Si intitola Antropologia, Bibbia, Religioni: un approccio multidisciplinare (ABRAM) ed è frutto di una partnership inedita fra l’Università di Padova e la Facoltà teologica del Triveneto: il corso di perfezionamento, messo a catalogo dall’Ateneo per l’anno accademico 2025/2026, esplorerà la ricchezza culturale biblica e le tradizioni ebraica, cristiana e musulmana, lette con la lente del tema scelto per quest’anno, La pace contesa.
Attraverso un costante dialogo tra relatori provenienti da ambiti diversi delle due realtà accademiche – teologi, filosofi, sociologi, antropologi, psicologi – e appartenenti alle tradizioni delle tre religioni abramitiche, il corso offrirà una prospettiva unica e integrata sulle tematiche antropologiche presenti nel testo biblico e legate al rapporto tra violenza e conflitto (modulo 1), giustizia e perdono (modulo 2), speranza e futuro (modulo 3).
L’obiettivo è fornire strumenti per un giudizio critico sulle questioni culturali contemporanee, con un approccio interdisciplinare finalizzato a formare professionisti capaci di operare con sensibilità culturale in contesi di pluralismo religioso. La proposta si rivolge a insegnanti, educatori, operatori sociali e sociosanitari, mediatori familiari e interculturali, operatori turistici e museali, avvocati, giornalisti e comunicatori. Per informazioni consultare questa pagina. Scarica la brochure. Scarica il programma completo.
Ne abbiamo parlato con il direttore del corso, il professor Simone Grigoletto dell’Università di Padova, con Rolando Covi, docente della Facoltà teologica del Triveneto, che ha partecipato alla realizzazione del corso insieme al direttore, e con Giulio Osto, docente della stessa Facoltà, esperto di questioni interreligiose e che sarà fra i relatori del corso.
Professor Rolando Covi, come è nata l’idea della collaborazione fra Università di Padova e Facoltà teologica?
«Da alcuni anni è in atto una Convenzione tra l’Università degli studi di Padova e la Facoltà teologica del Triveneto, con la possibilità, tra le altre iniziative, di realizzare proposte formative congiunte. È nato così un gruppo di lavoro composto da alcuni docenti del dipartimento Fisppa (Filosofia, antropologia, pedagogia, psicologia applicata) dell’Università di Padova, da alcuni docenti del corso di Licenza della Facoltà teologica, da un docente rappresentante di uno Studio teologico affiliato e dal responsabile di un servizio diocesano per la cultura e la formazione. Il gruppo progetto, a partire dalla condivisione delle reciproche competenze, ha lavorato fin da subito attorno a un’ipotesi di ricerca: la Bibbia è codice culturale di fondo; a partire dalla prospettiva teologico-cristiana, riconosciamo ponti di dialogo con la lettura ebraica e musulmana. Offriamo dunque un luogo di pensiero, che aiuti a interpretare con profondità la complessità del presente, fornendo strumenti adeguati per un dialogo che sia all’altezza della ricchezza della Bibbia».
E che cosa vi ha guidato nella scelta del tema “La pace contesa”?
«Il tema scelto per l’anno accademico 2025-26 ruota attorno alla sfida della pace, perché risulta uno degli ambiti che in questo momento richiedono maggiormente un pensiero approfondito, al di là dei facili slogan. Quali sfide sottende questa scelta? In che senso una lettura della Bibbia può favorire o meno la promozione della pace? Ci sono punti di incontro a partire dal testo biblico per coloro che desiderano realizzare la pace? I binomi attorno a cui ruota lo sviluppo del corso sono espressione di una scelta di metodo sia di ricerca che di insegnamento: il tema viene sviluppato a partire da un continuo dialogo tra polarità tra loro inscindibili, e per questo non immediatamente afferrabili senza un attento ascolto».
Professor Simone Grigoletto, nel modulo 1 si affronterà il binomio “pace e conflitti”. Perché la violenza è un elemento fondamentale della storia umana?
«Crediamo che la domanda sia molto importante e che, per come è posta, sia una domanda da ripensare profondamente. In breve, non è vero che la violenza è un elemento fondamentale per l’esperienza umana. Semmai, ciò che riveste un’importanza fondamentale da un punto di vista antropologico, è l’esperienza del conflitto. Il confronto con ciò che è diverso da te, che la pensa in maniera diversa, che crede in cose diverse e potenzialmente non compatibili con le tue. Questo è l’umano. Ciò che rileviamo è che certamente il conflitto può avere un esito costruttivo, creativo, di convivenza, ma anche, sempre più spesso un esito violento. Ecco che quindi la violenza è solo una delle possibilità per vivere il conflitto. Si tratta di esplorare tutte le altre. Il corso di perfezionamento si vuole occupare proprio di questo: scardinare le false credenze rispetto al tema del conflitto esplorando le alternative alla violenza. E lo vuole fare a partire dal testo biblico».
