«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano.
Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla.
Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini.
Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.
Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.
Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio».
Etty Hillesum
Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 2021, pp. 169-170
Nell’orrore delle persecuzioni e poi della prigionia nel lager di Auschwitz – dove fu deportata il 7 settembre e morì il 30 novembre del 1943 – Etty Hillesum riuscì a ritrovare se stessa nell’incontro con Dio.
A partire dalla situazione in cui si trovava, fu spinta a guardarsi dentro e comprese che il perno che costituiva la sua persona non poteva essere lei stessa. «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda – scrive nel diario – e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
Mentre tutto proclamava la morte di Dio e dell’uomo, Etty riscopre in se stessa la verità dell’uomo come luogo in cui sopravvive la presenza di Dio, e si dà il compito di custodire il proprio nucleo interiore più profondo: «un piccolo pezzo di Dio in noi stessi». Per questo Etty può rintracciare «il minuscolo essere umano, sepolto sotto la barbarie dell’insensatezza e dell’odio» e può arrivare a dire: «amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio».
Attraverso il diario (scritto da marzo 1941 a settembre 1943) e le lettere (inviate agli amici fra il 1942 e il 1943) possiamo seguire la traccia del viaggio interiore di questa giovane donna, che si definiva “un cuore pensante”.