Identità e rilevanza dalla Facoltà teologica nelle chiese e nel territorio del Nord Est: su questo tema, attuale e imprescindibile, si sono confrontati i docenti della Facoltà teologica del Triveneto nel collegio plenario del 9 giugno 2021, che si è svolto al Seminario di Treviso, alla presenza del vescovo mons. Michele Tomasi, con la partecipazione di 70 professori in presenza e 30 online. Un punto di sintesi e di rilancio dopo un anno di lavoro svolto a livello locale, nei singoli Istituti della rete (sette Istituti superiori di Scienze religiose e cinque Istituti teologici affiliati), che si sono interrogati sulla questione facendo eco alla riflessione sulla Facoltà avvenuta all’interno della Conferenza episcopale triveneta.
Il preside don Andrea Toniolo ha evidenziato tre fili della rete che costituisce la Facoltà. Innanzitutto la finalità della teologia, non sempre chiara nella sua espressione concreta a motivo dello scarto grande tra l’impegno profuso nell’insegnamento e nello studio e la ricaduta nel mondo: la formazione personale non basta se, fuori dalle mura accademiche, mancano opportunità lavorative. A livello intraecclesiale è con i cammini delle chiese locali che la Facoltà deve legarsi e spetta soprattutto alle specializzazioni essere più propositive, anche con maggiore flessibilità nei piani di studio, cercando di accompagnare il cambiamento d’epoca, di interpretare l’implosione che le chiese europee stanno vivendo, pur se a macchia di leopardo. Infine, non è possibile elaborare e insegnare un sapere teologico senza un confronto costitutivo con i principali paradigmi moderni come la complessità, la pluralità religiosa, la libertà, l’uguaglianza, l’ecologia; l’interdisciplinarità e la ricerca restano debolezze interne, aspetti da potenziare.
La voce dei vescovi
La lucida analisi del vescovo di Belluno-Feltre, mons. Renato Marangoni, delegato della Conferenza episcopale triveneta per gli Istituti teologici, ha toccato alcuni punti nodali, a partire dalla constatazione che il prevalere della questione amministrativa, relativa alla sostenibilità economico-finanziaria dell’istituzione accademica ha penalizzato il rapporto fra Cet e Facoltà e richiede ora di «ricostruire un tessuto fiduciale, non astratto, fatto di attuazione degli impegni reciproci previsti dallo statuto: da entrambe le parti occorre una cura specifica per riannodare, ricentrare, rivalutare, promuovere una collaborazione generativa in ordine alle finalità per cui si è voluta la Facoltà». Tra queste: sostenere le chiese del Triveneto nella loro missione nell’intento di inculturazione della verità cristiana, in dialogo interdisciplinare con la cultura contemporanea; elaborare e proporre, in comunione e stretta collaborazione con le chiese locali, indicazioni e orientamenti utili alla missione ecclesiale, recependo situazioni e problemi della società, della cultura e della vita ecclesiale del Triveneto; curare la formazione teologica di candidati al ministero ordinato e di religiosi e laici in vista del servizio ecclesiale e sociale, tra cui gli insegnanti di religione cattolica.
Intrecciando la presenza e il ruolo della Facoltà con il ripensamento dell’essere chiesa del Nordest, quel connotato di specificità e di originalità che è il sistema “a rete” assume una valenza pastorale e teologica nel rapportarsi all’esigenza delle chiese di rispondere alla domanda “come dare forma alla chiesa sul territorio?”. Va tenuto conto, ha osservato il vescovo, dell’elevato contrasto fra comunità ecclesiali di tipo “metropolitano” e comunità dislocate in montagna sottoposte alla prova dello spopolamento e delle sue conseguenze a livello di interazione fra persone, realtà familiari, istituzioni, servizi. La formazione FAD, che caratterizza l’Issr di Treviso-Belluno è quindi una modalità che va supportata.
La vicenda delle chiese del Triveneto, ha sottolineato ancora mons. Marangoni, è «costituita da un insieme di parzialità», nel senso che «non è riuscita a spiccare quel volo di condivisione e di collaborazione – oggi diremmo di “sinodalità” – che continuamente era auspicato, preparato, atteso», fin dai tempi dei due convegni di Aquileia (1990 e 2012). Per costruire comunione fra le chiese non basta la forma della collegialità episcopale, ma occorre attuare rapporti fra le chiese locali considerate nella pluriformità dei soggetti che le compongono. Questo è rimasto un passaggio ancora da sperimentare. La Facoltà, per sua natura e mission, chiede – se non anche esige – questa sinodalità fra le 15 diocesi del Nordest, da aiutare e favorire. Le chiese, d’altra parte, dovrebbero diventare capaci di sperimentarsi in un servizio umile e sincero, “inculturandosi” nei processi in atto in questo cambiamento d’epoca, aggravato dall’esperienza della pandemia. Il cammino sinodale avviato dalla chiesa – con il passaggio da un modello pastorale “deduttivo e applicativo” a un metodo di ricerca e di sperimentazione che costruisce l’agire pastorale a partire dal basso e in ascolto dei territori – offre opportunità per sviluppare una fruttuosa e vicendevole interazione.
Infine, mons. Marangoni ha riportato alcune attenzioni ed emergenze colte dai vescovi in seno alle chiese del Nordest e consegnate alla Facoltà, da considerare e da affrontare mettendo insieme riflessione e pratica pastorale: la ministerialità ecclesiale – messa a tema anche dai recenti motu proprio di papa Francesco – in una reale e onesta valorizzazione di laici e laiche; la forma di chiesa sul territorio a cui riferirsi mentre si elaborano modelli nuovi di unità, di collaborazione, di connessione tra le comunità parrocchiali; una revisione delle strutture giuridiche delle comunità parrocchiali per renderle adeguate al momento attuale e alla realtà del territorio; la forma del ministero ordinato in una chiesa in uscita; le forme, gli organismi, le dinamiche e i metodi di corresponsabilità ecclesiale; come affrontare le mutazioni di visone-concezione antropologica; come impostare la proposta formativa nei nuovi contesti culturali, assumendo anche la prospettiva socio-ambientale indicata dalla Laudato si’.
