Studia Patavina, 70 anni a servizio della ricerca

Nel 2024 la rivista scientifica della Facoltà teologica del Triveneto festeggia i 70 anni di vita. Nata nel 1954 nell’ambito del Seminario di Padova dall’intuizione lungimirante dell’allora vescovo mons. Girolamo Bortignon, Studia Patavina ha attraversato diverse stagioni, esprimendo nelle sue pagine lo spirito del tempo e dei mutamenti in atto.

Nel 2024 Studia patavina, rivista scientifica della Facoltà teologica del Triveneto, compie settant’anni di vita.

Nata nel 1954 nell’ambito del Seminario di Padova dall’intuizione lungimirante dell’allora vescovo mons. Girolamo Bortignon, Studia patavina ha attraversato diverse stagioni, esprimendo nelle sue pagine lo spirito del tempo e dei mutamenti in atto. Sotto la guida del giovane teologo Luigi Sartori, in seguito perito al concilio Vaticano II, la rivista si costruì la necessaria solidità teologica e autorevolezza scientifica, per poi aprirsi, dall’originario fondamento sulla filosofia e la teologia, al nuovo orizzonte delle scienze religiose e stimolare il dialogo fra i saperi. Dal 2005, con la nascita della Facoltà teologica (di orientamento pastorale o “pratico”), di cui Studia patavina è divenuta la rivista scientifica, il cambio di linea editoriale l’ha spostata verso un nuovo intento programmatico, più marcatamente ecclesiale, ovvero «contribuire più esplicitamente alla formazione teologica e alla vita pastorale delle chiese del Triveneto, senza perdere l’attenzione nei confronti del più ampio contesto socio-culturale», spiega il direttore Stefano Didonè. «Le sfide rappresentate dallo sviluppo delle neuroscienze, dall’intelligenza artificiale e dall’orientamento postumanista, da un lato, e quelle concernenti le dinamiche complesse della realtà sociale e geopolitica, dall’altro, – conclude il direttore – richiedono un supplemento di ascolto delle Scritture e della tradizione, messo “in risonanza” con i racconti di vita dei soggetti e dei popoli, sempre meno lineari. Occorre oggi valorizzare le diverse linee del pensiero filosofico, teologico e pastorale, ospitandole in un respiro sinodale».

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Il direttore, Stefano Didonè, ripercorre nell’editoriale del n. 1/2025 alcuni passaggi fondamentali della vita della rivista e guarda al futuro.

70 anni a servizio della ricerca

Nella primavera del 1954 usciva il primo numero di Studia patavina. La singolare congiuntura storica in cui la nuova rivista si affacciava sul panorama editoriale italiano, vista a distanza di settant’anni, appare particolarmente significativa. Il primo numero usciva esattamente quattro anni dopo la pubblicazione della Humani generis (1950), la lettera enciclica di Pio XII “circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica”, e cinque anni prima dell’annuncio del concilio Vaticano II (25 gennaio 1959). Per una rivista che si presentava ai cultori di filosofia e teologia tale circostanza non può passare inosservata e in un tempo come il nostro, caratterizzato dalla forte polarizzazione anche in ambito di politica culturale, l’intuizione dell’allora vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, appare decisamente lungimirante per l’epoca. Essa si sviluppava in due obiettivi strategici. Il primo guardava al rapporto tra cristianesimo e modernità, il secondo agli equilibri di casa, per così dire. Anzitutto si cercava di «realizzare una mutua apertura e una proficua unione di forze tra clero e laicato cattolico, (di) ottenere una vera circolazione del sapere cristiano il più integrale possibile, portando la cultura contemporanea sotto lo sguardo del clero e dei teologi, la teologia contemporanea sotto lo sguardo del laicato e dei pensatori d’oggi. Ma essa non solo intende imporsi per un severo carattere scientifico; aspira nello stesso tempo a rendersi strumento di aggiornamento, accessibile ai molti sinceri amici della sapienza» . In un contesto che appariva complessivamente stagnante, in cui l’insegnamento della teologia era seduto su una certa manualistica teologica più che alimentato da una vera e propria ricerca, l’intento era notevole, per non dire ardito. Il secondo obiettivo di Bortignon era promuovere il dialogo e la collaborazione delle due istituzioni culturali (i due “Studia”) presenti a Padova, cioè la Universitas theologorum istituita a Padova da Urbano V con decreto del 15 aprile 1363 e la libera Università di Padova, fondata nel 1222.

