A distanza di un anno dalla proposta ai fedeli della terza forma della penitenza, attuata in piena emergenza pandemica, prosegue la riflessione avviata dalla Facoltà teologica del Triveneto assieme all’Istituto di liturgia pastorale Santa Giustina di Padova e alla Facoltà di diritto canonico San Pio X di Venezia sulla dimensione penitenziale nella vita della chiesa oggi. Si tratta di un percorso iniziato il 22 febbraio 2021 con un primo seminario, che ha coinvolto una ventina di docenti nello studio dei fondamenti liturgici, morali, giuridici e con un affondo pastorale, dopo le prime esperienze fatte nelle parrocchie. In quell’occasione erano emersi due punti di forza: il recupero della dimensione comunitaria della penitenza e della dimensione biblica nella preparazione al sacramento; ma anche un limite: il rischio che la terza forma sia una scorciatoia o addirittura il colpo di grazia al sacramento della penitenza, già piuttosto in crisi.
Il secondo seminario, il 30 maggio 2022, ha continuato la riflessione con approfondimenti di carattere sociologico, pedagogico, liturgico e pastorale.
Un’indagine sulla terza forma: dati e riflessione
Punto di avvio sono stati alcuni dati raccolti in un sondaggio che ha coinvolto gli studenti della Facoltà teologica e i presbiteri delle diocesi del Triveneto, curato e illustrato dal sociologo Simone Zonato (Istituto superiore di Scienze religiose di Vicenza). Le risposte raccolte sono state 250: il 50,4% maschi e il 49,6% femmine; poco meno della metà sono laiche (45,6%), mentre i laici maschi sono il 22,4%; i presbiteri il 21,2%, l’8% sono religiose e religiosi, il 2,8% diaconi. L’età media è 50,2 anni. Quasi metà dei rispondenti appartiene alla diocesi di Trento e quasi un quarto a quella di Treviso. «Dalle risposte risulta una pluralità di visioni, di percezioni e di posizioni – ha affermato Zonato –. Emerge quel “Dio a modo mio” che conferma quanto già rilevato dalle ricerche sociologiche degli ultimi anni». C’è una differenza di visione tra presbiteri e laici (che appaiono meno entusiasti) e in genere «si percepisce una contrapposizione tra confessione individuale e terza forma, per cui la prima si rivendica come la formula autentica; soprattutto in rapporto ai peccati gravi la terza appare incompleta. C’è inoltre il riconoscimento generale della crisi del sacramento della confessione». Nel complesso, comunque, «da parte di coloro che hanno usufruito della terza forma si ricava – ha concluso – una valutazione positiva dell’esperienza, specie nella sua dimensione comunitaria».
Dalla prima confessione all’iniziazione alla penitenza
Altri dati sono stati portati da Daniela Conti (insegnante di religione e autrice con Andrea Grillo del libro Fare penitenza. Ragione sistematica e pratica pastorale del quarto sacramento) sulla base di un’indagine condotta su 196 ragazzi della scuola secondaria di primo grado che hanno celebrato la prima confessione a 8 anni. «Nei preadolescenti prevale il senso del peccato come colpa e del sacramento come meccanismo che libera dalla colpa – spiega –; non si parla di riconciliazione e poco di perdono. Ansia, paura, disagio, imbarazzo, nervosismo, timore del giudizio sono i sentimenti più comuni e Dio è quasi assente, di certo non è sentito come un padre misericordioso. Anche la dimensione comunitaria del sacramento è assente e la confessione non contribuisce a modificare il comportamento dei ragazzi». A fronte di questo impatto emotivo negativo molto forte nei preadolescenti, Conti abbozza qualche suggerimento per la pastorale: «È da recuperare una visione integrale del quarto sacramento, che unisca all’annuncio del perdono la conversione del soggetto. Occorre una riscoperta della virtù di penitenza nel percorso di iniziazione: l’ascolto della Parola, la carità, le preghiere a messa, il perdono reciproco, le celebrazioni penitenziali non sacramentali, una catechesi iniziatica e mistagogica. In tutto ciò è fondamentale il ruolo dei catechisti, ma anche la ricerca di tempi e di spazi adeguati, secondo il principio del “primato del tempo sullo spazio” come orizzonte nell’elaborazione di un modo nuovo per accompagnare i ragazzi nella dimensione penitenziale».
Il Rito della penitenza: le risorse inattuate e le sfide pastorali
Di taglio liturgico-pastorale l’intervento di Loris Della Pietra (Seminario interdiocesano di Gorizia, Trieste, Udine e Istituto di liturgia pastorale Santa Giustina di Padova), che ha evidenziato la necessità di insegnare ai fedeli che il sacramento della penitenza – troppo spesso ridotta nella sua forma esterna a un paio di parole frettolosamente sussurrate – è qualcosa di più che un atto giuridico di assoluzione. «Si tratta di un sacramento in cerca di forma – ha affermato – e il suo tempo va scandito dalle esigenze dei singoli penitenti». Soffermandosi sulle parole, da dire e da ascoltare, Della Pietra ha sottolineato l’utilità a «rieducarci come chiesa e comunità cristiana a scoprire la propria verità nella relazione con Dio e con gli uomini»; nel rito, riconoscere «la precedenza del dono sui diritti e sui doveri» e sperimentare che «tutta la chiesa co-agisce nell’opera della riconciliazione»; la formula di assoluzione «andrebbe rielaborata tenendo conto delle capacità di comprensione delle diverse le fasce di età». L’accoglienza della terza forma della penitenza – più celebrata e comunitaria, ma meno attenta al soggetto individuale e alla dinamica processuale – può forse essere pensata come un doppio binario per vivere la riconciliazione con Cristo e con la chiesa, magari nei tempi forti, nella consapevolezza che il perdono di Dio non sta soltanto alla fine ma anche all’inizio del processo di conversione.
Quale sfida per l’immagine di chiesa?
Un ultimo approfondimento in prospettiva ecclesiologica è stato proposto da Alessio Dal Pozzolo (Istituto superiore di Scienze religiose di Vicenza), che ha mostrato alcune possibili ricadute o sollecitazioni che vengono alla chiesa dalla pratica eccezionale della terza forma della penitenza. «Tra le sfide che provocano la chiesa – ha detto – possiamo menzionare l’accettazione e integrazione ecclesiale della storicità: va preso atto che la chiesa è in stato permanente di conversione; il primato effettivo della misericordia, che riguarda il coinvolgimento di tutta la chiesa nell’opera di riconciliazione: la riconciliazione con Dio passa attraverso la riconciliazione con il corpo ecclesiale e la chiesa è impegnata nell’accompagnare e sostenere la libertà ferita. E ancora: lo sforzo di onorare debitamente il sensus fidei, con un’implementazione pratico-riflessiva che ne permetta l’effettiva ricognizione e valorizzazione; infine, la riattivazione di una collegialità intermedia, che coinvolge le Conferenze episcopali regionali, da valorizzare per dare corpo all’idea di chiesa sinodale».
Paola Zampieri