Triveneto-Thailandia. Quando la teologia incontra i popoli

Mattia Vicentini, 31 anni, docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Bolzano, è stato per due mesi visiting professor al Saengtham College University di Bangkok, nell’ambito del protocollo di scambio attivo tra la Facoltà del Triveneto e la realtà accademica thailandese. In questa intervista racconta la sua esperienza.

Saengtham College University.

Il prof. Mattia Vicentini, 31 anni, un dottorato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana e da quattro anni docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Bolzano, è stato per due mesi visiting professor al Saengtham College University di Bangkok, nell’ambito del protocollo di scambio attivo fra la Facoltà teologica del Triveneto e la realtà accademica thailandese.

«Dall’Italia a Bangkok sono dodici ore di volo che significano entrare in un mondo diverso, in cui la fede ha una dimensione pubblica fortemente radicata ed è attenta a rispondere alle domande della vita quotidiana» racconta il docente.

In un Paese in cui il 90 per cento della popolazione abbraccia la religione buddhista e i cattolici sono solo lo 0,5 per cento, la chiesa ricopre all’interno della società un ruolo importante e riconosciuto nell’ambito dell’istruzione. Per questo Saengtham College University punta alla formazione integrale degli studenti, fornendo le competenze per confrontarsi con il tessuto sociale locale e per dialogare con le altre fedi religiose presenti sul territorio.

Mattia Vicentini con alcuni studenti.

Professor Vicentini, quale realtà accademica ha incontrato in Thailandia?
«La realtà teologico-accademica thailandese è giovane e piccola, ma ricca di stimoli. C’è una sola Facoltà teologica cattolica per tutta la Thailandia, a cui si rivolgono le varie diocesi locali. Il percorso di studi è pensato in primo luogo per la formazione dei seminaristi, ma possono iscriversi – e sono presenti – anche laici e laiche, religiosi e religiose. Il percorso di studi è simile a quello che si può trovare nelle Facoltà teologiche italiane e prevede un biennio filosofico (propedeutico) a cui seguono quattro anni di studio della teologia. Gli iscritti sono circa 120, prevalentemente seminaristi provenienti dalle diocesi locali. Il corpo docenti invece si presenta più variegato e internazionale, con professori e professoresse sia thailandesi sia provenienti dall’Europa e da altre regioni del sud est asiatico».

Mattia Vicentini con Theeraphol Kobvithayakul, vicepreside del Saengtham College University.

Che cosa caratterizza il percorso degli studi teologici?
«Rispetto ai programmi di studi italiani, viene dedicato un ampio spazio allo studio della spiritualità, delle filosofie e delle religiosità orientali, come quella buddhista. Considerato che circa il 90 per cento della popolazione abbraccia la religione buddhista e i cattolici sono solo lo 0,5 per cento della popolazione, lo scopo è formare non solo alla propria fede, ma fornire anche le competenze necessarie per confrontarsi con il tessuto sociale locale e dialogare con le altre fedi religiose presenti sul territorio. Il Saengtham College University punta a una formazione integrale: non si limita a fornire le competenze accademiche necessarie ai futuri ruoli che le studentesse e gli studenti ricopriranno, ma dà particolare importanza anche alla formazione spirituale, come pure allo sport».

Quali prospettive di impiego si aprono una volta completato il ciclo di studi?
«Le prospettive post-laurea, per chi non è seminarista, sono nella pastorale, con possibilità di impiego a vari livelli. L’insegnamento della religione cattolica non è infatti presente nelle scuole pubbliche, ma la chiesa svolge all’interno della società thailandese un ruolo importante e riconosciuto nell’ambito dell’istruzione. Sono infatti numerose le scuole private cattoliche (di vario grado), come anche le università. Questo ruolo è ricoperto sia in quella che possiamo definire come alta formazione (scuole e università di prestigio) che nella formazione nelle zone più remote del Paese, come i piccoli villaggi situati nel Nord. Oltre all’ambito dell’istruzione, la chiesa investe molte energie anche nel sociale».

Durante la sua permanenza in Thailandia quale realtà di chiesa ha incontrato?
«Mi sono trovato di fronte a una chiesa piccola, di minoranza, ma ricca di energie e di voglia di vivere il messaggio evangelico all’interno del tessuto sociale in cui è inserita. La prima cosa che si nota nelle celebrazioni liturgiche è il numero di persone giovani che vi partecipano. La seconda è l’alto numero dei partecipanti. Spesso le chiese non hanno lo spazio per ospitare tutti i fedeli e la funzione viene proiettata anche all’esterno, dove le persone sedute vi possono partecipare. Una particolare attenzione viene dedicata a vivere la fede cristiana a partire dalla propria identità e all’interno delle peculiarità della società thailandese. Tra le varie iniziative in atto c’è l’elaborazione di forme di meditazione che sono un punto di incontro tra la spiritualità europea (Maria Teresa d’Avila, ad esempio) e quella orientale. È una chiesa che accoglie e che vive il compito di essere in uscita e soffre anche varie forme di povertà. La maggior parte dei fedeli si trova nelle regioni a nord del paese, quelle più povere e meno turistiche».