Le origini: filosofia e teologia

A distanza di settant’anni da quella intuizione, osserviamo che la rivista ha attraversato diverse stagioni, esprimendo nelle sue pagine lo spirito del tempo e dei mutamenti in atto, fino a quel “cambiamento d’epoca” (papa Francesco) che stiamo vivendo. Ripercorrendo le principali tappe della vita della rivista si possono scorgere in filigrana i movimenti culturali e gli orientamenti ecclesiali postconciliari. Come ha ben ricordato lo storico segretario di redazione don Celestino Corsato in un intervento a Padova nel 2011, il percorso della rivista vede tre periodi. Se consideriamo l’attuale come il quarto periodo, possiamo riconoscere quattro tappe e all’interno di esse due importanti “svolte” – in senso heideggeriano (Kehre) – nell’impostazione dei contenuti e della linea editoriale. Tali “svolte” corrispondono a diversi orientamenti editoriali della rivista, che riflette, in tale modo, anche lo sforzo culturale delle chiese in un’epoca di crisi e accelerazione del processo di secolarizzazione.
La prima tappa, quella degli inizi, fu caratterizzata dalla sfida di rendere autorevole la neonata rivista, superando lo storico pregiudizio e la diffusa diffidenza che il pensiero cattolico non potesse esprimersi liberamente a motivo della sua dipendenza dal magistero ecclesiastico. Nella città che era conosciuta per la proverbiale patavina libertas, il tema era decisamente sentito. Per accreditare la rivista si spesero le firme di autorevoli pensatori del tempo quali, per l’Università di Padova, i filosofi Umberto Padovani e Luigi Stefanini; per il Seminario, lo storico Ireneo Daniele, il teologo Siro Offelli, il biblista Arcangelo Rizzato. L’anima della rivista era incarnata nella figura del segretario‐direttore, il giovane teologo Luigi Sartori (1924-2007), che fu in seguito perito al concilio Vaticano II. A Sartori va riconosciuto il merito storico di aver conferito alla rivista la necessaria solidità teologica, unita alla capacità di ospitare e tenere vivo il dialogo tra i saperi. Dal punto di vista strutturale, la rivista si presentava al lettore divisa in quattro sezioni: Articoli, Note e discussioni, Notiziario, Recensioni. Quest’ultima, in particolare, fu subito molto apprezzata, anche a motivo dell’autorevolezza delle firme dei recensori, tra i quali Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Gianni M. Pozzo, Giovanni Di Napoli, Pasquale Palmeri, Anna Maria Checchini, Tullio Malfer.

La novità delle “scienze religiose”

La seconda tappa, in cui è riconoscibile la prima delle due “svolte” nella linea editoriale della rivista, fu quella dell’immediato post-concilio e dell’apertura della filosofia e teologia alle scienze sociali o scienze umane, tra le quali in primis l’antropologia, la sociologia, la filosofia della religione e la psicologia. Nel 1968, in un contesto di tumultuoso cambiamento sia in ambito civile che ecclesiale in seguito alle riforme promosse con il Vaticano II (1963‐1965), la rivista si presentava con un nuovo sottotitolo, mantenendo lo stesso nome: da Rivista di filosofia e teologia diventava Rivista di scienze religiose. Il nuovo orientamento contenutistico esprimeva l’entusiasmo dell’epoca per l’avvento delle “scienze religiose”, intese come nuovo orizzonte del fare filosofia e teologia. Questa prima “svolta” consiste in un nuovo assetto epistemologico, per cui ci si accosta alla Rivelazione non dall’interno della fede (intellectus fidei) ma dall’esterno, come fenomeno religioso, in un contesto multi- e inter-disciplinare, in dialogo con le altre religioni e con i diversi saperi che studiano le religioni. Da ciò deriva un modo di procedere che valorizza maggiormente il raccordo tra discipline fondamentali cosiddette “di confine” (come la teologia fondamentale, la fenomenologia storico-comparata della religione e la filosofia della religione, l’epistemologia e la sociologia della conoscenza) e le altre scienze della religione (la storia delle religioni, la psicologia della religione, la sociologia della religione). Con l’istituzione a Padova della Sezione parallela della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, nel 1972, la rivista diventa espressione della vita della Sezione e degli Istituti dell’Università di Padova e del Triveneto.
La terza tappa inizia simbolicamente con l’approvazione del nuovo statuto della rivista (1984), accompagnato dall’auspicio dell’allora vescovo di Padova mons. Filippo Franceschi che il dialogo costante fra la teologia e la cultura portasse «la ricerca scientifica verso una sempre più piena intelligenza del senso della storia e della vocazione dell’uomo. L’una e l’altra, la teologia e la cultura, hanno, infatti, il loro punto di incontro e di convergenza nell’uomo, al cui servizio si pongono» . In quel frangente la rivista, guidata da autorevoli studiosi come G. Leonardi, G. Segalla e G. Trentin, continua il suo naturale corso volto al dialogo tra i saperi, celebrando annualmente un autorevole “simposio” in materia di scienze religiose, implementando i cambi alla pari con altre riviste nazionali e internazionali e realizzando il secondo dei due volumi di Indici generali e particolareggiati, di grande utilità per gli studiosi.

