Riforma e riforme nel Nordest: rileggere la complessità

Il secolo della Riforma fu un periodo ricco di fermenti, complesso, che oggi domanda nuove categorie di lettura per scrivere finalmente una storia delle riforme del XVI secolo. I contributi di studio di Giovanni Vian (Università di Venezia) e Riccardo Burigana (Ise San Bernardino).

Venezia, 4 maggio 2017. Con la giornata di studio dal titolo Riforma e riforme nel Nordest, si è concluso il progetto A 500 anni dalla Riforma protestante. Ripensare l’evento, viverlo ecumenicamente promosso da Istituto di studi ecumenici San Bernardino e Facoltà teologica del Triveneto. Sul tema sono intervenuti Giovanni Vian, ordinario di Storia del cristianesimo e delle chiese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e Riccardo Burigana, docente di Storia ecumenica della chiesa all’Ise di Venezia; ha moderato Luciano Bertazzo, ordinario di Storia della chiesa alla Facoltà teologica del Triveneto.

Giovanni Vian: fermenti di Riforma a Venezia 

I fermenti di Riforma nel Veneto e Friuli nel Cinquecento furono legati e diedero continuità e impulso alla corrente dell’umanesimo cristiano veneziano, all’interno di una chiesa cattolica che viveva una stagione di scismi, di degenerazione dei costumi, di decadenza della vita religiosa, ma anche di travagliato potenziamento degli apparati istituzionali, a comporre un quadro segnato da forti tensioni che sarebbero diventate faglie con l’avvio della Riforma.

«Possiamo ritenere “fermenti di riforma” – spiega Vian – il desiderio di vivere più coerentemente la proposta cristiana contenuta nel vangelo; la percezione di una situazione, a questo riguardo, a tal punto deficitaria da richiedere interventi straordinari. Questa prospettiva si concretizzò, sia sul piano dell’analisi sia su quello delle proposte, in aspetti specifici: sacerdozio universale, critica al papato e alla corte di Roma e dunque ricerca di un cristianesimo che elaborasse un rapporto diverso con il potere politico. L’iniziale, prolungata sottovalutazione e incomprensione della portata del luteranesimo da parte di Roma, impegnata sullo scenario politico internazionale contro Carlo V, e il dilagare della Riforma oltre i confini dell’Impero, resero via via più difficile la lotta per il ristabilimento dell’ortodossia cattolica».

La prima presenza protestante a Venezia si ebbe nel 1524; l’anno successivo centinaia di profughi trentino-tirolesi si riversarono nel territorio della Repubblica, diffondendo soprattutto l’evangelismo ispirato a Zwingli, premessa della futura genesi di diversi focolai anabattistici in terra veneta. Iniziative e circoli riformatori furono animati da Gian Pietro Carafa, Pietro Bembo, Gasparo Contarini, Reginald Pole… tutti poi nominati cardinali da papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, e sollecitati, insieme ad altre figure legate a vario titolo ad ambienti riformatori, a mettere a punto un progetto di riforma universale della chiesa in vista della convocazione del concilio. Il disegno di rinnovamento fu però frenato dal prevalere delle figure più orientate alla lotta antiereticale e all’affermazione della visione controriformistica.

«La documentazione del Sant’Uffizio di Venezia restituisce, per gli anni dal 1547 al 1583, un elenco di oltre 700 inquisiti – afferma Vian – sottoposti a persecuzioni e vessazioni, e anche condanne a morte. Nel 1558 fu vietata la stampa di Bibbie e di trattati di argomento biblico in qualsivoglia lingua volgare a una cinquantina di librai di una Venezia che era allora in assoluto il maggior centro di produzione di stampe – e dove, ricordiamolo, nel 1537-1538, era stato stampato il primo Corano in arabo».

Il Sant’Uffizio, motore e strumento principale nella lotta contro l’eresia, «finì, di fatto, per agire al di là delle proprie prerogativa istituzionali di “tribunale delle coscienze” – fa notare Vian – riuscendo via via a proporsi come strumento capace di influire sui rapporti politici tra Roma e gli stati. Il Concilio di Trento stesso finì per sostenere il rafforzamento dell’assolutismo papale, impegnato in una vasta azione antiereticale e nell’estensione del proprio controllo sulla società».
Dal successo della strategia del papato di operare come potere centrale a livello politico dipese il mancato radicamento della Riforma nella penisola, nonostante alcuni significativi fermenti. «È vero che un singolare impasto permise alla Riforma italiana di conquistare consensi tra i membri dei più importanti patriziati urbani (a Lucca, Modena, Napoli, Venezia in particolare) e perfino nella gerarchia ecclesiastica, ma – conclude Vian – ne segnò allo stesso tempo la debolezza teologica e, anche per l’assenza di appoggi politici e per il peso della repressione inquisitoriale nella penisola, ne comportò il fallimento».

Riccardo Burigana: scrivere una storia delle riforme del XVI secolo

Riccardo Burigana ha articolato il suo intervento a partire dal volume di Salvatore Caponetto, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento (Claudiana, 1992) e ha evidenziato il «percorso di storicizzazione di Lutero e di deideologizzazione» che ha condotto cattolici e luterani a commemorare insieme, per la prima volta nella storia, il 500° anniversario dell’inizio della Riforma. Un atto di grande valore ecumenico, sottolineato dalla presenza di papa Francesco a Lund il 31 ottobre 2016.
Nei venticinque anni trascorsi dalla pubblicazione dell’opera di Caponetto, ha affermato Burigana, gli studi sulla Riforma hanno preso una grande vitalità e nel 2017 bisogna accostarsi a questo mondo con nuove categorie.

«Per secoli la complessità del XVI secolo è stata affrontata – osserva Burigana – con le categorie giusto/sbagliato o contro/pro, dando patenti morali, dentro/fuori, fotografando un momento. Oggi è necessario uscire da una modalità di conoscenza ideologica o apologetica – che non ha aiutato a comprendere la complessità di un mondo con tante istanze, talvolta divergenti tra di loro, nel quale noi, nel XXI secolo, siamo ancora immersi – e occorre piuttosto immaginare di scrivere una storia delle riforme del XVI secolo».

La complessità – di tipo politico, di persone e di eventi; ma anche frutto della rielaborazione, di nuove fonti e interpretazioni – appare la cifra con cui raccogliere in un nuovo orizzonte le questioni legate alla Riforma. De-ideologizzare la complessità, sentendola parte di un mondo fermentante che cerca una verità, può essere allora il frutto più maturo per re-incontrarsi in modo ecumenico proprio dentro questa complessità.

Paola Zampieri

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