Fratelli tutti: radici e fioriture

È insistente l’invito al discernimento, che da qualche tempo impegna le comunità cristiane. Arte della testa, ma anche del cuore, il discernimento non è solo una virtù “personale”. Capire e muoversi, sono il minimo vitale di cui si alimenta la vita quotidiana. Dove siamo? E dove possiamo andare? Questa, in breve, la sfida dello stile “sinodale”, oltre la pura condivisione delle analisi, impresa di quotidiano “inventare”, “adattarsi”, “modificarsi”. La vita stessa è fatta così. Una riflessione di Matteo Pasinato e Giovanni Casarotto.

È insistente l’invito al discernimento, che da qualche tempo impegna le comunità cristiane. Arte della testa, ma anche del cuore, il discernimento non è solo una virtù “personale”. Capire e muoversi, sono il minimo vitale di cui si alimenta la vita quotidiana. Dove siamo? E dove possiamo andare? Questa, in breve, la sfida dello stile “sinodale”, oltre la pura condivisione delle analisi, impresa di quotidiano “inventare”, “adattarsi”, “modificarsi”. La vita stessa è fatta così.

Ne facciamo la prova in questo tempo di crisi pandemica. Il vivere insieme (syn-biosis) è il terreno favorevole per la diffusione di un virus, ma lo stesso vivere insieme protegge e combatte dalla forza dirompente del contagio, quando ci si dà l’umile e coraggiosa forza del “camminare comune”. E non è facile accogliere l’invito a sintonizzare il proprio stile su quello degli altri: alcuni gridano all’attentato alla libertà, altri sfogano le frustrazioni del non poter fare “ciò che si vuole”. Eppure la maggior parte delle persone parla il linguaggio silenzioso del “bene comune” che ispira “azioni comuni” (sicurezza comune, salute comune, attenzioni comuni). La vita delle comunità cristiane non è estranea a questa logica, perché anche la comunità cristiana è fatta di “abituati” che protestano, e di “abituali” al discernimento.

Il percorso di formazione “Fratelli tutti”: radici e fioriture, avviato dalla Diocesi di Vicenza, è una delle proposte perché nessuno stia fermo là dove è (per questo è “percorso”), e perché tutta l’azione che ciascuno mette in movimento abbia un suo “stampo”, una sua “impronta” (per questo è “azione con una forma”). Non è la prima volta che la pastorale diocesana, in sintonia con l’Istituto superiore Scienze religiose “Mons. A. Onisto” (dal nome del pastore della diocesi dal 1971 al 1988), programma e offre – a tutta la diocesi – una serata settimanale per quasi due mesi di percorso. C’è la possibilità di presenza per un buon numero di partecipanti, ma la grande maggioranza si collega dalla propria casa, con una crescita interessante di gruppi che seguono insieme, nelle sale delle parrocchie, facendo della distanza dal “centro” una vicinanza “in periferia”.

Due sfide

Due sono le sfide di questo cammino di discernimento, che riguardano l’organizzazione (il “centro”) e i contenuti (che arrivano alla “periferia”). La prima sfida è un “centro” che non rimanga confinato nella gestione amministrativa, ma metta in rete la realtà pastorale che è variegata, a volte allarmata dalla improponibile tradizione collaudata, altre volte illusa di essere autosufficiente e bastante a se stessa. Per il “centro” non è sufficiente un “adattamento”, ci vuole l’audacia dell’“invenzione”.

Poi, la seconda sfida, che riguarda la ricaduta nelle varie comunità, piccole o grandi che siano. Il coraggio di organizzare una vita parrocchiale non più legato alla secolare autonomia, tipica di comunità che avevano tutto. L’energia per organizzare una comunità, oggi, si mantiene aprendosi alla condivisione di possibilità, provando a convertire l’angoscia della quantità in cura della qualità. Ci si deve pur muovere (almeno la testa!) verso una condivisione di alcune risorse, che concretamente significa trovare quello che non c’è nella nostra parrocchia nella parrocchia vicina (non è un cristianesimo “degli altri”… è il nostro!), e ancor più concretamente proporre nella nostra comunità una vita pastorale aperta ad altre comunità (il cristianesimo “nostro”… è sempre per tutti!). Il vangelo di Gesù ce lo dice da secoli che «vino nuovo in otri nuovi».

Rimuovere, risolvere o riflettere?

Il percorso attivato per questo anno 2021-2022 trova il suo asse di rotazione nell’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Senza cadere in un puro commento all’enciclica, lo sforzo tende ad avvicinare i cristiani direttamente al documento. L’enciclica è a disposizione di tutti, ma rischia il confinamento nei “piani alti” della vita ecclesiale, mentre tutti sono invitati a leggerla, a farla scendere nella propria testa, a ospitarla nel proprio discernimento personale. Gli incontri del percorso prevedono un tentativo di tradurre pastoralmente l’orizzonte della Fratelli tutti in una direzione che superi la tentazione di “rimuovere” la fraternità dall’orizzonte pastorale concreto (ma di cosa si interessa la pastorale se non della relazione?). Ma vi è anche la tentazione altrettanto rischiosa di “risolvere” frettolosamente la fraternità in strategie o tecniche da individuare con prontezza (la pastorale può soffrire proprio di una superficiale e continua ristrutturazione/aggiornamento provvisori). Una buona pista (oltre la tentazione di rimuovere e di risolvere) è quella di “riflettere”: invece che respingere il tema, invece che ridurlo a soluzioni sperimentali continue, la terza possibilità è specchiarci di nuovo (riflettere è cosa tipica dello specchio: vedersi non direttamente ma attraverso una superficie che restituisce un’immagine), specchiarci nell’enciclica Fratelli tutti.