Il dilemma del “pratico”

Una seconda “svolta” è invece riconoscibile con la nascita della Facoltà teologica del Triveneto (2005), di orientamento “pastorale” o “pratico”. In quel frangente la rivista cambia decisamente linea editoriale e si prefigge di offrire, in quanto espressione della neonata Facoltà, «un contributo scientifico al discernimento ecclesiale» , ovvero contribuire più esplicitamente alla formazione teologica e alla vita pastorale delle chiese del Triveneto, senza perdere l’attenzione nei confronti del più ampio contesto socio-culturale. Con questo nuovo intento programmatico, più marcatamente ecclesiale, la rivista cambia nuovamente sottotitolo e diventa dal 2011 Rivista della Facoltà teologica del Triveneto. Questa “seconda svolta” deve tuttavia fare i conti con la determinazione della categoria del “pratico”, che appare in alcuni momenti della ricostruzione storica quasi un oggetto misterioso. Il cimento teorico assorbe molte energie della prima fase della vita della Facoltà, volendo evitare di naufragare in una declinazione inadeguata dell’approccio e volendo rispettare l’originaria ispirazione biblica della metodologia teologico-pratica proposta nei corsi. Di qui la sfida: «Alla prospettiva del pratico appartiene una delle maggiori sfide del pensiero antropologico odierno: quella del superamento della riduzione del corpo e del cosmo a mezzo, a strumento, a risorsa operativa, alla cui origine troviamo la saldatura tra il nominalismo teologico e l’idealismo della visione moderna della soggettività» . Difficile verificare se questa sfida sia stata vinta o meno e se le pratiche pastorali abbiano di fatto prevalso sull’istanza teorica del pratico. Di fatto, il nuovo orientamento prevedeva una nuova impostazione dei contenuti e della struttura della rivista. Dal punto di vista dei contenuti, diventa prioritario il chiarimento teorico del pratico attraverso il confronto con autori come Rosmini, Blondel e Spaemann, mentre dal punto di vista della struttura vengono introdotti i Focus tematici, la cui progettazione ed elaborazione diventa occasione di incontro e di confronto tra docenti di età e formazione diversa. Forse la stessa necessità di dover ribadire più volte la convinzione che l’indirizzo “pratico” è ciò che caratterizza, fin dal suo nascere, la Facoltà teologica del Triveneto, è indice che tale orientamento non è ancora pervenuto a una chiarificazione definitiva. L’accompagnamento dell’azione pastorale delle chiese attraverso l’approfondimento teorico e il confronto critico con gli indirizzi del pensiero contemporaneo, in particolare quello antropologico, richiede ulteriore impegno in quanto l’esperienza umana è irriducibile a una teoria sistematica dell’umano.

Un cambio di stile

Gli sviluppi recenti della rivista, alla luce delle considerazioni svolte e guardando alle attuali esigenze (e risorse), indicano che il suo presente (e ancor di più il suo futuro) appaiono evidentemente legati a quelli della Facoltà. Possiamo considerarla come la quarta tappa del percorso. Archiviate le battaglie sullo statuto epistemologico delle scienze, il servizio alle chiese del Triveneto sembra richiedere attualmente una ulteriore “svolta”, che potremmo definire di taglio “sapienziale”, disponibile, cioè, all’ascolto dell’umano in tutte le sue espressioni e rintracciando in esso le orme del divino. Le sfide rappresentate dallo sviluppo delle neuroscienze, dall’intelligenza artificiale e dall’orientamento postumanista, da un lato, e quelle concernenti le dinamiche complesse della realtà sociale e geopolitica, dall’altro, richiedono un supplemento di ascolto delle Scritture e della tradizione, messo “in risonanza” con i racconti di vita dei soggetti e dei popoli, sempre meno lineari. Appaiono maturi i tempi non solo per il superamento del cosiddetto doppio binario (teologia e scienze religiose) , ma anche per una diversa impostazione della formazione cristiana, che tenga maggiormente conto della persona come “soggetto sorgente” e non solo come “risorsa umana”. L’esperienza degli “ascolti” sinodali non è estranea a questa ulteriore trasformazione, necessaria per il superamento di un certo funzionalismo che appesantisce le relazioni e rende sbiadito lo sforzo di elaborare quella «sapienza di vita che si rende disponibile a Dio» in quanto ispirata dalla rivelazione biblica. Non essendoci un’unica interpretazione della Parola rivelata e della comprensione della verità, occorre valorizzare le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, ospitandole in un respiro sinodale. A questo «cambio di stile nel custodire la fede e nel crescere nella comprensione della fede» Studia patavina può certamente continuare a offrire – con l’aiuto di molti – un contributo significativo.

Stefano Didonè
direttore Studia patavina

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