Memorie dalla Thailandia: un’estate da visiting professor

Don Lorenzo Voltolin, docente della Facoltà teologica del Triveneto, è stato per due mesi visiting professor al Saengtham College University di Bangkok, nell’ambito del protocollo di scambio attivo tra la Facoltà del Triveneto e la realtà accademica thailandese. Il racconto della sua esperienza.

Don Lorenzo Voltolin, 50 anni, docente della Facoltà teologica del Triveneto, è stato per due mesi visiting professor al Saengtham College University di Bangkok, nell’ambito del protocollo di scambio attivo tra la Facoltà del Triveneto e la realtà accademica thailandese. Di seguito il racconto della sua esperienza.

«Dall’Italia a Bangkok sono dodici ore di volo che ti introducono in un mondo nuovo, dove la fede – non solo e non tanto quella cristiana – si fa presenza pubblica, intensa e profondamente intrecciata con le sfide della vita quotidiana». Questa riflessione, che mi sono ritrovato spesso a condividere, sintetizza bene il segno che la Thailandia ha lasciato in me. Sono partito per insegnare, ma quel viaggio si è rivelato molto di più: un’occasione viva di scoperta e di incontro con una “chiesa giovane”, aperta e sorprendente.

Un’accoglienza calorosa dal profumo di riso e cocco

Alla fine di giugno sono approdato al seminario Lux Mundi, alle porte di Bangkok, accolto da una comunità vibrante e dal calore autentico dei seminaristi. Le giornate scorrevano rapide tra il canto delle prime luci dell’alba, la preghiera corale, la messa, e poi le lezioni di teologia pastorale e missiologia che tenevo all’università attigua, Saeng Tham College. Ma la vera scuola era fuori dall’aula: tra un pranzo a base di zuppa di pesce e papaya dai mille sapori, una cena conviviale attorno a lunghi tavoli, e i pomeriggi tra studio, sport, lavori nell’orto e attività manuali condivise.

Quali tratti distinguevano la formazione teologica? Praticità, comunità, giovinezza

Mi chiedo spesso cosa rendesse unica la formazione teologica qui. La risposta va cercata nei volti e nei gesti dei seminaristi e dei formatori: un continuo intreccio tra studio e vita vissuta. Le giornate sono ritmate dalla preghiera e dalla laboriosità condivisa, tra letture, sport, lavori di gruppo e momenti di riflessione. Si cresce, si impara, si cammina sempre insieme: la fede si respira in un clima di relazione autentica, molto più che nei soli manuali.
Durante le mie lezioni, che adattavo per superare le barriere linguistiche, ho sempre portato anche esempi dalla pastorale italiana: fraternità, gruppi di ascolto, attenzione alle famiglie, evangelizzazione nei luoghi informali, scoutismo… Molte di queste esperienze sono per loro quasi un racconto di fantascienza. Loro mi raccontavano, invece, di una pastorale quotidiana fatta di visite agli ammalati e cori animati, piccoli gruppi parrocchiali e servizi caritativi. Ma la vitalità era lì, concreta: a cena, a turno, i seminaristi narravano le esperienze pastorali della settimana, intrecciando episodi e speranze. Vederli protagonisti mi ha restituito lo sguardo fresco di una Chiesa in movimento.

Prospettive per il futuro: pastori flessibili e azione sociale

La formazione in seminario e al college prepara giovani resilienti, capaci di attraversare realtà culturali e tribali tra loro diversissime. Molti hanno già vissuto il seminario minore, affacciandosi così a una crescita integrale che unisce teoria, praticità, lavoro e attenzione sociale. Dopo gli anni di formazione – molti più che in Italia – li aspetta il servizio in parrocchia, ma anche l’impegno nella scuola, nel sociale, nelle molteplici iniziative diocesane. Ho percepito una vocazione che trova nella concretezza quotidiana il suo respiro più autentico.

Il ruolo dei laici: motore silenzioso della comunità

Benché il peso strutturale dei laici sia decisivo soprattutto nella missione nei villaggi, esso appare meno marcato che in Italia: qui vige ancora una concezione di gerarchia – sociale ed ecclesiale – molto piramidale. Catechisti, animatori, guide di comunità arricchiscono la dinamica ecclesiale con genuino entusiasmo: l’ho percepito nei momenti conviviali delle feste nazionali, nelle attività pastorali in parrocchia, nelle serate di incontro e preghiera condivise.

Chiesa di minoranza, ma dal volto aperto e internazionale

La Chiesa cattolica, qui, rappresenta una piccola minoranza – meno dell’1 per cento della popolazione –, eppure ho trovato uno spirito di accoglienza e di dialogo unici. Il confronto con il buddhismo, pilastro della società, non avviene mai con aggressività, bensì mediante relazioni di stima, ascolto e paziente testimonianza. Convertirsi al cattolicesimo, per un thailandese, significa spesso recidere antiche radici; ma la presenza dei missionari, alcuni in Thailandia da decenni, è un ponte silenzioso e prezioso verso l’incontro tra mondi e tradizioni.

Ricordi dal nord: Chiang Mai, i missionari e il profumo di caffè

Tra i capitoli più intensi di quest’estate, porto con me il soggiorno al nord, nella diocesi di Chiang Mai, con i missionari originari del Triveneto. Ho vissuto alcuni giorni nella parrocchia della cattedrale, condividendo con due sacerdoti thailandesi e don Raffaele Sandonà, missionario padovano, il ritmo e i sogni della comunità locale. Ma il mio viaggio si è fatto ancora più profondo nei villaggi delle montagne, grazie a don Bruno Rossi, anche lui fidei donum della diocesi di Padova, divenuto punto di riferimento per queste genti. Se la pastorale qui si reinventa ogni giorno, lui ne è esempio vivente: fondatore del marchio Caffè Bruno, ha saputo creare un ponte tra vangelo e futuro offrendo lavoro e dignità a tante famiglie dei villaggi. In uno di quei pomeriggi ho davvero compreso quanto una semplice tazzina di caffè, condivisa dopo la messa, possa diventare spazio di solidarietà e speranza.

Momenti che hanno lasciato il segno

Ripensando a quei giorni, capisco che sono stati i gesti semplici a rimanere impressi: le cene con seminaristi e missionari, le serate di racconti e domande, la fede vissuta con leggerezza e dedizione tra una partita a biliardo e le prove di canto organizzate dai ragazzi. Ho avuto la fortuna di ascoltare storie di preti che hanno attraversato le tribù montane o sperimentato la meditazione buddhista, segno di una chiesa in dialogo e in perenne ricerca. Oggi, a casa, mi porto nel cuore la gratitudine per ogni relazione nata, per l’accoglienza ricevuta, per ciò che ho imparato – e dovuto reinventare – come docente. Ho capito l’importanza di ascoltare, di sospendere il giudizio, di lasciarmi sorprendere ogni giorno dal Vangelo vissuto nella vita di tutti.

Don Lorenzo Voltolin

 

 

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