Camminare e dimorare: la via interiore

La dinamica fra “interiorità” e “intimità” ha animato il seminario di studio promosso dal Biennio di specializzazione in teologia spirituale della Facoltà teologica del Triveneto e dal Centro studi di spiritualità della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Sono intervenuti i docenti Antonio Bertazzo e Marzia Ceschia.

La dinamica fra “interiorità” e “intimità” ha animato il seminario di studio promosso dal Biennio di specializzazione in teologia spirituale della Facoltà teologica del Triveneto e dal Centro studi di spiritualità della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Un appuntamento annuale, che si alterna nelle sedi di Padova e di Milano, per approfondire i temi cruciali del nostro tempo.
Il 15 giugno 2018 a Padova, nella sede dell’Istituto teologico S. Antonio dottore, sono intervenuti Antonio Bertazzo (docente di Psicologia generale e della religione alla Facoltà teologica del Triveneto) e Marzia Ceschia (docente di Temi di teologia spirituale al biennio di licenza). Le loro relazioni saranno pubblicate nella rivista Studia patavina (n. 1/2019), in un focus che unirà anche altri contributi di carattere teologico (a firma di Roberto Repole) e pedagogico (di Daniele Loro).

Uno sguardo antropologico

Antonio Bertazzo ha proposto varie sfaccettature della questione antropologica del rapporto tra interiorità e intimità, due dimensioni che nell’uomo si compongono ma non si sovrappongono né si confondono. A partire dai termini, dove «interior è forma comparativa che chiama un concetto di natura relazionale: indica qualcosa rispetto a qualcos’altro e a un punto di riferimento – spiega –; intimus è forma assoluta, che non fa riferimento a parametri di confronto ma rappresenta l’insieme della vita interna, considerata nel suo “centro” il luogo più interno, profondo o distante da ogni altro riferimento».

L’interiorità è il luogo dove risuona il perenne richiamo del “conosci te stesso”, ma altresì l’andare oltre se stessi per cogliere una verità che ci definisce. «L’interiorità possiamo indicarla come il luogo dove prende forma il significato del vissuto interno ed esterno l’individuo e dove viene indicato il senso ultimo dell’esistenza». L’interiorità, dunque, come luogo esistenziale e come luogo della verità riscoperta e della custodia dell’invisibile presente nell’individuo.

Interiorità e anima non sono sinonimi – precisa poi Bertazzo – tuttavia si pongono in modo dialogico e sono orientate a definire l’uomo nella sua vera e profonda identità. Infine, nelle psicologie moderne, dove interiorità si associa a identità e ad autocoscienza, Bertazzo fa notare che «manca una dimensione dell’invisibile, del non prevedibile nella storia dell’individuo ma che segna la sua stessa identità: è la forma del Mistero presente nella sua intimità, così indefinito, ma così interpellante la libertà della persona nel suo agire».
«Interiorità – conclude – è un termine complesso che riguarda certamente la dimensione delle dinamiche psicologiche, ma lascia lo spazio a un vissuto che trascende la finitudine. Si può affermare che in qualche modo ciò che è interiorità è oggetto di conoscenza, descrizione, genesi, riconoscendo che nell’uomo “tutto è psichico”, ossia visibile. Nello stesso tempo è necessario affermare che lo “psichico non è tutto”, lasciando spazio all’invisibile dell’interiorità».

Alcuni percorsi spirituali esemplari

I percorsi interiori nascono, più o meno consapevolmente, dallo spaesamento, dal non sentirsi a casa. Camminare e dimorare. Con queste immagini Marzia Ceschia ha avviato la sua riflessione su “interiorità”, intesa come movimento-percorso, itineranza, e “intimità”, come fermarsi, stabilitas.
Il dramma dell’uomo che rimane senza casa e, per non essere annientato, deve di necessità trovare dimora presso se stesso accomuna le prime due figure scelte per l’esemplarità del loro percorso spirituale: Etty Hillesum e Simone Weil. «Entrambe ritrovano se stesse nell’incontro con Dio, in risposta a un appello interiore – spiega Ceschia –. Etty Hillesum lo fa a partire dall’orrore del lager di Auschwitz, da un esterno che la spinge a guardarsi dentro. Non si tratta di introspezione – precisa – perché il movimento non termina in un ritorno su di sé ma nel lasciare entrare un altro nella relazione. È invece un’apertura: rientrando in se stessa Etty impara la “verità ragionevole”, cioè che il perno che costituisce la sua persona non può essere lei stessa; l’approdo è l’incontro e l’accoglienza di un Altro, è trascendere se stessa nel colloquio amoroso con Dio».
In Simone Weil, segnata dal contesto operaio del primo Novecento, il passaggio è quello di lasciarsi compenetrare fino a lasciarsi svuotare; depotenziare l’ego per essere capace di accogliere l’Altro. «È una forma di passività consenziente – afferma Ceschia – dove l’intimità con Dio coincide con la crocifissione del proprio io; è un lasciarsi afferrare responsabilmente, un lasciar essere, entrando nella dinamica di Dio».
La via della mistica di Edith Stein, infine, poggia sull’empatia, che è reciprocità di conoscenza fra Dio e uomo. «Cogliere la presenza dell’Altro dentro di sé – spiega Ceschia – obbliga a prendere posizione ed è porta di accesso alla realtà interiore; un accesso che è sempre dato da un’esperienza insufficiente delle nostre facoltà».

In un cammino interiore, la conoscenza di sé è solo un primo passo se non si vuole arrestarsi nell’illusione o assolutizzazione del proprio io. L’interiorità è metodo, via dell’autotrascendenza. Ciascuno ha il compito di raggiungere il centro di se stesso, al fine di cogliere quella luce interiore che lo spinge verso la realtà da capire, accogliere, discernere, amare (per richiamare i precetti trascendentali del metodo di Lonergan). L’esperienza dell’amore di Dio è l’apice della trascendenza, l’ampliamento massimo dell’interiorità.

Le tre figure paradigmatiche indicano all’uomo d’oggi i passi della via interiore per “riappropriarsi del proprio volto”, dell’ineludibile vocazione di essere “a immagine”: imparare ad ascoltare se stesso; leggere dentro la propria passione, che è ciò che muove la vita; rispettare la realtà per quello che è, accettare il proprio limite, riconoscere la propria non-autosufficienza; scoprire di essere amato per divenire libero di essere autentico.

Paola Zampieri

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