Zona Chiang Rai. Comunità locale dopo la celebrazione.

Quale ruolo hanno laici e laiche?
«Hanno un ruolo importante, che si comprende a partire dalla conformazione territoriale della chiesa locale. Come dicevo, la maggior parte dei credenti si trova nelle zone a nord del paese, che sono le meno sviluppate e urbanizzate. I paesi sono solitamente molto piccoli, possono essere composti anche solo da poche case, difficili e lontani da raggiungere. Il parroco molto spesso ha numerose parrocchie e non riesce a recarsi in ciascuna tutte le settimane. Per questo motivo è stata pensata la figura del catechista».

Quale compito è assegnato al catechista?
«A differenza dell’Europa, il catechista non è dedito solamente alla formazione religiosa dei bambini, ma diventa una figura importante all’interno della comunità e si occupa di ciò che concerne la vita spirituale, in accordo e in contatto con il parroco. La formazione dei catechisti dura tre anni e ha lo scopo di sviluppare conoscenze e competenze sia a livello teologico-religioso che sociale. Ci sono scuole apposite, pensate per la formazione specifica dei catechisti e delle catechiste».

Foreste nella zona Chiang Rai.

Essere una realtà di minoranza nel proprio Paese non impedisce alla chiesa cattolica thailandese di aprirsi alla realtà internazionale, grazie anche al lavoro dei missionari.
«Esattamente, proprio perché chiesa di minoranza è sensibile a intessere relazioni con l’esterno a più livelli, dall’insegnamento alla pastorale, passando anche per accordi internazionali con altre chiese e cercando di aiutare comunità ecclesiali maggiormente in difficoltà, come ad esempio quella birmana. Un ruolo importante viene offerto certamente dai missionari. Da un lato, la chiesa thailandese sta formando oggi i suoi missionari, che si trovano già in numerosi paesi del sud est asiatico e, dall’altro, accoglie missionari dall’Europa. Un ruolo importante è stato ricoperto ed è occupato ancora oggi dai missionari del Triveneto, che vivono e operano soprattutto nel nord del paese, al confine con il Laos e la Birmania».

Quale è stato, e qual è, nello specifico, il ruolo dei missionari inviati da oltre vent’anni dalle chiese del Triveneto?
«I primi missionari provenienti dal Triveneto hanno inteso la loro missione nella forma di un annuncio del Vangelo, anche attento ai bisogni e alle difficoltà delle comunità che hanno incontrato. Un esempio sono i numerosi orfanotrofi che hanno aperto. Se gli orfanotrofi sono la presenza più visibile nel territorio, le realtà in cui sono intervenuti per aiutare la popolazione sono però molteplici. Un altro esempio è quello delle banche del riso e di altri alimenti; si tratta di riserve condivise da più paesi, in cui il riso in eccesso alle singole comunità viene offerto per le comunità che invece hanno perso i raccolti».

Foreste nella zona Chiang Rai.

Nel contesto sociale che ha potuto toccare con mano, c’è qualche situazione che l’ha particolarmente colpita?
«Sono stato nella zona di Chiang Rai, al confine con il Laos e la Birmania. È una realtà particolarmente complessa, che vive un importante fenomeno migratorio di persone che da entrambi i paesi superano il confine con la Thailandia a causa di persecuzioni religiose e politiche, oltre che per situazioni di povertà. Un servizio importante in questo tessuto ecclesiale è svolto dagli orfanotrofi, dove trovano una casa e la possibilità di studiare molti bambini e bambine che vivono in situazioni familiari complesse o sono senza una famiglia. Le comunità nel nord del paese sono piccole realtà locali dove le persone conducono una vita semplice, fatta di agricoltura ed economia di sussistenza. Qui semplicità è la parola d’ordine e il Vangelo ricopre un ruolo centrale all’interno della vita delle persone».

Che cosa le ha dato questa esperienza?
«È stata un’esperienza particolarmente ricca sia da un punto di vista accademico che culturale, sociale e spirituale. Sotto l’aspetto accademico e di insegnamento significa entrare in una realtà che ha punti di riferimento culturali e intellettuali molto diversi dai nostri e che chiede di ripensare non solo i linguaggi ma anche le forme e le strutture dei propri ragionamenti e delle proprie idee. Posso definirla come un’esperienza di scambio reciproco: da un lato, gli studenti hanno avuto l’opportunità di confrontarsi con un modo europeo di fare teologia e con nuove provocazioni; da parte mia, c’è stata la possibilità di incontrare istanze e provocazioni differenti rispetto a quelle delle nostre comunità e istituti teologici».

Paola Zampieri

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