Fisica, filosofia e teologia a confronto sulla Teoria del Tutto

Silvio Bergia, Ermanno Bencivenga e Simone Morandini hanno dibattuto sulle origini del cosmo

L’ultimo libro di Stephen Hawking, The Grand Design, e le dichiarazioni dell’autore che ne hanno preceduto l’uscita («La filosofia è morta – non è necessario ricorrere a Dio per dare inizio all’universo»), al di là dell’operazione mediatica di lancio della pubblicazione hanno avuto l’esito di riaccendere la discussione sulle origini del cosmo, toccando domande che da sempre accompagnano l’uomo: qual è la natura della realtà in cui viviamo? con quali strumenti o metodi possiamo avvicinarci a essa? che cosa conosciamo dell’universo?

La scoperta della galassia più lontana, della stella più massiccia, del pianeta più simile alla terra, della “particella di dio” spesso sono veicolate al grande pubblico attraverso il canale della meraviglia, puntando alla spettacolarità della notizia. La Facoltà Teologica del Triveneto e il Dipartimento di astronomia dell’Università di Padova, invece, hanno scelto la via del dialogo fra esperti di diverse discipline e, nella serata di martedì 9 novembre 2010, hanno messo attorno a un tavolo un fisico, un teologo e un filosofo che, sotto gli stimoli di un astrofisico, si sono confrontati fra loro e con un pubblico di quasi 150 persone raccolte nel teatro della Facoltà.

Piero Benvenuti, astrofisico dell’Università di Padova, ha provocato la discussione. «Dai tempi di Galileo l’universo ha svelato il suo essere in continua evoluzione e, grazie ad alcuni strumenti, siamo oggi in grado di documentarne le fasi. Le osservazioni dirette, però, si fermano a 13,7 miliardi di anni fa perché la ionizzazione e opacità della materia alla radiazione non ci permettono di andare più indietro. Modelli cosmologici, tuttavia, ci permettono di ipotizzare oltre e accendono la speranza – che per Hawking è quasi certezza – di costruire un modello unico e ultimo dell’universo, in grado di spiegarne “necessariamente” l’esistenza e l’evoluzione. È ipotizzabile, allora una Teoria del Tutto?».

Silvio Bergia, fisico dell’Università di Bologna, ha citato la M – Teoria, che unifica le cinque teorie sulle superstringhe e la supergravità e che è quanto di più generale si possa immaginare per la descrizione dell’universo.  «La convinzione di Hawking che un modello matematico possa descrivere il mondo anche quando una verifica matematica non sia mai possibile – ha aggiunto – abbatte la barriera della logica della metodologia prevista dalla ricerca fisica. Non tutti i fisici condividono questo atteggiamento. Da decenni stanno elaborando una matematica sempre più complessa e non c’è riscontro sperimentale di quanto si elabora dal punto di vista matematico».

Sul rapporto tra fisica e cosmologia, Bergia ha poi osservato che «ripercorrendo a ritroso la storia della vita dell’universo ritroveremo densità e temperature sempre più alte, quindi l’espansione dell’universo appare necessariamente comportare un’evoluzione dell’universo, e non si esclude che si possa arrivare fino alla cosmogenesi».

Una lettura filosofica della questione è stata data da Ermanno Bencivenga dell’Università di Irvine, California. «Sappiamo che nessuna teoria può essere mai completamente verificata – ha affermato – I principi di ogni teoria sono ipotesi che possono essere al massimo corroborati da risultati sperimentali e nei quali possiamo avere un certo livello di fiducia, o di fede. La coerenza di una teoria, inoltre, non può essere dimostrata se non con una teoria ancora più forte, quindi creando un problema ancora più arduo. Per una Teoria del Tutto esistono fatti che emergono soltanto a un certo livello di complessità: i livelli ontologici da cui osserviamo sono molteplici e irriducibili gli uni agli altri. Da qui alla Teoria del Tutto, dunque, ci passa una impossibilità logica».

Infine ha lanciato una provocazione: «Nell’ultimo secolo la filosofia ha dato mostra di sé come di una disciplina incartapecorita, chiusa in se stessa. Ciascuno di noi è punto d’incontro fra discorsi e mondi diversi: quando si dimenticano le altre voci, le altre strade intorno a noi, allora ognuno si costruisce una personale “teoria del tutto”».

Per Simone Morandini, teologo della Facoltà teologica del Triveneto, ognuno di noi abita una varietà di mondi culturali e vive all’intersezione di questi mondi, per cui è da superare lo stereotipo della contrapposizione tre scienza e fede. «Custodire una teoria il più comprensiva possibile è ciò a cui tende lo scienziato; il teologo, invece, nel suo bisogno di comprendere sempre meglio il reale in cui abita e cercando, come lo scienziato, delle aperture verso una conoscenza sempre più ampia, è però lontano dal pensare di possederla compiutamente. Dio non è una cosa, – aggiunge – un ente come gli altri, che possiamo catalogare; è colui che viene detto come fonte dell’essere, con cui ogni ente intrattiene una relazione, ma diversa da quella che ha con gli altri enti sperimentabili. Gli strumenti concettuali con cui Hawking affronta Dio non possono essere quelli con cui affronta il cosmo: ecco perché, cercando Dio, non lo trova. Dio non è dell’ordine della necessità perché lo spazio in cui si colloca il discorso su Dio è quello della gratuità. Per cogliere la complessità del reale abbiamo bisogno di una ragione che si sappia plurale  perché la nostra esistenza non è fatta solo di ciò che sappiamo sperimentabile».

«Il reale che abitiamo – ha concluso – è lo spazio dell’interpretazione: questo è lo spazio della teologia e cercare ancora è l’imperativo che ci viene sempre offerto».

 

Paola Zampieri

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