Professor Giulio Osto, come si rapportano oggi le tradizioni ebraica, cristiana e musulmana con i concetti di violenza e conflitto?
«Quando vengono interpellate le religioni è necessario per prima cosa ricordare ogni volta che sono sempre le persone che si incontrano e il dialogo interreligioso è un’esperienza tra credenti. Pertanto, ogni questione va declinata considerando la grande differenziazione dei milioni di singole persone che appartengono a una esperienza religiosa. La medesima domanda, infatti, può trovare risposte completamente diverse a seconda del contesto nella quale si colloca. Gli ebrei, i musulmani e i cristiani sono assai diversi già tra di loro. Un musulmano egiziano testimonia dei vissuti totalmente differenti da quelli di un musulmano indonesiano, e così via. Quanto alla dimensione della violenza, ad esempio, la memoria di guerre passate o la tragedia di guerre in atto cambia totalmente la cornice di qualsiasi visione. Detto ciò, in tutte e tre le tradizioni religiose la violenza è una dimensione costante nella storia perché connessa al rapporto con il diverso, con l’altro che, quando viene percepito come minaccia, pericolo o ostacolo alla propria identità, suscita anche atteggiamenti violenti. In sintesi, la presenza della violenza è una conferma che ogni esperienza religiosa è esposta a degenerazioni e strumentalizzazioni dall’esterno, da un lato, ma che è sempre in cammino perché imperfetta nella sua forma storica, dall’altro, perché l’autentica esperienza religiosa di ebrei, cristiani e musulmani dovrebbe dare forma a una convivenza pacifica e rispettosa, in coerenza con le proprie dottrine, ma tutto questo è affidato alla libertà e alla responsabilità delle persone».
Professor Grigoletto, nel modulo 2 si approfondiranno “giustizia e perdono”. Esiste un rapporto necessario fra la giustizia e il perdono? E in che modo il nostro approccio alla giustizia prevede un riferimento al perdono?
«La riflessione attorno al concetto di giustizia ci mostra che il perdono non si costituisce come condizione necessaria per la definizione di relazioni giuste a livello comunitario. In altri termini, il “fare giustizia” non prevede il “perdonare”. Proprio questo ci insegnano le più recenti riflessioni sugli approcci alternativi alla giustizia, come il caso della giustizia riparativa, che sempre più trovano spazio nel nostro ordinamento giuridico. In questo, il testo biblico rappresenta una fonte di significato molto fertile. Il perdono, così inteso, non è il frutto di una procedura, di un processo codificato (come spesso è la giustizia), ma si presenta come un risultato a tratti imprevedibile, gratuito (misericordioso si potrebbe dire) e in cui un ruolo di primo piano lo giocano le vittime, coloro che, a vario titolo, vengono danneggiate/i dal conflitto».
Il modulo 3 sarà dedicato a “speranza e futuro”. Oggi, in questo tempo, che cosa ci è concesso sperare?
«È chiaramente una domanda molto ampia di fronte a cui si rischia di vivere l’esperienza dell’impotenza. Dalla prospettiva del nostro corso di perfezionamento possiamo forse ripensare questo interrogativo in questo modo: dopo aver frequentato un percorso formativo di 42 ore come questo, che cosa possiamo sperare che le studentesse e gli studenti si portino a casa? Mi sento di dire che, così facendo, la speranza acquista una certa concretezza e se scorriamo il programma del corso e tutti i nomi prestigiosi di relatrici e relatori che lo animeranno, questa speranza diventa fiducia. Mi sento di poter sperare di riconsegnare un nuovo significato ai concetti di “violenza”, “conflitto”, “giustizia”, “perdono”, “speranza” e “futuro”. Un significato potenzialmente diverso, sfidante e contrastante rispetto a quello iniziale. Mi sento di poter sperare che tale rivoluzione concettuale avvenga proprio grazie al testo biblico inteso come strumento culturale ancor prima che religioso».
Professor Osto, resilienza, speranza, pace fra i popoli: qual è la visione nelle tre religioni abramitiche?
«Ogni esperienza religiosa custodisce la volontà di trasformare la realtà in tutti i suoi aspetti; pertanto, la capacità di reagire a situazioni difficili e l’orizzonte di azione fiduciosa, espressi dai concetti di resilienza e speranza, costituiscono delle dimensioni centrali. Il messaggio di unità tra i popoli, di riconciliazione e pace è presente in modo ampio nei documenti fondativi e nelle prassi di ebrei, cristiani e musulmani. In particolare, un elemento comune è la prospettiva escatologica. Il tempo della storia è in cammino verso una meta connotata proprio dalla pace, dalla “felicità”, potremmo dire con una parola un po’ logorata. Proprio tale orizzonte aperto sul tempo costituisce la riserva di senso più incisiva e generativa che le tre religioni custodiscono. La speranza così diviene un pungolo, un cuneo che fa breccia in ogni ideologia e prassi che chiude e imprigiona l’esperienza dentro confini che escludono esiti diversi e inaspettati».
Paola Zampieri