Thailandia, i doni della missione alle chiese d’occidente

“Dialogo interreligioso e inculturazione della fede” è il tema della Summer School che si svolgerà in Thailandia dal 6 al 20 luglio 2020. Mentre il paese asiatico si prepara a ricevere la visita di papa Francesco (19-23 novembre 2019), il prof. Andrea Toniolo ci accompagna a conoscere la realtà thailandese, dove i cattolici sono lo 0,5 per cento della popolazione, ma il cristianesimo è caratterizzato dalla vitalità, dal senso del sacro e dell’ospitalità.

Fare teologia, insegnare e studiare teologia oggi, non è pensabile se non in una prospettiva di mondialità, cioè di confronto, apertura, dialogo critico con i mondi, i popoli, le tradizioni, le religioni che il cristianesimo incontra. In un contesto di attenzione al dialogo interreligioso e al rapporto tra la missione della chiesa e le altre religioni e culture, si colloca la Summer School “Dialogo interreligioso e inculturazione della fede”, che si terrà in Thailandia (6-20 luglio 2020), promossa dalla Facoltà teologica del Triveneto in collaborazione con la Conferenza episcopale triveneta e gli Uffici missionari del Triveneto, coordinata dai docenti Andrea Toniolo e Giulio Osto, assieme ai missionari fidei donum, in particolare don Attilio De Battisti.

La proposta è rivolta a tutti gli studenti (laici e laiche, seminaristi, religiosi e religiose, presbiteri), della sede della Facoltà teologica, degli Istituti teologici affiliati e degli Istituti superiori di Scienze religiose del Triveneto. È estesa anche agli ex alunni della Facoltà e agli insegnanti di religione cattolica del Triveneto. Per i dettagli clicca qui – scarica il depliant.

Don Andrea Toniolo, ordinario di Teologia fondamentale della Facoltà, presenta la Summer School e la realtà thailandese in cui si svolgerà.

Professor Toniolo, come nasce questa iniziativa e come si inserisce nella dimensione accademica della Facoltà teologica del Triveneto?
«La proposta innanzitutto si lega alla natura stessa della teologia nel contesto odierno, che è plurale, interreligioso e interculturale. Da un punto di vista accademico puntiamo alla internazionalizzazione, a sviluppare cioè il carattere di apertura e di relazione internazionale che un’istituzione universitaria costruisce per qualificare la propria proposta. Una terza dimensione è l’attenzione verso la teologia pastorale, “pratica”, e il tema della missione; la nostra Facoltà è infatti caratterizzata da un indirizzo teologico “pratico”, sostenuto anche da una cooperazione missionaria che la chiesa del Triveneto ha avviato con la chiesa thailandese già a partire dai primi anni del Duemila. L’occasione, infine, è stata un semestre di ricerca che ho trascorso in Asia, in India e in Thailandia, dove ho avuto modo di tessere le prime relazioni e di verificare la fattibilità della proposta».

Quale percorso seguirà la Summer School?
«Il percorso toccherà la capitale thailandese Bangkok, le antiche capitali di Ayutthaya e Sukhothai, il Nord della Thailandia, in particolare Chiang Mai, Chaehom e Lamphun».

Che tipo di esperienze verranno proposte?
«Sono previste tre tipologie di esperienze. Visite di luoghi e istituzioni: università buddhista di Bangkok, centri culturali e luoghi di culto buddhisti; villaggi nelle missioni, scuole e centri culturali cattolici, partecipazione a eventi di folklore e storia locale. Incontri con persone locali: missionari, monaci buddhisti, operatori pastorali, teologi. Corsi, lezioni e approfondimenti su alcuni temi: sfide della chiesa in Asia; il paradigma della missione in un contesto di minoranza e nel dialogo con altre religioni; il dialogo tra cristianesimo e buddhismo; confronto con prassi pastorali e di inculturazione locali; implicazioni per il cristianesimo e le chiese europee».

Qual è la realtà thailandese che i partecipanti alla Summer School incontreranno?
«La Thailandia è un paese di circa 60 milioni di abitanti, a maggioranza buddhista. I cristiani sono presenti all’1% e i cattolici sono lo 0,5%. La chiesa thailandese sta per vivere la visita del papa (19-23 novembre 2019), in occasione dei 350 anni dall’inizio della evangelizzazione ufficiale, cioè della creazione delle prime diocesi».

