Cerco dunque credo? Si intitola così l’atteso volume che uscirà a fine marzo, curato da Paola Bignardi e Rita Bichi per i tipi di Vita e Pensiero. La pubblicazione, che si preannuncia corposa, presenta i risultati della ricerca sui “giovani in fuga” svoltasi nel 2023, promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Milano, a cui ha collaborato anche la Facoltà teologica del Triveneto (qualche anticipo era già stato dato qui).
Ulteriori dati dell’indagine sono stati anticipati da Paola Bignardi, intervenuta nell’incontro con i docenti delle aree di filosofia e teologia svoltosi nella sede della Facoltà a Padova nella mattinata di mercoledì 8 febbraio 2024. Contemporaneamente si sono incontrati anche gli altri docenti, per un totale di circa novanta persone, espressione della didattica e della ricerca della Facoltà.
Rivolgendosi ai filosofi e ai teologi, Bignardi ha sintetizzato i risultati della ricerca in dieci punti, concentrando l’attenzione su due di essi: le diverse tipologie di allontanamento e la trasformazione dell’esperienza della fede in spiritualità.
Sono state identificate sei tipologie di allontanamento: allontanamento evolutivo (l’esperienza del catechismo da ragazzi li ha convinti che quello che hanno imparato di religioso è “cosa da ragazzi”, per cui è trascurabile diventando adulti); allontanamento per disinteresse (nessun interessamento vero la dimensione trascendente); allontanamento esistenziale (a fronte delle domande di senso della vita, la proposta religiosa non ha dato una risposta soddisfacente); allontanamento critico (presa di distanza verso la formazione cristiana, soprattutto rispetto ad alcuni temi morali); allontanamento maturativo (vissuto per scelta, per onorare la propria intelligenza, la propria inquietudine, il proprio comprensibile scetticismo); allontanamento “arrabbiato” (la chiesa li ha delusi e non vogliono più avere contatti con il mondo ecclesiale).
Per la maggior parte degli intervistati la presa di coscienza del proprio allontanamento dalla chiesa avviene tra i 16 e i 17 anni. La pratica religiosa spesso è stata abbandonata anche prima, in genere dopo la cresima, ma è solo dopo qualche anno che diviene una scelta esplicita e consapevole. È molto significativo che alcuni di loro si siano allontanati dagli ambienti ecclesiali dopo essere stati impegnati nelle parrocchie come educatori o capi scout, dunque con responsabilità educative e organizzative.
Dopo l’abbandono l’esperienza di fede diventa “spiritualità”, intesa in molti modi, come, ad esempio: un viaggio alla ricerca di se stessi, avere un centro, farsi delle domande, fare spazio all’ascolto dell’ignoto, fare introspezione. I giovani parlano per immagini, non per concetti. Una ragazza si rappresenta con un’immagine efficace: «Mi sento come in una stanza buia in cerca dell’interruttore”. Un altro descrive così il suo abbandono della chiesa, ma non della fede: «Non mi ritengo ateo, non mi ritengo una persona che non crede più in Dio, che non ha un lato spirituale; semplicemente non penso che quello sia il mio modo di pregare, di essere parte, di dimostrare il mio lato spirituale, perché è una cosa che io vivo più come una cosa individuale, più come una cosa relativa a me e non a un gruppo di persone. Alla fine, mi ritrovavo sempre a ripetere le solite preghiere un po’ a pappagallo perché tutti lo dicevano e a non crederci davvero».
Queste narrazioni esprimono una metamorfosi del credere, cioè una trasformazione dell’esperienza religiosa in navigazione solitaria, una fede molto intima e sostanzialmente personale, a tratti individualistica.
Di queste diverse trasformazioni dell’esperienza della fede in spiritualità ne sono state evidenziate in particolare tre: interiorità, natura e connessione. Interiorità intesa come incontro con il proprio io profondo, con i dubbi e con le domande più scomode. Natura intesa come ‘luogo’ della spiritualità, contesto in cui immergersi per recuperare una forma di contatto con Dio. La creazione continua a essere ‘via’ che conduce a Dio. Infine, connessione intesa come non come legame, ma come un processo; è il sentire che la propria vita non è gettata nel mondo, abbandonata alla propria solitudine, ma è in relazione a ‘qualcosa’ o a ‘qualcuno’, indeterminato o personale, altro o Altro.
Questa esperienza di “connessione” si pone agli antipodi della religione istituzionale perché la chiesa – dicono questi giovani – fa da come “da filtro” e non permette di sperimentare il legame in quanto troppo rigida, perché in essa è già tutto precostituito.
Questa accurata esplorazione nel mondo giovanile, realizzata a dieci anni di distanza dal volume intitolato Dio a modo mio (2013), conferma che è in atto un mutamento antropologico molto profondo. Le trasformazioni in atto nel modo di vivere l’umano rendono sempre più necessario il superamento dello schema interpretativo chiesa-mondo, tipico delle costituzioni conciliari, a favore di un approccio più antropologico alle questioni religiose, intese come rapporto diretto tra Vangelo e uomo. Tale spostamento si colloca nel quadro generale del processo di reinterpretazione del cristianesimo nell’attuale contesto culturale e sociale e lascia aperte molte domande. Di fatto, con le varie forme di “allontanamento” i giovani chiedono alla chiesa una maggiore affidabilità e coerenza con l’originaria esperienza evangelica. Sperando che non sia ormai già troppo tardi.
Stefano Didonè
docente di Teologia fondamentale
Facoltà teologica del Triveneto