In Turchia, nei primi laboratori della chiesa missionaria

Luglio 2022. Si è svolta in Turchia, nei luoghi generativi della fede, una sessione formativa che ha visto fra le guide il nostro docente don Maurizio Girolami e fra i partecipanti Monica Carlini, studentessa della Facoltà, e Riccardo Mior, studente dell’Ita di Concordia-Pordenone. Il racconto della loro esperienza.
Ripartire da Antiochia

Papa Francesco, a pochi mesi dalla sua elezione, consegnava alla chiesa universale il rinnovato compito di accogliere il dono del vangelo di Gesù, rilanciando la spinta missionaria che ha custodito la vita della chiesa nei suoi duemila anni di storia. Così scrive: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale» (Evangelii gaudium, n. 27).
La sessione formativa (11-24 luglio 2022) organizzata dal vicario apostolico di Anatolia, il vescovo Paolo Bizzeti, già docente presso la nostra Facoltà teologica del Triveneto, ha proposto un itinerario geografico, culturale e spirituale di grande interesse rivolto a operatori pastorali, consacrati, seminaristi e presbiteri, desiderosi di trovare le modalità di annuncio del vangelo più opportune per il mondo di oggi.
Non si poteva che ripartire da Antiochia, la prima comunità dopo Gerusalemme: fu un autentico laboratorio di idee, linguaggi, stili e prassi, come attestano molteplici esperienze missionarie partite dalla terza città dell’Impero. Sono stati riletti non solo gli Atti degli Apostoli e i viaggi paolini, ma anche il vangelo di Matteo, la Didaché, Ignazio di Antiochia, la missione verso Edessa, grande città della provincia romana della Siria.
I partecipanti sono stati colti di sorpresa nel rileggere testi biblici e della prima letteratura cristiana dentro il contesto dove erano nati. Infatti, mano a mano che si leggeva, come limpida acqua, appariva chiara la freschezza di quelle espressioni, giudicate troppo frettolosamente dai posteri come imprecise e poco elaborate dottrinalmente. In quel contesto, invece, si manifestavano sorgive e vitali, piene di spinta missionaria verso mondi che sembravano impermeabili all’annuncio di Gesù. Tra il giudaismo da una parte, nei suoi molteplici rivoli, e il mondo greco-romano, mosaico infinito di credenze e religioni, la proposta cristiana ha saputo ridere l’uomo-Dio in modo credibile, grazie alla testimonianza dei discepoli del Signore che non sono mai mancati in ogni generazione.
Siamo tornati ad Antiochia anche noi per reimparare il gusto della testimonianza a Cristo.

Maurizio Girolami, docente di Patrologia
Facoltà teologica del Triveneto

 

Dare forma alla fede

Arrivare ad Antiochia, proseguire per Iskenderun, Gaziantep, Harran, Tarso e infine concludere nella splendida Cappadocia è stato dare forma a luoghi che fino ad oggi potevamo solo immaginare. Per noi cristiani sono le origini, in questa terra ha preso forma la nostra fede, la diffusione del Vangelo, la prima liturgia, la preghiera. In questi luoghi uomini e donne vivevano nella gratuità del dono, nella fratellanza universale che Gesù aveva insegnato quando era in vita.
Abbiamo iniziato ascoltando l’esegesi di Atti 10-11: i cristiani crescevano di numero e le comunità dovevano essere organizzate e gestite, di questo troviamo riscontro anche nelle lettere di Ignazio di Antiochia. Arrivati a Iskenderun, l’esegesi di Atti 13-14 ci ha portato a riflettere sullo stile della missione focalizzando la nostra attenzione non solo nell’andare ma anche nello stare, nel ritornare e nel ripartire.
Eravamo un gruppo eterogeneo formato da laici e religiosi. Ognuno di noi arrivato con il suo bagaglio di vita e desideroso di partecipare a un’esperienza che avrebbe previsto sia studio, riflessione e condivisione sia visita a luoghi e musei. La sintonia raggiunta sin da subito è stata incredibile, per 14 giorni abbiamo vissuto come piccola chiesa domestica condividendo la mensa, sorrisi, esperienze personali, canzoni e anche qualche lacrima.
Una volta raggiunta Harran, patria di Abramo, siamo partiti per Tarso. Gli ultimi giorni li abbiamo vissuti in Cappadocia, culla dei padri Basilio magno, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa. A loro dobbiamo il completamento della preghiera del Credo, per noi la sintesi di tutta la nostra fede.
Partire e ripartire, cercando di aggiustare la rotta da seguire, con le soste necessarie per rigenerarci e ritrovare il punto di incontro per ritornare a riconoscerci figli dell’unico Padre. Da Antiochia siamo partiti per il nostro viaggio. Che Antiochia sia per noi segno di una ripartenza sulle orme di chi con tanta fede ci ha preceduto.

Monica Carlini, studentessa
Facoltà teologica del Triveneto

 

Andare alle radici per (ri)scoprire la vitalità del vangelo

Ritornare alle origini, ricordare i momenti salienti della propria chiamata, fare continuamente memoria della propria storia per rileggere in essa i segni dell’azione dello Spirito è un passaggio obbligato per ogni cristiano che cerca di scoprire e di vivere la propria vocazione. E se vale per il singolo, tanto più per la chiesa nel suo insieme.
Guidati da mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, e da don Maurizio Girolami, docente della nostra Facoltà di Padova, noi partecipanti abbiamo potuto approfondire il contributo di una terra oggi a forte maggioranza musulmana al patrimonio di fede della chiesa universale attraverso momenti di formazione, di preghiera, di condivisione e di visita a siti di interesse archeologico e storico. Infatti a partire dall’antica Antiochia di Siria, dove «per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26), fino alle scelte di vita radicali dei monaci stiliti e delle numerosissime comunità cenobitiche della Cappadocia, queste terre sono state per la chiesa dei primi secoli un vero e proprio laboratorio dove, sotto la guida dello Spirito santo e con grande creatività e libertà, uomini e donne mossi dalla fede hanno gettato le basi perché il vangelo mettesse continuamente radici e portasse frutti sempre nuovi di vita.
Alle testimonianze di ieri si sono affiancate quelle di oggi, in uno scambio spontaneo e fraterno: la vita concreta delle piccole comunità cristiane locali e la testimonianza degli operatori pastorali impegnati in questa chiesa di frontiera si sono mescolate alle storie di vita e di fede dei convenuti per partecipare alla sessione: seminaristi, laici impegnati, consacrate, presbiteri.
Da seminarista e da studente di teologia grazie a questo viaggio ho potuto contestualizzare alcune conoscenze già acquisite e sono stato provocato ad approfondire aspetti dell’attuale contesto sociale ed ecclesiale. Ogni rilettura del passato infatti ha sempre la funzione di fornire chiavi interpretative per il presente e uno slancio rinnovato per il futuro; oggi come allora la chiesa si trova ad affrontare la grande sfida di un mondo plurale che esige autenticità e aderenza al messaggio di Cristo, perché i cristiani siano ancora una volta, secondo la celebre definizione contenuta nella lettera a Diogneto, «nel mondo quello che è l’anima nel corpo».

Riccardo Mior, studente
Studio teologico “Card. Celso Costantini” di Concordia-Pordenone

 

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