La presenza cattolica allo 0,5 per cento della popolazione dice una missione in un contesto di forte minoranza.
«I numeri indicano due cose importanti. Innanzitutto, dicono che il dialogo tra cristianesimo e buddhismo è un terreno di lavoro rilevante e ancora poco esplorato; senz’altro è un ambito di inculturazione da curare e da sviluppare. Senza dimenticare il dialogo con le religioni tradizionali o animiste, che sono presenti nel nord del paese e con le quali si confrontano in modo particolare alcuni nostri missionari. In secondo luogo, l’esperienza thailandese è interessante perché ci offre un esempio di missione in un contesto in cui i cristiani sono una piccola minoranza, ben diversa dalla missione in ambito occidentale dove i cristiani sono la maggioranza».

Il confronto con questa realtà ecclesiale quali ricadute ha per la chiesa in Europa?
«Dall’esperienza thailandese possiamo imparare che cosa significa dialogare con altre culture e altre religioni e anche la fatica di vivere in un contesto non totalmente cristiano, dove non si può contare su forze sociali ma solo sulla testimonianza».

Vivere perennemente in stato di missione richiama uno dei temi ricorrenti di papa Francesco, quello della “chiesa in uscita”.
«Il confronto con questo tipo di missione permette di riscoprire anche ciò che qualifica la realtà della fede e della chiesa, ovvero l’essere “chiesa in uscita”. La chiesa e il credente non possono pensarsi come una realtà già definita e autoreferenziale; non possono accontentarsi di mantenere lo status quo o, come può succedere in Europa, cullarsi nelle tradizioni passate».

Qual è la chiave per poter essere in grado di dialogare con questo contesto mondiale nuovo?
«La chiesa deve uscire, anche nei paesi dove ancora la maggioranza è battezzata. Nei paesi asiatici, in particolare, è diffusa la percezione del cristianesimo come religione straniera e occidentale, quindi lontana dalle culture e dalle religioni asiatiche. C’è questa percezione perché si identifica cristianesimo con occidente, con economia occidentale, capitalismo e colonialismo».

Qual è la sfida dell’inculturazione in questi paesi?
«La sfida consiste nel far vedere che il cristianesimo non è monoculturale, cioè non è legato a una cultura, quella occidentale, ma che esso è capace di incarnarsi, di diventare parte di tutte le culture, senza perdere la propria identità. Un cristianesimo capace di diventare anche africano, asiatico, latinoamericano…».

Anche nel mondo occidentale ci sono segnali di questa percezione di estraneità del cristianesimo?
«Paradossalmente c’è la diffusa percezione che il cristianesimo anche in occidente, perlomeno in Europa, stia diventando una religione estranea, straniera, cioè poco conosciuta, relegata alla vita privata, lontana dalla vita pubblica e culturale. Ciò si nota soprattutto nella fascia giovanile, dove è evidente la fatica di comprendere e di accogliere la proposta cristiana».

È un segnale d’allarme per le nostre chiese.
«La percezione dell’estraneità e il tema dell’inculturazione non sono problemi soltanto dei paesi asiatici, ma diventano paradossalmente anche la questione centrale del cristianesimo nei paesi di origine cristiana. Le chiese d’Europa sono chiamate a innescare processi di reinculturazione del cristianesimo, in modo che anche nel vecchio continente la fede cristiana in un contesto nuovo, quindi plurale e non più uniforme come in passato, possa avere significato, rilevanza e credibilità a livello pubblico».

Che nome prendono le grandi sfide di oggi?
«La prima sfida è quella della mondialità in cui si trova la chiesa cattolica, per cui non può più pensarsi come chiesa legata solo a una realtà culturale o occidentale. Un papa non europeo che cerca (ad esempio attraverso i sinodi) di porre l’attenzione anche fuori dall’Europa segnala fortemente questo carattere mondiale; la chiesa se ne sta rendendo conto, ma l’Europa fatica a cedere la primogenitura, come il fratello maggiore della parabola del padre misericordioso. La questione della mondialità è la sfida di pensare la chiesa in una prospettiva non più solo occidentale ma “universale”, “cattolica” come dice la parola stessa: secondo il tutto e secondo tutti. In secondo luogo, c’è la questione della inculturazione e quindi di una re-inculturazione o di una rinnovata inculturazione del cristianesimo anche nell’Europa».

Con quale atteggiamento si affrontano le sfide della mondialità e della re-inculturazione?
«Come cristiani europei dobbiamo superare l’atteggiamento del risentimento del fratello maggiore e riconoscere che abbiamo da imparare molto anche dalle chiese non europee. Le chiese di missione sono più povere materialmente, forse anche più fragili, ma danno testimonianza di vitalità e di fede. Il nostro cristianesimo un po’ stanco può imparare dalla loro vitalità, dal loro senso del sacro e dell’ospitalità. Sono questi i doni che le chiese non europee possono offrire alle chiese di antica tradizione».

Paola Zampieri

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