Insegnare online non è un semplice “trapiantare” in un altro ambiente ciò che si faceva in aula. Oggi la relazione fra apprendimento e insegnamento chiede che i docenti siano professionisti capaci di progettare anche ambienti di apprendimento nuovi con una visione pedagogica che metta al centro i processi di apprendimento e le finalità educative. L’uso incompetente delle tecnologie oggi non è più giustificabile.
Ad affermarlo è Dariusz Grządziel, professore straordinario di Didattica generale nella Facoltà di Scienze dell’Educazione all’Università Pontificia Salesiana a Roma, che interverrà al collegio plenario dei docenti della Facoltà teologica del Triveneto (Verona-Pordenone, 15 giugno 2024). Le sue ricerche e pubblicazioni si collocano sul confine tra l’educazione e la didattica scolastica e universitaria e, negli ultimi anni, riguardano l’integrazione degli strumenti tecnologici nella didattica.
Abbiamo approfondito questo aspetto con una riflessione a tutto tondo, che ha richiamato anche la necessità dell’educazione al pensiero critico e alla cittadinanza consapevole, per fornire alle persone strumenti per sottrarsi a una specie di capitalismo digitale e non perdere la libertà personale. Non poteva mancare un riferimento al tema dell’intelligenza artificiale, di cui è stato sottolineato – al di là delle impressionanti potenzialità – come la velocità esponenziale e la modalità del suo sviluppo rendano difficile realizzare di pari passo un’adeguata riflessione sulle relative implicazioni, da quella economica e produttiva a quella personale e sociale oppure quella antropologica ed etica. Tuttavia, la formazione odierna alle competenze digitali, e qualunque altra formazione professionalizzante, oltre a basarsi sui modelli verificati positivamente nel passato, non può non prendere in considerazione questi aspetti emergenti nuovi e sempre più complessi.
Professor Dariusz Grządziel, a partire dal 2020, a causa della pandemia di Covid-19, la didattica a distanza è stata sviluppata anche in ambienti che in precedenza la utilizzavano poco o per niente, quali le facoltà teologiche. L’introduzione delle nuove tecnologie informatiche come ha cambiato la relazione fra insegnamento e apprendimento?
«La relazione tra insegnamento e apprendimento deve essere vista sempre come complementare. Dalla qualità e correttezza di questa relazione dipendono i risultati di apprendimento degli studenti. L’emergenza di passare alla didattica online durante la pandemia ha rilevato, paradossalmente, proprio il significato e l’importanza di questa relazione. Sia docenti sia studenti, per il fatto di dover comunicare tra loro tramite forme mediate e a distanza, hanno sofferto l’indebolimento o la mancanza della relazione diretta, che nella didattica in aula, al contrario, essendo implicitamente presente, spesso non viene nemmeno avvertita. Oggi sappiamo che questa percezione era causata non solo dalle tecnologie in sé stesse, ma anche dalla poca dimestichezza dei docenti nell’impiegare le tecnologie per le finalità didattiche. Velocemente, dopo le prime settimane di lock down, i docenti si sono accorti che insegnare online non è un semplice “trapiantare” in un altro ambiente ciò che si faceva in aula. Ci vogliono nuove competenze di natura didattica, che integrano saperi disciplinari, metodologici, progettuali e, appunto, tecnologici, e ci vogliono anche nuove competenze di natura pedagogica, che permettono di instaurare in modo valido la relazione tra docente e studente negli ambienti online o misti».
Questi nuovi ambienti possono potenziare le condizioni di studio e i processi di apprendimento anche oggi?
«La domanda è molto importante perché rivolge l’attenzione alle diverse opportunità che nascono dall’integrazione degli strumenti tecnologici nella didattica. Anzitutto, può essere ridimensionata la gestione del tempo e dello spazio in cui si svolgono le attività didattiche. Grazie a tali strumenti, come ad esempio le piattaforme di condivisione e di co-costruzione dei lavori e delle riflessioni, la collaborazione nello studio può superare i limiti dell’aula e delle lezioni scanditi dagli orari. L’accesso alle risorse scientifiche online, rappresentare le conoscenze tramite forme multimediali o interattive, inoltre, può potenziare i processi di apprendimento in forma più attiva e più autonoma. Ovviamente, la predisposizione di questi ambienti nuovi suppone anche un’adeguata competenza dei docenti. Non a caso alcuni studiosi, ad esempio Diana Laurillard, una pedagogista britannica all’Università di Londra, suggeriscono che la professionalità docente deve passare oggi da quella che “maggiormente parla” a quella che, oltre che parla, “progetta anche ambienti di apprendimento nuovi”. Purtroppo, l’osservazione quotidiana attuale, ma anche le ricerche realizzate in questo ambito, fanno notare situazioni non rare in cui la didattica è tornata alle forme pre-pandemiche e in cui le modalità innovative non vengono valorizzate con tutto il loro potenziale. L’investimento nelle attrezzature delle aule e nei corsi di formazione dei docenti, fatto durante e subito dopo la pandemia, viene valorizzato in grado piuttosto ridotto».