Tre parole chiave

Tre sono le parole-chiave che sostengono concretamente gli incontri del percorso diocesano. La prima parola è barbarie (che di sfuggita appare in FT 27), quasi invito a specchiarci nella precarietà presente e nell’incertezza del futuro, nella barbarie globale e locale, nei sogni che si frantumano, e nelle piccole dosi tollerate di disumanità. Arianna Prevedello e Agostino Rigon hanno provocato (con testi e spezzoni filmati) una più acuta osservazione del “film” che è la vita, fatta di barbarie subite e di barbarie inflitte, solcata da logoramenti e radicata (la “radice”!) in sogni, che quando sono “per altri” sono anche “per me”. Tutto questo arriva dentro alla comunità cristiana, perché le persone non vengono da un “altro mondo”, e le risorse per coltivare la cura per “questo mondo” non sono soltanto politiche o economiche. Vi sono risorse di una fede umanizzante, attenta, sensibile, appoggiata a un “Mite” e un “Appassionato” (l’anti-barbarie di una fede mite ma non tiepida).

La seconda parola è amicizia (l’enciclica mette insieme fraternità e amicizia sociale già nel titolo), articolata in due direzioni: la vita della “polis” (democrazie che invecchiano e monarchie che ringiovaniscono) e la relazione nella “barca” (fare a pugni o remare?). Marco Benazzato e Piera Moro hanno provocato su come pensare e immaginare le istituzioni (fatte sempre di persone), animate da spinte personali che diventano associative, da azioni condivise che partono da un fondo comune. A rendere vecchie le democrazie siamo noi, e ad autorizzare nuove monarchie siamo sempre noi. Le comunità cristiane non sono luoghi “protetti” da questo profano, non sono spazi di incolumità. Sono invece spazi di promozione di un “popolo” (sempre nuovo per natura). Sulla “barca” ci hanno portato Barbara Balbi e Diego Peron, con un’interessante metafora del mezzo che permette di attraversare (fare amicizia con la barca), e uno sguardo sulla conflittualità (i pugni) e il prodigio della collaborazione tra differenze, tra mete comuni, tra fatiche e pause necessarie.

Infine la parola servizio (animazione della comunità, liturgia e dialogo religioso) utile a specchiare il “come” pastorale più che il “cosa”. Assunta Steccanella ha insitito sulla posizione del servire nella comunità, sull’uscire “allo scoperto” come cristiani (sulla scia della parabola del samaritano ripresa nel cap. 2 di FT). E Daniele Vencato (parroco duramente colpito da Covid-19) con l’esperienza di prete “servito” (perfino nella memoria dei fatti accaduti), e una rilettura del ministero “paziente”, in mezzo a “pazienti”, in una pastorale pazientemente creativa. A chiudere sul servizio ha accompagnato Francesca Leto con provocazioni sulla celebrazione che edifica nella concordia, sull’ascolto, il dialogo e i gesti che iniziano alla fraternità nello spazio liturgico. E Gianluca Padovan con la memoria di “grandi passi” del dialogo religioso, incontri discreti e incontri visibili, non bisognosi solo di “tradizione” ma di contemporaneità: di tempo (adesso), di spazio (il mondo), e della risorsa comune che è la relazione a Dio (credenti). Le religioni diventano risorse nell’esperienza di fraternità (FT cap. 8), del farsi spazio, della condizione di creaturalità condivisa, del silenzio dell’essere credenti insieme.
L’abbondanza di idee messe in movimento dai vari incontri si è quasi fermata per tre momenti di respiro: una serata con incontri di gruppo o verifica personale, accompagnata dagli organizzatori del corso (“artigiani” di fraternità); una serata sulla poesia dantesca del Purgatorio riletta come chiave di fraternità (Gregorio Vivaldelli); e infine una tavola rotonda conclusiva con i responsabili delle quattro dimensioni della pastorale diocesana (orante-celebrativa; annuncio-catechesi-missione; caritativa-fraterna; sociale-culturale) per la ripresa e il rilancio di “punti caldi” del percorso.

Sinodalità, cammino “in comitiva”

Concreta esperienza di sinodalità, il corso di formazione “Fratelli tutti”: radici e fioriture può far pensare a un particolare del vangelo di Luca. È il particolare del viaggio di ritorno da Gerusalemme, quando Maria e Giuseppe si accorgono di aver smarrito Gesù dodicenne. I genitori camminano per un giorno, senza accorgersi che Gesù non c’è. Ma non si preoccupano subito, perché – come dice san Luca – «credevano che Gesù fosse nella comitiva» (Lc 2,44), e nel greco originale del vangelo c’è la parola “sinodo” (credevano che fosse nella sinodia). La sinodalità è un cammino “in comitiva”, viaggio di un gruppo che sta insieme, per un tratto di strada, che visita uno stesso luogo, raggiunge la stessa meta e torna raccontandosi le sensazioni da condividere. Maria e Giuseppe non si agitano perché c’è una sinodia (una comitiva). Quando si cammina insieme, la chiesa di Gesù può essere meno agitata e più serena.

 

Giovanni Casarotto
docente di Catechetica e direttore Ufficio per l’evangelizzazione e la catechesi – Diocesi di Vicenza
Matteo Pasinato
docente di Teologia morale
Istituto superiore di Scienze Religiose “Mons. A. Onisto” di Vicenza

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