Tema affascinante ma anche consunto, il binomio parola-silenzio esprime un bisogno profondo ed emana un fascino che resiste intatto agli usi e agli abusi del nostro tempo. Con questa premessa, fatta da padre Luciano Bertazzo, vicedirettore del biennio di specializzazione in teologia spirituale della Facoltà Teologica del Triveneto, si è aperto il pomeriggio di studi sul tema Parola e silenzio. Il fascino di una reciprocità, svoltosi martedì 23 novembre 2010 all’Istituto Sant’Antonio Dottore di Padova. «La parola non è chiacchiera che ci inonda ma è modo altro di costruire relazioni e leggere l’attualità – ha sottolineato padre Luciano Bertazzo –. È necessario rompere il silenzio per fare emergere la parola, che a sua volta si nutre di silenzio. Solo dai grandi silenzi amati e abitati sant’Antonio ha potuto divenire l’uomo della parola».
Il tema del silenzio che incontra la parola è stato sviluppato da Silvano Zucal, docente di filosofia teoretica all’Università di Trento. «Oggi la parola non sorge più dal silenzio – ha affermato –, viene piuttosto dal brusio di un’altra parola e scompare sommersa nel proprio rumore, nel brusio verbale dove non si parla ma si “messaggia”, nel frastuono che invade tutto e rischia di annientare il silenzio». In una società che tende a imbarbarire la vita, occorre allora tutelare il silenzio perché, deprivato del silenzio, l’uomo viene modificato in tutta la sua struttura esistenziale. Il ritorno a un autentico silenzio, invece, è un segnavia per ritrovare l’autentica parola, il Dio cristiano che si nasconde nelle parole dell’uomo. «Solo nel silenzio, dimensione ontologicamente fondamentale, si foggia la figura dell’essere umano e proprio il volto umano è il limite estremo fra parola e silenzio. La vita nel silenzio rinvia a una vita al di là e oltre la parola e quindi a qualcosa che oltrepassa l’uomo».
Solo nel silenzio dunque l’uomo può inabissarsi nel mistero divino dell’essere. Ma nelle nostre case, nelle città, al lavoro è difficile raggiungere questo silenzio interiore, transignificativo. Le “radure” heideggeriane, i luoghi ospitali e ospitanti per chi è in cerca di silenzio, rischiano di soffocare nell’urbanizzazione indiscriminata. «Per il silenzio occorre uno spazio straordinario – ha concluso Zucal –, la chiesa, la cappella devono restare sempre una risorsa contro il nuovo diluvio, quello verboso, acustico, e salvare l’uomo d’oggi».
Il silenzio biblico e il silenzio di Dio ad Auschwitz sono stati i due principali filoni di analisi nell’intervento di Cristina Simonelli, docente di patristica alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale. «C’è un varco nel linguaggio ed è l’audacia di attribuire a Dio immagini e parole, “se così si può dire”, usare termini per non tacere del tutto, come troviamo in ebraico e anche in Agostino. Ma nel silenzio c’è anche un aspetto inquietante ed è il mutismo di Dio, che è comunque possibilità di parola e di un “tu”: dove sei? perché non parli? È un filone che percorre tutta la bibbia ebraica e si ripercuote nell’inaudito di Auschwitz».
In Dio vi è relazione di parola e silenzio, Padre e Figlio sono in relazione di parola e silenzio. Nel pensiero e nella teologia cristiana la gloria della resurrezione passa attraverso la parola della croce. «In terra di mezzo sta la teologia, chiamata a prendere parola, non contraddizione ma ossimoro per aprire ancora un nuovo varco. In forma ministeriale c’è una parola incaricata di interpretare». Nel silenzio la parola si avvalora, sperimenta di avere un compito che la oltrepassa, ha una necessità ministeriale e antidolatrica. «Come ha detto il cardinal Carlo Maria Martini, – ha concluso Simonelli – c’è una presenza bruciante che spinge alla lode silenziosa ma passa per un al di qua, per il dolore del mondo, che deve innervare la teologia, interrogante e insieme consapevole di non essere l’orizzonte ultimo».
Paola Zampieri
La pagina dell’Istituto Sant’Antonio Dottore relativa all’incontro:
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