Quali sono invece i rischi in agguato in questo campo?
«Alcuni sono emersi già durante la pandemia quando le tecnologie sono state impiegate nei processi didattici in maniera non appropriata o non competente, a cui ho accennato prima. Solo che in quel periodo la situazione richiedeva decisioni emergenziali per garantire la continuità dei processi didattici e formativi nelle istituzioni. Oggi l’uso incompetente delle tecnologie non è più giustificabile. Parlando dei rischi bisogna sottolineare, però, che l’integrazione dei nuovi strumenti tecnologici nella didattica non può essere considerata solo in termini delle abilità di “usarle”, o peggio, solo in chiave tecno-centrica, senza una visione pedagogica che metta al centro i processi di apprendimento e le finalità educative. La competenza didattica richiede quindi un’adeguata teoria di fondo sull’apprendimento e ancora di più sull’insegnamento. È un’illusione pensare che essere esperto in un campo disciplinare predisponga automaticamente alla docenza competente. Sono due dimensioni della professionalità docente che richiedono un adeguato impegno per svilupparle. Tutti gli sbilanciamenti a scapito dell’una o dell’altra si riversano negativamente sulle condizioni di studio che stiamo tenuti a creare a favore degli studenti. Non diversamente accade con l’impiego degli strumenti innovativi. Anche questo aspetto deve essere ripensato in modo funzionale, tenendo conto delle finalità da raggiungere e delle relative condizioni che bisogna creare. Se vari elementi della competenza didattica vengono sviluppati nella formazione iniziale dei docenti e poi aggiornati continuamente, i rischi, che sempre possono rivelarsi, non dovrebbero costituire minacce o ostacoli insuperabili».
Per allargare la questione. Oggi l’immersione nel digitale è un dato di fatto: siamo costantemente connessi con gli altri anche attraverso i dispositivi elettronici, in uno stato di relazione continua con il mondo. Questo nuovo modo di vivere la realtà è un elemento oggi imprescindibile nel discorso educativo, a tutti i livelli. L’uso delle nuove tecnologie, così diffuso tra i “nativi digitali”, è sufficientemente valorizzato – in ambito universitario – ai fini formativi ed educativi, e quindi a una preparazione per la vita lavorativa, sociale e familiare?
«Di fatto, come avverte da tempo Luciano Floridi, professore di filosofa a Oxford, oggi siamo immersi nella cosiddetta Infosfera e viviamo nella realtà che lui chiama Onlife. Ciò significa che gli strumenti digitali non solo vengono adoperati in modo funzionale nelle pratiche sociali e professionali dalle persone, ma diventano essi stessi ambienti di partecipazione e di vita quotidiana. Secondo questa prospettiva, non siamo più noi a scegliere di essere online o offline, ma sono questi strumenti a essere nelle nostre vite indipendentemente dalle nostre scelte. Come sottolinea spesso anche Cesare Rivoltella, esperto della pedagogia multimediale, la tecnologia non si vede più perché essa stessa scompare dietro ai dispositivi. Dobbiamo comprendere, quindi, che tutto ciò – i dispositivi e la tecnologia nascosta che sta dietro – creano una filigrana del sistema sociale e lavorativo in cui noi funzioniamo ogni giorno, spesso, senza rendercene conto. È qui che emerge il ruolo pedagogico per la scuola e per l’università. Oltre che usare questi sistemi, guidati sempre più frequentemente anche dai modelli di Intelligenza Artificiale, dobbiamo capirli prima di tutto per, come dice una sociologa statunitense Shoshana Zuboff, non lasciarsi opprimere dagli algoritmi invisibili che sorvegliano e decidono al nostro posto ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare. Ci vuole, quindi, l’educazione al pensiero critico, alla cittadinanza consapevole, per fornire alle persone strumenti per sottrarsi a una specie di capitalismo digitale della sorveglianza e non perdere la libertà personale».
