Filosofia e teologia in dialogo sul potere

Ambiguità e fascino, enigma e ambivalenza: si muove entro le maglie di questa rete la trama del potere. Confinato, nella storia del pensiero, in ambito etico e soprattutto politico, il tema del potere potrebbe invece assumere una maggiore centralità nella riflessione filosofica e teologica, come ha sostenuto il prof. Oreste Aime intervenendo il 1° dicembre 2015 alla giornata di studio annuale, dal titolo Fascino e ambiguità del potere, organizzata dal biennio di licenza della Facoltà teologica del Triveneto.
La ricerca del prof. Aime, docente della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Torino è partita da due recenti indagini sul potere, a cura di Simona Forti e Gustavo Zagrebelsky, che trovano in Fedor Dostoewskij l’ispirazione fondamentale; entrambi – ha fatto notare Aime – marcano la questione in una prospettiva di filosofia politica però mancano di indagare l’elemento religioso: anche dove c’è il sacro compare il problema del potere.
La filosofia del Novecento ha contribuito a fissare alcune determinazioni ontologiche del potere: come sostanza (il potere come un qualcosa: Carl Schmitt, Hannah Arendt), come evento (qualcosa che accade: Elia Canetti), come processo (una relazione che struttura o una dinamica di forze: Niklas Luhmann, Michel Foucault), ma anche come (quasi)trascendentale (condizione di possibilità, istanza ultima che si sottrae: Paul Ricoeur, Jacques Deridda). Sono nozioni fluide, in prospettive diverse, «dove l’approccio politico resta indispensabile ma non è sufficiente» ha osservato Aime, aggiungendo: «va messo in risalto anche il lato antropologico-etico, in cui si può includere il versante trascendentale e il collegamento con il lato religioso. Il potere in sé non è un universum ma un multiversum e richiede un approccio plurale e ad assetto variabile».
Il rapporto con il potere nei tempi recenti si è profondamente modificato, ha proseguito Aime: «Spregiudicatezza e forza non sono scomparse, si nascondono nei processi di mediazione e nei giochi di interesse, onnipresenti e sfuggenti. Dall’ambito tradizionale politico, militare, imprenditoriale il potere si è trasferito strutturalmente nella finanza e nella tecnica, unificate nel desiderio di una crescita di sé senza limiti». Nel tempo della tecnocrazia, dove il logos è diventato kratos nella forma del puro autoaccrescimento, «designare questo processo che mantiene tratti enigmatici, identificarlo nei suoi tratti fondamentali ma anche demistificarlo – ha concluso Aime – è un compito del pensiero di oggi, non senza l’ausilio di una forza resistente e creativa, a cui può contribuire la teologia, consapevole tanto dell’origine quanto dell’eschaton».
 
Lucia Vantini, docente dell’Istituto superiore di Scienze religiose San Pietro martire di Verona, ha ripreso la questione del potere sotto la forma della processualità, a partire cioè dai luoghi in cui esso passa e lascia tracce: la vita psichica (il soggetto non è solo colui che patisce il potere dall’esterno, ma ne è il prodotto: Judith Butler), il soggetto potente (il potere/”forza” ha in sé qualcosa di tragicamente distruttivo: Simone Weil), le relazioni affettive (queste nascondono spesso del potere mascherato nella forma dell’aspettativa di corrispondenza: Michela Marzano).
Da questi luoghi di “passaggio” del potere si leva la domanda: il cristianesimo, messo alla prova su questo terreno, con un criterio cristologico/trinitario, può produrre un rovesciamento delle problematiche individuate? La vita psichica del potere può diventare la forza per smascherarlo? Si può pensare che la sua impermeabilità alla volontà dei vincitori sia il segno della sua indisponibilità, il segno di qualcosa di sacro che mette di fronte al fatto che esso non può appartenere mai totalmente a nessuno? E infine, si può passare da un potere dentro gli affetti a un potere degli affetti, per potervi affidare la trasformazione del mondo?
«La kenosi del Dio incarnato, che muore e risorge sulla croce, lasciato solo a causa del fraintendimento
messianico trionfalistico, – ha affermato Lucia Vantini – mostra che l’onnipotenza ha la fibra della rigenerazione e della cura, e che la misericordia è il luogo della sua declinazione». E ha proseguito: «Del potere c’è bisogno, purché continuamente purificato. Il potere-su-qualcuno si fa potere di farequalcosa-
per-qualcuno. Non si tratta di una realtà dalla forma privata: è il potere di autorizzare il soggetto a prendere posizione nel mondo a partire da sé, in un orizzonte di dipendenza non espropriante, ma filiale e fraterno. Occorre domandarsi se le strutture ecclesiali con cui tutto ciò è significato e tradotto risultino adeguate».
 
Paola Zampieri
 
 
 
 
 
 
 
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