Il racconto dei fatti che costituiscono il concilio di Nicea apre quanto Rufino aggiunge di suo alla versione latina della Storia Ecclesiastica di Eusebio, divenendo “fonte” per gli storici successivi (Socrate e Sozomeno). Per il suo originale apporto Rufino dichiara di servirsi di maiorum litterae e di nostra memoria (HE, prologo).
L’aquileiese sembra approcciare la questione ariana come tensione tra la simplicitas fidei, rin-venibile nella testimonianza dei confessori, di cui adduce un esempio, e la calliditas dell’ars dialectica propria dei “filosofi”. Si tratta della tensione tra la fede professata nel battesimo e il quadro culturale dell’epoca. Tale tensione chiede alla prima di oltrepassare il rischio della imperitia per non venire deformata dalle insidie della seconda, approdando ad una associa-zione coerente di virtus Spiritus et verba, tale da consentire alla fede di esprimersi nella communio ecclesiarum uno cunctorum ore et corde.