017 inaugurerà il dodicesimo anno di vita della Facoltà teologica del Triveneto, il preside mons. Roberto Tommasi parla del cammino che l’istituzione accademica sta compiendo in questi anni in cui papa Francesco chiede alla chiesa – e anche alla teologia – un impegno più deciso a staccarsi dall’autoreferenzialità per essere più efficace nell’annunciare il vangelo nel mondo attuale.
Mons. Roberto Tommasi, partiamo dalla scelta della prolusione per l’anno accademico 2016/2017, affidata al card. Gianfranco Ravasi sul tema “Fede e cultura nell’orizzonte dell’Evangelii gaudium”. Perché questo tema particolare?
«Al termine del convegno nazionale di Firenze (novembre 2015) papa Francesco ha offerto alla chiesa italiana nel suo insieme (laici, religiosi, preti, vescovi) quella che a mio avviso è la più articolata e progettuale riflessione, nella quale affidava un importante mandato: studiare a fondo l’esortazione apostolica postsinodale Evangelii gaudium e farne la bussola per la vita delle comunità cristiane».
È un invito che coinvolge espressamente anche la teologia?
«Certamente. Al n. 133 del testo si legge: “la teologia e in particolare tutta la teologia, non solo la teologia pastorale, in dialogo con le altre scienze ed esperienze umane, riveste una notevole importanza per pensare come far giungere la proposta del vangelo alla varietà dei contesti culturali e dei destinatari”. Il card. Gianfranco Ravasi ci aiuterà a comprendere questo testo e a cogliere i risvolti che oggi riveste il dialogo della teologia con la cultura e le culture. Poi sarà impegno della Facoltà, attraverso la riflessione dei docenti come nel dialogo con gli studenti, tornare a progettare il suo cammino in modo rinnovato, ma anche sulla base di quanto maturato fin qui».
A proposito del percorso compiuto dalla Facoltà in questi anni, quali sono le parole-chiave che oggi lo guidano?
«È difficile sintetizzare un cammino così ricco e complesso, ma direi che innanzitutto, e alla base, c’è un radicarsi progressivo della Facoltà nella sua vocazione teologica e nell’impegno per una teologia che sia in grado di dialogare. Mettere al centro l’impegno della teologia vuol dire mettere al centro lo sforzo di una riflessione su Dio sviluppata nell’ascolto delle sacre Scritture, dell’insegnamento della chiesa, dell’esperienza umana e pensata proprio in rapporto alla vita del mondo e dell’uomo».
Nell’impegno a raggiungere al meglio il proprio fine (che è la definizione di qualità data all’interno del Processo di Bologna in cui anche la Facoltà teologica del Triveneto, tramite la Santa Sede, si colloca), quali sono i passi principali compiuti e da compiere?
«L’impegno per la qualità – monitorato dalla Commissione interna per l’autovalutazione e verificato dall’Avepro – è quello di cercare di sviluppare sempre di più le risorse umane e strutturali e le attività che permettono una crescita qualitativa della ricerca, della proposta formativo-didattica e della capacità di dialogo con le istituzioni e le realtà delle società trivenete. Lavorare per la crescita della qualità in questi anni ha significato, tra le altre cose, anche inserire progressivamente, nella sede di Padova e nelle sedi degli Istituti in rete, dei nuovi docenti stabili, nominati a seguito di un percorso di verifica delle loro pubblicazioni e della qualità didattica del loro insegnamento».
C’è sempre il rischio di restare chiusi nel guscio della propria personale ricerca. Quanto conta la capacità di dialogare fra i docenti?
«Nel lavoro di ricerca c’è una ineludibile dimensione personale, che è necessaria alla riflessione stessa. Oggi tuttavia l’uomo di studio non può essere un isolato. Proprio per la complessità del mondo in cui viviamo, per la pluralità di specializzazioni di saperi e di esperienze di vita, la riflessione, la ricerca e la proposta formativa sono senza dubbio arricchite da una capacità dialogica, dalla capacità di pensare insieme. Del resto, questo è sempre stato un forte elemento incentivante nella storia dei saperi, da quelli filosofici ai teologici agli scientifici».
…uniti in una sorta di “comunità scientifica”?
«A livello nazionale, si sta facendo lo sforzo di creare progetti di ricerca che coinvolgano più docenti delle sedi nel Triveneto della nostra Facoltà e delle altre nove Facoltà teologiche italiane, a partire dai temi della sinodalità e dei 500 anni della Riforma protestante. Sono convinto che saremo in grado di dialogare con le varie istanze presenti nella chiesa e nella società nella misura in cui impareremo a farlo al nostro interno, fra professori e con gli studenti. Ma in questo senso c’è molto lavoro da fare. Questo si collega al fatto che la teologia non è solo un sapere intellettuale – pur essendo questa dimensione riflessiva importantissima – ma anche un sapere che riguarda la vita e appella la vita».
Quale “peso” hanno gli studenti?
«Nei prossimi anni vorremmo dedicare maggiore attenzione alla soggettualità degli studenti, in modo che non siano solo fruitori della proposta culturale e teologica, ma che la loro sensibilità, intuizione, esperienza possa entrare in dialogo pariteticamente, anche se in modo asimmetrico, con la riflessione dei docenti e dell’istituzione. Anche il prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani ci potrà dare occasione per lavorare in questa direzione».
La mappa degli Istituti superiori di Scienze religiose si sta ridisegnando in tutta Italia. La “rete” della Facoltà teologica del Triveneto resta ancora un punto forte, qualificante?
«Il lavoro portato avanti in questi anni dalle Facoltà teologiche italiane – in sinergia con Conferenza episcopale italiana, Conferenze episcopali regionali e Congregazione per l’Educazione cattolica – è stato intrapreso per più motivi. Innanzitutto l’esigenza di qualificare e razionalizzare la proposta presente nel territorio, anche in vista di un possibile riconoscimento dei titoli emessi da parte del Miur. Il passaggio auspicato da 10 a 7 Issr nel Triveneto non impoverisce la rete, direi anzi che è un segno del suo funzionamento».
Può spiegare meglio?
«Non è stato facile individuare la forma e il modo di questa ristrutturazione, ma l’esserci arrivati in modo condiviso, compartecipato all’interno della Facoltà e con l’episcopato, è stato il frutto anche di quella conoscenza e collaborazione che si era sviluppata fra le parti in un decennio di cammino fatto insieme e che si è ulteriormente rafforzata in questo frangente. E credo che l’esigenza degli Istituti rinnovati – i nuovi che sorgono ma anche quelli già esistenti – di accreditarsi con una maggiore qualità dal punto di vista della proposta didattica, dei servizi agli studenti e delle strutture faccia sì che il camminare insieme, il confrontarsi, il saper pensare insieme, lo scambio di docenti e studenti diventi per tutti una risorsa significativa, un’opportunità preziosa».

Paola Zampieri

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