Ubiquitous learning, collaborative intelligence, multiliteracies… Queste forme innovative come si saldano con le più tradizionali forme di insegnamento diretto ed esplicito? È possibile promuovere una feconda integrazione di tali strumenti nel progetto formativo delle università, in particolare delle facoltà teologiche?
«Tutti abbiamo sperimentato come durante il lock down sia avvenuto un radicale sganciamento delle attività didattiche dagli ambienti fisici e una loro ricollocazione negli ambienti online e sulle piattaforme digitali. Con ciò è stato attivato, possiamo dire, un processo di deterritorializzazione delle attività di studio e di docenza, molte delle quali sono state realizzate non solo in forma sincrona online, cioè nello stesso tempo per docenti e per studenti, ma anche in forma asincrona. Sembra, appunto, che il valore di maggiore flessibilità organizzativa riguardo agli spazi e ai tempi, in cui si possono svolgere alcuni tipi di attività didattiche, anche nelle facoltà teologiche, può costituire quell’elemento aggiunto su cui riflettere adeguatamente nella costruzione della proposta formativa attuale e futura. Gli studiosi Cope e Kalantzis, dall’Università dell’Illinois negli Stati Uniti, hanno elaborato al riguardo il termine ecologie di apprendimento. Con questo concetto individuano alcune nuove opportunità (affordance) di realizzare la didattica, ad esempio nelle forme ubique, o con modalità più attive e più collaborative. Tra le affordance vedono anche la possibilità di valorizzare linguaggi multimodali per rappresentare le conoscenze, oppure occasione di attivare una formazione esplicitamente differenziata, a seconda dei bisogni e degli interessi degli studenti. Le ricerche e le esperienze, là dove vengono valorizzate consapevolmente queste nuove opportunità, confermano la loro validità didattica. Mettono in risalto, ad esempio, quanto cambiano le tradizionali tipologie delle relazioni tra docenti e studenti: da quelle unidirezionali a quelle multidirezionali. Oppure, quanto sono arricchite le interazioni tra i soggetti se vengono incluse e valorizzate nella didattica diverse dinamiche tra fattori linguistici, discorsivi e spaziali».
Lei è salesiano, don Bosco raccomandava agli educatori la necessità di essere presenti sul posto di lavoro ancora prima che arrivino i giovani. Oggi, in senso più ampio, potremmo dire che ai docenti è richiesto di sviluppare adeguate competenze per funzionare efficacemente negli spazi digitali… Quali competenze digitali sono richieste oggi ai docenti? E, di conseguenza, quale formazione per loro è opportuna perché la didattica sia integrata ed efficace nelle diverse modalità (interamente online e mista/duale)?
«Sono convinto che don Bosco sarebbe oggi ugualmente presente tra i giovani negli spazi digitali online, come lo era uno volta nell’oratorio, nella parrocchia o sulle piazze di Torino dell’Ottocento dove trovava ragazzi poveri e abbandonati. La povertà di oggi deve essere interpretata non solo in termini materiali, ma anche in quelli culturali e umani. Qui c’è spazio per i salesiani e per gli educatori di oggi. Focalizzando la nostra attenzione sui processi didattici realizzati negli spazi digitali o misti, dobbiamo riconoscere che qui c’è molto spazio per la presenza dei docenti. I processi didattici, realizzati negli ambienti misti o online, comunque, non solo modificano la progettazione o la valutazione, ma richiedono anche specifiche modalità di relazionarsi tra le persone coinvolte, specie tra docenti e studenti. In questo contesto, Randy Garrisson dell’Università di Calgary in Canada, individua tre tipologie di presenza con cui il docente sostiene i processi di apprendimento: teaching presence, social presence e cognitive presence. Tramite la prima, il docente fa percepire agli studenti le sue attività di progettazione e di organizzazione degli ambienti e delle esperienze di apprendimento. Tramite la seconda, il docente cerca di instaurare le relazioni di comunità di apprendimento al fine di rimediare la percezione di distanziamento creato dalle forme mediate di docenza. Infine, tramite la terza, il docente si fa percepire come esperto che guida non solo le di studio esterne, ma anche quelle interne nella struttura cognitiva e metacognitiva degli allievi. Anche se i tre tipi di presenza, definiti da Garrison, sono importanti per la didattica online e mista, è evidente che i principi su cui esse si basano sono universali e validi anche per la didattica in presenza in aula».
