Come ci cambia il linguaggio della rete? Ha risposto a questa domanda Paolo Vidali, docente della Facoltà teologica del Triveneto, intervenuto martedì 10 marzo 2015 alla seconda conferenza del ciclo La Rete ci cambia?, promosso dalla Facoltà e dal Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Padova.
Il cambiamento linguistico dei media digitali, che sta mutando oggi il nostro modo di pensare e di essere, è stato preparato dalle generazioni che usavano i mass media tradizionali (radio, cinema, televisione). Il Novecento è stato il secolo del linguaggio, che da H.G. Gadamer a M. McLuhan a J. Rifkin si scopre essere una dimensione intrascendibile: la realtà è detta ma anche costruita nel linguaggio.
Dalla cultura orale alla scrittura e dalla stampa alla rivoluzione digitale la forma della comunicazione ha profondamente trasformato le strutture temporali e spaziali. I mass media hanno un solo tempo: il presente indicativo, un tempo a cono di luce dove tutto resta in un potenziale presente, pronto a essere ripresentificato. D. De Kerckhove definisce le nuove tecnologie digitali come tecnologie dell’intelligenza, evoluzione delle tecnologie della memoria, perché sostituiscono il replay (cioè la semplice riproduzione) con il remake. La rete infatti non è solo un enorme digestore dei media precedenti perché permette la convergenza di messaggi di testo, video ecc. in quanto tutti sono stati digitalizzati e resi omogenei, perciò nel nostro computer possiamo mediare tutti i linguaggi disponibili. Nasce una nuova ontologia digitale: la realtà è diventata maneggiabile, costruibile come un linguaggio; essa diventa trasformabile, non consumabile, duplicabile, ricomponibile, integra logos e pathos.
Citando Alessandro Baricco ne I barbari, Vidali così sintetizza i passaggi dalla “vecchia generazione” ai “nativi digitali”: la realtà era data, ora è mediata; dal reale si passa al virtuale; lo spazio era la mappa, il percorso per arrivare al senso che stava alla radice e la meta era la profondità, ora lo spazio è la geografia della rete e l’esperienza è una traiettoria, un sistema passante nell’ipermedialità che non ha contesto ma ragiona per link. Oggi viviamo una distribuzione di realtà a domicilio e il sapere che faticosamente si costruiva con paziente ricerca e analisi è ora affidato ai motori di ricerca e alla visualizzazione dei risultati; la sintesi ha lasciato il posto a un addomesticamento della realtà che ragiona per esempi, la logica all’analogia. Ieri si poteva dire: chi è comunica; oggi, chi comunica è.
La rete cambia la conoscenza? Su questo secondo interrogativo si è soffermato Simone Morandini, docente della Facoltà teologica del Triveneto. La trasmissione delle informazioni nella storia dell’uomo ha visto diversi livelli, intrecciati fra loro, da quello genetico a quello culturale, dal linguaggio e dalla scrittura alla tecnica, fino a quello spazio di memoria extrasomatica che chiamiamo infosfera. In essa oggi abitiamo, e non semplicemente collochiamo informazioni; essa è ambiente vitale condiviso che si evolve, ha un’accessibilità universale e sostanzialmente low cost (pensiamo alla connessione mobile, al tablet, allo smartphone, allo smartwath, ai Google glass). La rete – ha evidenziato Morandini – è portatrice di una intelligenza che cambia la scala di condivisione della conoscenza, impone i tempi dell’accelerazione, muta la forma del libro (ebook), della quantità e fruibilità delle informazioni (ipertestualità).
Ma non è tutto oro quel che luccica. Se appare meno pericoloso il rischio del degrado della memoria personale, a cui peraltro l’infosfera offre una robusta protesi, più attenzione occorre invece prestare alla verifica delle informazioni in rete e al pericolo di sganciarsi dalla realtà concreta abitando il virtuale. È il problema della piramide della conoscenza: le rete ci schiaccia così tanto con una base di dati e informazioni (troppo) ampia, al punto di ostacolarci nel raggiungere la saggezza? L’informazione forma, e potentemente, il nostro modo di pensare.
Il www è il pensiero della connessione, del collegamento, dell’interdisciplinarietà e della collaborazione (Wikipedia), fino a ciò che alcuni autori arrivano a pensare come noosfera (Pierre Teilhard de Chardin), cioè la nuova era della conoscenza e della cooperazione di una post-umanità reticolare e interconnessa. D’altra parte in rete si giocano anche sfide spietate (Leonardo Becchetti: Wikieconomia), dinamiche di acquisizione dei dati personali, nonché le derive di un’umanità tribale e divisa (Isis).
Per navigare e abitare questa accessibilità tendenzialmente universale e pluriforme della rete sono necessarie alcune virtù: disciplina del pensiero, serendipity, sapienza nel selezionare e dare forma all’informazione; occorre un quadro di valori condiviso, perciò bisogna orientarsi – conclude Morandini – verso la costruzione di un’opinione pubblica digitale, un civismo digitale: un’etica civile espansa a scala globale è la condizione per la sostenibilità dell’infosfera.
Il ciclo di conferenze La rete ci cambia? proseguirà martedì 17 marzo (Dipartimento di fisica e astronomia, vicolo dell’Osservatorio, 3 – aula Rosino, Padova, ore 15.30-18) con la conferenza tenuta da Paolo Benanti (Università Gregoriana), che entrerà nella questione di come la rete cambia la pratica della teologia. (vedi programma allegato ►)
Paola Zampieri