Riguardo all’offerta formativa si chiede alla Facoltà (e anche agli Issr e agli Ita) di poter sostenere le diocesi, particolarmente quelle con minori risorse umane, nella formazione di operatori pastorali, formatori, ministri, animatori ecc., più “pastoralmente”, più elasticamente, più concretamente, pur senza perdere il proprio connotato accademico, e di poter offrire competenza e accompagnamento a eventuali “ricerche” o “laboratori” in temi teologico-pastorali alle singole chiese, alla Cet, all’insieme delle chiese del Triveneto.
Sulla formazione permanente dei presbiteri e dei diaconi, infine, appare opportuno valutare le domande e i bisogni delle 15 diocesi: perché non ipotizzare un’offerta formativa che possa attuarsi in sede diocesana o inter-diocesana e possa sintonizzarsi con il cammino delle chiese, mettendo a disposizione, da parte della Facoltà, qualità e competenza teologico-pastorale?
Voci dal territorio
Trento: rispondere alla domanda culturale e costruire reti nel territorio
Accanto alla mission tradizionale degli Istituti (formazione degli insegnati di religione, formazione del clero, ecc.) a Trento si consolida un’istanza ormai evidente, per quanto sfaccettata: la richiesta di cultura religiosa di alto livello, adatta agli adulti laici; una richiesta trasversale, sia per età che per genere e stato di vita, da parte di persone disposte a impegnare tempo ed energie nello studio. A riportare questo dato sono due docenti dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini”, suor Chiara Curzel e Leonardo Paris. «Una tale richiesta dice anche qualcosa sul tipo di teologia che si rende necessaria – aggiunge Paris –. Deve infatti offrire il livello accademico e scientifico necessario per poter essere riconosciuta come la riflessione matura dell’esperienza cristiana e della sua storia e, allo stesso tempo, garantire quei tratti di maturità esistenziale ed ecclesiale che siano all’altezza della richiesta adulta che la provoca».
Una buona interdisciplinarietà interna alle materie e un marcato carattere aperto e dialogico sono i due aspetti che si rendono essenziali. Accanto a questi, si pone l’importanza di una rete ecclesiale diocesana (la fruttuosa esperienza di un tavolo di coordinamento teologico, già in atto, è incoraggiante) e di una rete istituzionale con le agenzie culturali del territorio, a livello locale ma anche triveneto e nazionale; con una speciale attenzione alla rete della Facoltà, dove andrebbe implementato tutto ciò che permette ai singoli nodi della rete di sentirsi realmente parte di un organismo vivente più grande, prendendo parte alle sue scelte di indirizzo e di governo accademici, ma anche la possibilità per gli studenti degli Istituti di proseguire il percorso di studi con i gradi accademici superiori.
Treviso: aderenza alla realtà e rete nella formazione
Dall’osservazione del territorio e dall’esperienza dell’insegnamento nello Studio teologico interdiocesano di Treviso – Vittorio Veneto, raccolta dal direttore don Stefano Didonè e dal docente Davide Girardi, emergono quattro appelli.
I seminaristi interpellati hanno fatto rilevare innanzitutto una discrepanza tra l’offerta formativa del percorso istituzionale e la realtà, il contesto socio-culturale. In secondo luogo, è emersa una domanda di formazione di qualità da parte dei formatori dei seminari, di una maggiore integrazione tra i “contenuti” e le forme pratiche dell’agire pastorale. La necessaria progettualità pastorale si scontra poi con le urgenze pastorali legate a un agire ecclesiale che o è molto sperimentale o non ha ancora messo a fuoco nuove modalità di generazione alla fede; si chiede quindi di ridurre la distanza tra la formazione accademica e l’azione pastorale. Infine, si avverte l’esigenza di una maggiore coesione tra le istituzioni formative e le istituzioni operative (uffici pastorali), e quindi la necessità di fare rete tra le realtà istituzionali preposte alla formazione.
Udine: formare risorse per la pastorale e ripensare la Dad
La riflessione da parte dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Santi Ermagora e Fortunato” di Gorizia, Trieste e Udine, riportata dal direttore don Federico Grosso, è approdata a tre punti nodali.
L’identificazione, quasi automatica, tra Issr e insegnamento della religione cattolica rischia di appiattire il ruolo dell’Istituto sull’immediato sbocco lavorativo cui i titoli accademici danno accesso; è importante, accanto a questa dimensione, sviluppare maggiormente la percezione dell’Istituto come una realtà formativa in grado di dare risposte concrete alla domanda di formazione dei laici coinvolti nella corresponsabilità pastorale delle comunità cristiane. In secondo luogo, va potenziata la rilevanza culturale dell’Issr, curando la relazione con gli altri soggetti culturali del territorio (le Università di Udine e di Trieste) e rendendo pubblico il proprio apporto intensificando le iniziative in presenza e sui media. Infine, l’attuazione della didattica a distanza (Dad), richiesta da questo tempo di pandemia, richiama una riflessione sui rischi e le promesse che pone: individualismo e soggettivizzazione della didattica da un lato, opportunità per gli studenti penalizzati dalla distanza dall’altro, tenendo al centro la relazione personale che fa dell’Istituto una comunità di docenti e studenti.
Paola Zampieri