La competenza digitale in vista di promuovere l’occupabilità dei giovani costituisce una delle preoccupazioni principali della Raccomandazione del Parlamento Europeo del 4 giugno 2018. Come formare efficacemente le competenze digitali nella prospettiva lavorativa e occupazionale?
«Ci sono vari studi e pubblicazioni su questo tema. Non è il caso di sintetizzarli adesso o analizzare diversi aspetti che essi approfondiscono. Comunque, come la competenza del docente non si acquisisce separatamente dalle attività di insegnamento, così la competenza digitale in qualunque ambito lavorativo, per svilupparsi, deve essere praticata nel contesto concreto. E, inoltre, come nell’ambito didattico questa competenza non può essere ridotta solo all’abilità di usare strumenti e tecnologie, così negli ambiti disciplinari e occupazionali deve integrare aspetti personali, sociali e culturali. E queste cose sono ovvie e non c’è bisogno di soffermarsi su di esse più di tanto. Comunque, è obbligatorio parlare e riflettere oggi su un aspetto nuovo, di cui i documenti europei citati nella domanda ancora non parlano. Si tratta della comparsa degli strumenti basati sull’Intelligenza Artificiale (IA). Le loro possibilità superano in diversi casi le capacità della mente umana, ad esempio la velocità di elaborazione dei dati, di utilizzare complessi linguaggi di programmazione informatica, oppure avere accesso immediato alle enormi quantità di informazioni e risorse accumulate nella rete. Ciò che richiede un’attenziona particolare, comunque, non sono le potenzialità dell’IA in se stesse, anche se impressionanti. Ciò che dovrebbe far pensare è che questi sistemi vengono sviluppati con una velocità esponenziale e in modo che è difficile realizzare di pari passo un’adeguata riflessione sulle relative implicazioni. E quelle sono di varia natura, da quella economica e produttiva a quella personale e sociale, oppure quella antropologica ed etica. La formazione odierna alle competenze digitali, e qualunque altra formazione professionalizzante, quindi, oltre a basarsi sui modelli verificati positivamente nel passato, non può non prendere in considerazione questi aspetti emergenti nuovi e sempre più complessi».
Che cos’è l’ePortfolio e qual è il suo potenziale in vari ambiti disciplinari e professionali, tra cui anche quello dell’insegnamento universitario? Può essere attuato anche nelle facoltà teologiche?
«Quello dell’ePortfolio, è un tema molto studiato nella didattica. Si tratta di uno strumento che può sostenere i processi didattici a vari livelli. Per la forte componente riflessiva della metodologia di lavoro con questo strumento, gli studenti vengono sostenuti in modo particolare nell’apprendimento autoregolato, nella consapevolezza delle mete da raggiungere e dei processi che bisogna attivare. Dal punto di vista pratico, attraverso artefatti realizzati, gli studenti documentano sia i precorsi di apprendimento, sia i risultati raggiunti. La forma digitale del portfolio permette valorizzare, inoltre, tutte le opportunità offerte dal Web 2.0, cioè non solo l’accesso alla rete, ma anche un’attiva collaborazione con altri, docenti e studenti. Ciò che è più importante, però, non è la raccolta di lavori o presentazione dei risultati parziali che egli raggiunge, ma, come ho accennato sopra, una riflessione continua sui processi di apprendimento e sui progressi realizzati verso le finalità prestabilite. In questo modo lo studente, grazie a questo dialogo interiore con se stesso, diventa sempre più consapevole della propria crescita professionale e umana. Anzi, non solo è consapevole dei processi in atto, ma, grazie alla riflessione su tutto ciò che fa e grazie ai processi metacognitivi che si attivano in quei momenti, intenzionalmente gestisce lo sviluppo della propria identità come persona e come futuro professionista. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per qualunque ambito disciplinare, anche quello teologico. Per quanto riguarda i docenti, invece, l’ePortfolio offre ottime possibilità di realizzare una guida didattica e monitorare i progressi degli studenti. Avendo una visione aggiornata su questo, possono realizzare anche un feedback continuo e la valutazione formativa che, da parte loro, costituiscono elementi di fondamentali della docenza in ogni contesto formativo e su ogni livello di istruzione».
Paola Zampieri