Convegno

comunicato stampa 07/2008

Padova, 31 marzo 2008

 

 

NUOVE PROSPETTIVE DI SVILUPPO

A 40 ANNI DALLA POPULORUM PROGRESSIO

Intervista a don Giampaolo Dianin

 

 

Nuove prospettive sullo sviluppo a 40 anni dalla Populorum Progressio è il tema del convegno di studio promosso dalla Facoltà teologica del Triveneto per l’anno 2008, che si svolgerà a Padova martedì 8 aprile nell’aula Magna della Facoltà Teologica del Triveneto, con inizio alle ore 9.

Un’intera giornata a 40 anni dalla pubblicazione dell’enciclica di Paolo VI (l’anniversario è stato nel 2007), per valutare quali sono le nuove prospettive sullo sviluppo affrontando in particolare tre temi: la qualità della vita, l’identità dei popoli e lo sviluppo sostenibile.

 

Sul perché di questo tema e sulla sua attualità abbiamo rivolto alcun domande a don Giampaolo Dianin, docente di Teologia morale della Facoltà Teologica del Triveneto, fra i coordinatori del convegno.

 

Don Dianin, oltre la ricorrenza dei 40 anni, quali motivazioni spingono la Facoltà Teologica a rileggere la Populorum Progressio oggi?

«Il convengo non vuole celebrare un documento ma riprenderne le intuizioni e le indicazioni per l’oggi. Lo ha già fatto Giovanni Paolo II quanto nel 1987 ha pubblicato la Sollicitudo rei socialis per ricordare i 20 anni della Populorum Progressio. In quell’occasione prendeva atto che non solo il problema dello sviluppo rimaneva aperto ma si presentava in termini ancor più drammatici. Oggi l’impressione è la stessa e il nuovo contesto della globalizzazione ha reso ancor più difficile la condizione dei paesi poveri. Ricordiamo l’Enciclica di Paolo VI perché crediamo che si possa e si debba continuare a riflettere e ad agire».

 

Sono passati 40 dalla Populorum Progressio: è cambiato il contesto storico e sociale. Ma cosa l’enciclica di Paolo VI dice ancora oggi alla Chiesa e alla comunità dei cristiani?

«Basterebbe ricordare le parole chiave dell’enciclica per cogliere l’attualità delle sue intuizioni. La Populorum Progressio parla, tra l’altro, di sviluppo integrale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini; di umanesimo aperto a Dio; di uno sviluppo che deve farsi strada tra un materialismo soffocante e una povertà drammatica; critica l’assolutizzazione del profitto; collega sviluppo e pace; invita a coniugare giustizia e solidarietà».

 

Che attualità profetica rivela?

«Paolo VI è stato profetico nell’aver colto la mondializzazione dei problemi; nell’aver messo a tema il concetto di sviluppo sostenibile, capace cioè di soddisfare i bisogni di oggi senza compromettere le future generazioni; per aver aperto la questione del debito dei paesi poveri e quella dell’incontro tra civiltà per evitare futuri scontri; per aver colto la rilevanza del fattore economico che sembra incrocio ineludibile di ogni questione sociale. A distanza di 40 anni cambieranno le scelte e le strategie ma la direzione e i riferimenti rimangono questi».

 

Una delle relazioni del convegno parla della “storia degli effetti” dell’enciclica: è possibile tracciare qualche linea in questo senso?

«Per quanto riguarda la Chiesa possiamo dire che è cresciuta la sua “cattolicità” nel senso che la voce di tutti, poveri e ricchi ha cominciato ad avere una cittadinanza sempre più precisa. Ha avuto un forte rilancio l’impegno per i poveri, il legame e lo scambio di aiuti tra chiese locali. A livello più ampio quella che sembrava un’enciclica ingenua e sognatrice oggi appare come quella che ha messo sul tappeto problemi che oggi sono ineludibili».

 

Il convegno si sofferma in particolare su tre tematiche – la qualità della vita, l’identità dei popoli e lo sviluppo sostenibile, perché questa scelta?

«La qualità della vita inquieta soprattutto il mondo ricco che si sta rendendo conto che lo sviluppo non è solo avere di più in termini di benessere ma essere di più come persone. La seconda questione riguarda l’identità dei popoli: se la Populorum Progressio ha evidenziato soprattutto il confronto nord-sud del mondo, oggi si aggiunge una questione nuova perché le culture si confrontano anche a partire da quello che sono, dalle loro identità e religioni. L’ultima parola è forse quella su cui maggiormente ci siamo interrogati in questi decenni: lo sviluppo sostenibile mette in discussione lo stesso modello di sviluppo che stiamo perseguendo e ha portato alcuni a parlare anche di una necessaria “decrescita” vista l’impossibilità e i rischi di puntare su un di più che a lungo andare sarebbe insostenibile».

 

L’incontro dell’8 aprile si inserisce in un progetto in cui la teologia pastorale si confronta con le questioni sociali: qual è la prospettiva di lavoro e quali i prossimi appuntamenti?

«La teologia pastorale si occupa dell’agire della Chiesa per capirlo, verificarlo e rilanciarlo. Possiamo parlare di questo senza tener conto del contesto sociale, culturale ed anche economico in cui vivono i cristiani? Dopo il convegno dedicheremo una giornata di studio al rapporto tra economia e teologia e a giugno l’incontro di tutti i docenti della Facoltà teologica del triveneto avrà come titolo “La realtà socio-economica del nord-est interpella la teologia”. Sentiamo necessario dialogare non solo con le scienze sociologiche, psicologiche e pedagogiche ma anche con quelle economiche e sociali per un autentico servizio all’agire della Chiesa e delle nostre chiese locali».

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