La narrazione biblica per la formazione del credente

Giornata di studio del biennio di specializzazione in teologia pastorale, martedì 11 gennaio 2011, aula tesi della Facoltà Teologica del Triveneto.

L’importanza del racconto nell’esperienza di ogni persona si rivela fin dalla prima infanzia. Il bambino infatti ne subisce il fascino, soprattutto se la narrazione è supportata da immagini, e così entra anche in quel comune patrimonio sapienziale che è la Bibbia: nelle storie che sono avvenute prima di lui trova una propria collocazione, impara a identificarsi con l’eroe del racconto, a riconoscere i buoni dai cattivi, a raccontarsi, cioè a dire le proprie esperienze vissute. Il racconto costituisce la ricchezza dei popoli e la Bibbia ha nel racconto la sua ossatura fondamentale, che la rende accessibile a tutti.

È partita con questa introduzione la relazione tenuta dal prof. Pietro Bovati, professore di ermeneutica biblica, esegesi e teologia dell’Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico di Roma, nell’ambito della mattinata di studio sul tema La narrazione biblica per la formazione del credente, svoltasi martedì 11 gennaio 2011 nella Facoltà Teologica del Triveneto a Padova, promossa dal biennio di specializzazione in teologia pastorale.

 

«La Sacra Scrittura assume il modulo narrativo come sua essenza – ha spiegato il prof. Bovati -, alle domande risponde raccontando delle storie, non con formulazioni dogmatiche ma offrendo al lettore le chiavi per trovare da sé una risposta, per una lettura intelligente. Gesù parlava in parabole».

Nella Sacra Scrittura Dio si rivela in eventi e parole come il protagonista della storia degli uomini, suo motore e fine ultimo. Il profeta è il testimone di questa presenza, la vede e la descrive, e perciò «è importante – ha sostenuto Bovati – recuperare la dimensione profetica della Bibbia, che fa dell’evento singolo il luogo della manifestazione di Dio». Importante è la questione sull’attendibilità storica dei racconti biblici; a questo proposito è necessario saper riconoscere i vari generi letterari narrativi ed è altrettanto necessario saper coniugare le esigenze della critica storica con l’approccio credente, trovando un equilibrio che renda più autentica l’adesione alla parola di Dio. Se la storia è conosciuta, il racconto è offerto alla fede.

 

«Il senso della Scrittura non sta nelle singole frasi o episodi, – ha proseguito Bovati – ma nell’insieme delle parole e della storia. C’è una logica della narrazione biblica, sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento, entrambi fondati sulla “promessa”: è necessario allora raccontare ciò che sta all’origine per comprendere ciò che si compirà nell’eschaton». Le storie dell’Antico Testamento non sono “edificanti” ed è proprio per questo che sono importanti, perché dicono l’amore e la pazienza con cui Dio guida la storia. «Ogni storia è promessa perché in essa Dio opera seminando un germe che con il consenso dell’uomo arriva fino al compimento. In questo senso la narrazione biblica è profetica: ogni storia è contenuta ed espressa nella storia biblica. Solo innestandosi sul tronco di Israele ogni storia personale e comunitaria parteciperà dei frutti della promessa».

 

Infine, il prof. Bovati ha trattato i temi che costituiscono i fili della trama narrativa biblica: la “ripetizione”, che vuol rimarcare l’importanza dell’evento e suscitare l’interpretazione da parte del lettore; e la “figura”, evento che sta all’inizio come senso e struttura di tutta la storia e profezia di ciò che deve avvenire e aspira al suo pieno compimento. «La Bibbia interpreta tutta la storia come un susseguirsi di figure e la figura è il cammino in noi dalla verità alla verità. Il ruolo del lettore – ha concluso Bovati – non è solo di fruitore del racconto, perché la forza del racconto è di mettere in movimento una storia di testimonianza che porta a pienezza il rivelarsi stesso di Dio nella storia umana».

 

 

Paola Zampieri

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