L’altro, specchio per un nuovo umanesimo

Creare spazi di dialogo per diventare musulmani migliori, ebrei migliori, cristiani migliori e anche non-credenti migliori. Solo insieme, per la via senz’altro più difficile, si può costruire una cultura diversa, nuova, dove l’altro è ricchezza che va accolta, non eliminata. È il messaggio che l’imam di Firenze e presidente Ucoii, Izzedin Elzir, ha lanciato da Padova.

Dal punto di vista della morale c’è una straordinaria somiglianza fra islam e cristianesimo perché i concetti di bene e di male sono globali, basilarmente condivisi. È stato questo il primo punto fissato nell’incontro che ha messo in dialogo islam e cristianesimo nell’ambito del ciclo di conferenze Dove va la morale? Bene e male nell’incontro tra le religioni promosso a Padova da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza. Il 9 febbraio 2017 si sono confrontati Valentino Cottini, preside del Pontificio Istituto studi arabi e islamistica (Pisai) e direttore di Islamochristiana, e Izzedin Elzir, imam di Firenze e presidente Unione comunità islamiche d’Italia (Ucoii). [file audio degli interventi >]

Le “regole” per distinguere il bene dal male – ha affermato VALENTINO COTTINI – potremmo dirle “naturali”. Si trovano espresse dal codice di Hammurabi in poi e non sono ebraiche o musulmane o cristiane, non hanno bisogno di una rivelazione vera e propria, perché tutti sappiamo che cosa determinano: il vivere insieme. «Queste “regole sapienziali” – spiega – hanno la funzione di fissare razionalmente un ordine del mondo, che rifiuti gli eccessi e cerchi un equilibrio». Maestri indiscussi in questo equilibrio sapienziale sono stati i greci, da Socrate a Platone ad Aristotele, e poi sant’Agostino e san Tommaso in ambito cristiano; dal punto di vista musulmano è la ragione a dirci quali regole determinano il bene e il male. Si tratta dunque di un elemento che è umanamente condiviso al di là, e anche al di sopra, delle rivelazioni.
Se dal punto di vista pratico i concetti di bene e di male sono analoghi, qual è allora lo specifico di ciascuna religione? «La differenza sta nel rispettivo concetto di rivelazione, nel rapporto fra Dio che fissa i principi e l’uomo che modella oppure no il suo comportamento in base a quello che ha ricevuto – afferma Cottini. – Il Dio proposto dal cristianesimo è diverso (non migliore né peggiore, ma semplicemente diverso – sottolinea) da quello dell’islam e da quello dei filosofi. Il Dio cristiano è quello che opera un capovolgimento e, nella persona di Gesù, si mette a lavare i piedi ai discepoli: lo specifico cristiano è un Dio che si mette a servizio dell’uomo». Un Dio che si mescola, che mangia con i peccatori differisce dalle regole della purità ebraica o musulmana, dai tabù alimentari vigenti presso altre religioni. «Così il cristiano agisce in un certo modo perché è in Cristo e l’etica cristiana non potrà che essere filiale (pensiamo alla preghiera del Padre nostro). Il cristiano è chiamato a fare qualcosa in più non quantitativamente ma qualitativamente, cioè alla maniera di Dio. La componente filiale induce il cristiano ad assumere gli stessi sentimenti di Cristo, fino alla morte, cioè a dare la vita per avere la vita. Questo – conclude Cottini – è lo specifico dell’etica cristiana».

Come posso operare il bene verso ciò che sta attorno a me? Secondo l’imam di Firenze e presidente Ucoii IZZEDIN ELZIR è questa la domanda fondamentale da porsi, a prescindere dalla fede e dall’etica. «Lo sforzo – è questo il significato vero della parola jihad, puntualizza Elzir – più grande da compiere è cercare di vivere nella mia vita la parola del Signore. Secondo il Corano – spiega – Dio ha creato il bene e il male per metterci alla prova e chi gareggia per il bene avrà il paradiso; il musulmano deve lavorare per la giustizia non solo per la vita terrena ma anche per la vita eterna, con lo stesso impegno». Fra tutti gli strumenti da mettere in campo per arrivare al bene, «quello più importante è il rapporto umano: l’altro è il mio specchio. Si potrebbe parlare di “nuovo umanesimo”, dove la consapevolezza della limitatezza diventa invito a ricercare».
La religione non è soltanto prendere ciò che interessa. «Lo stesso Dio che mi chiede di digiunare, di non rubare, di pregare… mi chiede anche di aiutare il mio prossimo. Se prendo solo ciò che mi interessa seguo soltanto me stesso. Quanti cristiani o musulmani vivono realmente la loro fede? La religione – spiega Elzir – è rivelazione divina che un profeta ha trasmesso a noi e io l’ho scelta; se l’ho scelta la devo seguire. Occorre essere onesti e coraggiosi. Spesso non lo siamo. Siamo peccatori, che quando sbagliano devono chiedere perdono e dobbiamo riconoscere che la responsabilità è dell’uomo (l’essere umano non è perfetto), non della fede religiosa o del pensiero che uno ha».
E prosegue: «Il Corano dice che dobbiamo cambiare a partire da noi stessi: io devo modificare la mia vita e allora l’altro diventa il mio specchio. Dobbiamo mettere tanta energia, tanto sforzo, tanta jihad, per vivere quei valori che predichiamo. Lavorare insieme serve per arrivare all’essenza delle nostre fedi religiose, che ci aiutano a vivere in armonia; spesso invece le abbiamo usate per fare le guerre, per il terrorismo. Consideriamo che ebrei, cristiani e musulmani si sono scontrati al proprio interno più di quanto si siano scontrati con le altre fedi. Nella storia troppo spesso preferiamo leggere le pagine nere, la cronaca nera; abbiamo pregiudizi l’uno verso l’altro e non abbiamo costruito un’alternativa che ci permetta di vedere le cose da diverse sfaccettature».

«La questione – puntualizza il presidente Ucoi – non sono le nostre fedi religiose: noi vogliamo o no prendere le nostre responsabilità? Vogliamo lavorare per la nostra vita o siamo indifferenti? Siamo su una barca, se non la manteniamo insieme, la barca affonda e noi con lei. Dobbiamo sforzarci, per il bene dell’altro e anche per il nostro, di creare spazi di dialogo per diventare musulmani migliori, ebrei migliori, cristiani migliori; e lo stesso vale per chi non crede. Dobbiamo farlo insieme, sapendo che è la strada più difficile.
Lo scontro, la chiusura, il ghetto appaiono strade più facili. Invece occorre l’incontro, il dialogo per costruire una cultura diversa, nuova, dove l’altro è ricchezza che va accolta, non distrutta, eliminata. Ci vuole tempo per una crescita culturale, ma questa è l’unica strada per mantenere questa grande, unica famiglia umana, con pazienza, insieme».

Paola Zampieri

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