Si è parlato di famiglia nel secondo appuntamento del ciclo Dove va l’umano? promosso da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza, giovedì 10 dicembre 2015. Giampaolo Dianin, docente di morale familiare alla Facoltà teologica del Triveneto ha proposto alcune considerazioni sul recente sinodo, mentre Basilio Petrà, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale e presidente dell’Atism, ha tematizzato la forma del matrimonio tra diritto canonico e teologia liturgica.
«Il sinodo ha portato a casa un buon risultato, superiore alle aspettative» ha esordito don Giampaolo Dianin «I conflitti, le visioni teologiche differenti, e anche una certa contrapposizione fra teologia e pastorale, fra verità e misericordia, che pure ci sono state, hanno costretto a cercare modalità per comporre le diverse polarità». Questa ricerca di un punto di convergenza emerge nella Relatio synodi finale dove, se non sono stati fatti passi indietro su alcuni temi (semplicemente non sono stati citati per non scontentare nessuno), «al di là del detto e del non detto, la porta è rimasta aperta, o almeno non chiusa».
Fra le questioni importanti che il documento lascia solo accennate, Dianin ha evidenziato l’omosessualità («si è un po’ persa per strada»), la sessualità («tema dimenticato ma decisivo») e la procreazione responsabile («si è sorvolato»). In particolare si è soffermato sul tema dei legami spezzati, dei divorziati risposati, per cui nella Relatio si è parlato di «integrazione nella comunità cristiana, non di comunione» dopo un percorso di discernimento che orienti i fedeli alla presa di coscienza della situazione e la valutazione della “colpevolezza” delle parti; è un giudizio che si formula nel “foro interno” e, sottolinea Dianin, non è specificato quale sia il rapporto di questo con il tribunale ecclesiastico, «il rischio è di ricacciare il problema nel silenzio del confessionale, cambiando tutto senza cambiare niente». Come pure l’apertura alla piena partecipazione alla vita della chiesa, alla comunione ecclesiale per la nuova coppia è un passo in avanti, ma lascia aperto il problema del rapporto con la comunione sacramentale: «Il sinodo – ha concluso Dianin – ha messo in moto un cammino che invoca una conclusione».
Basilio Petrà si è invece soffermato sul modello di famiglia «imposto» dal cristianesimo ai suoi fedeli fin dalle origini nell’impero romano: «il matrimonio monogamico eterosessuale, caratterizzato dalla tendenziale durata per la totalità dell’esistenza e dall’essenziale apertura alla vita, in analogia con la coppia archetipica Cristo-chiesa (Adamo-Eva)». Questo modello si è sviluppato nei secoli in due varianti: occidentale e orientale. Con il Sacro romano impero – ha spiegato Petrà – la chiesa acquista piena giurisdizione sul matrimonio dal punto di vista canonico e l’egemonia canonica si imporrà sulla forma liturgica: il matrimonio sacramento è quello valido secondo la procedura canonica.
Questa struttura in occidente regge fino al 20° secolo, fino a quando cambia la coscienza coniugale dei fedeli ed emerge «una cultura che interpreta il matrimonio non secondo una forma istituzionale originaria sulla quale plasmare la sua concreta realtà, ma come il farsi concreta istituzione di una relazione affettiva interpersonale, reciprocamente impegnativa, segnata dalla storicità e dalla complessità della coppia, esposta al fallimento». Ciò pone, alla variante occidentale, il problema delle seconde nozze: il diritto canonico nell’attuale disposizione impedisce di integrare il fallimento matrimoniale o relazionale senza passare attraverso la via della nullità. «Sarebbe più saggio tendere – conclude Petrà – a un “minimalismo giuridico” e dare un ruolo egemonico alla teologia liturgica che per sua natura include la possibilità del fallimento, valutabile pastoralmente e non canonicamente. Questo consentirebbe l’integrazione della nuova coscienza coniugale (con i suoi effetti familiari) nella vita ecclesiale senza dover pagare lo scotto della riduzione del matrimonio ad oggetto canonico».
Paola Zampieri