Il cristianesimo nel tornante della mondialità

Di ritorno da un semestre di ricerca in India e in Thailandia, il prof. Andrea Toniolo, ordinario di Teologia fondamentale della Facoltà, racconta come pensare i nostri saperi dal punto di vista dell’universalità, nel confronto con le altre culture e chiese, sia un’apertura fondamentale per un cristianesimo che è sempre più globale e sempre meno eurocentrico.

«Nell’induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti… Nel buddismo si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta» (Nostra aetate, n. 2).

Non avevo mai prestato attenzione a queste parole del Vaticano II sulle religioni asiatiche. Colgono nel segno, aprendo una porta finora socchiusa, quella del dialogo. Della ricchezza culturale e spirituale di tali contesti – che noi teologi occidentali rispettiamo ma spesso ignoriamo, diffidenti – sono rimasto sorpreso lo scorso anno durante un semestre di ricerca in India e in Thailandia. Ero ospite, inizialmente, in un campus universitario gesuita, a Pune, vicino a Bombay, a contatto con studenti e docenti, provenienti da tutta l’India. A un dottorando in filosofia indiana chiedo il suggerimento di un testo filosofico. Mi propone Gandhi, An Autobiography: The Story of my Experiments with Truth, che comincio subito a leggere. Un passo iniziale dà la giusta intonazione: «Il cercatore della verità dovrebbe essere più umile della polvere. Il mondo schiaccia la polvere sotto i suoi piedi, ma il cercatore della verità dovrebbe essere così umile che perfino la polvere potrebbe calpestarlo». Un anziano teologo indiano, M. Amaladoss, che incontro nel Sud dell’India, mi regala Let us stand up for Prayer, una raccolta trasversale di testi spirituali, che mostra l’incredibile affinità tra le religioni asiatiche e abramitiche. Il confronto con diversi teologi indiani mi permette di capire la serietà del loro pensiero ma anche la differenza di prospettiva. 

La seconda tappa del mio soggiorno è la visita di alcune realtà pastorali, attraverso la guida di un mio ex alunno, ora vicario generale ad Ambikapur, don Antonio Bara. Rimango sorpreso dalla vitalità delle comunità cattoliche, ricche di vocazioni, con una frequenza altissima (90 per cento), generose nella formazione e nella carità. Mi rendo conto di quanto lo storico P. Jenkins va continuamente dicendo: il baricentro del cristianesimo si sta spostando verso il Sud del mondo. Il cristianesimo in Europa ha una crescita quasi pari a zero. Negli altri continenti, soprattutto in Africa e in Asia, cresce a ritmi ben diversi, dal 10 al 20 per cento ogni anno.

Il cristianesimo diventa e diventerà sempre più “mondiale”, globale, e sempre meno eurocentrico. Questo metterà in crisi la globalizzazione, segnata fortemente dalla razionalità occidentale. Anche nel campo teologico ed ecclesiale. Il pensiero eurocentrico viene percepito come discriminante, giudicante. Un lògos che non facilita il dia-lògos. In realtà, il lògos cristiano, certamente mediato storicamente da determinate culture, non è monocorde, monoculturale, non assolutizza una cultura rispetto a un’altra. Non è discriminante, ma accogliente, aperto, capace di fiorire in ogni contesto umano, in virtù dell’incarnazione. Anzi, è la diversità delle tradizioni spirituali e religiose che mostra la ricchezza ospitale e profetica del lògos cristiano.

Dopo una settimana di presenza a Varanasi, capitale dell’induismo e in parte anche del buddismo, chiudo la mia esperienza indiana con un soggiorno a Calcutta, la città del risorgimento culturale e sociale indiano. Patria di Tagore. Ma patria anche di Madre Teresa di Calcutta, figura straordinaria per capire l’inculturazione del cristianesimo in India.

Infine, con due ore di volo (il ventisettesimo!), arrivo in Thailandia, paese quasi interamente buddista, per visitare alcuni missionari (Pime, salesiani) e i preti fidei donum, operanti nel Nord, a nome delle chiese trivenete. Ricordo il colloquio avuto con un vescovo thailandese, che, richiamando i 350 anni della chiesa in Siam, sintetizza tre sfide dell’evangelizzazione. La prima, quella più importante: il cristianesimo viene ancora sentito come una religione straniera, estranea. La seconda: il debole dialogo tra cristianesimo e buddismo, causa l’ignoranza e il sospetto reciproci. La terza: la debolezza della evangelizzazione popolare, la poca valorizzazione della spiritualità della gente, quando in realtà la via simbolica è la via madre dell’inculturazione.

Potrei raccogliere il contributo di quelle terre in tre parole (come i doni dei Magi dell’Oriente): un sorprendente senso dell’ospitalità (in certe culture lavano i piedi allo straniero), che l’Europa cristiana sta dimenticando; un radicato senso del sacro, visibile nel corpo, che l’Europa cristiana sembra aver perso; un concreto senso della solidarietà, che l’Europa cristiana e benestante fatica a mantenere.

La storia dei cristiani in questi “mondi” può aiutare la chiesa in Europa a comprendere la fase in cui si trova (tramonto o alba?) e a individuare nuove strade di inculturazione?

 

Andrea Toniolo
docente di teologia fondamentale
Fttr – Padova

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