«Gli uomini sono soggetti appartenenti al tempo, coniugato nella storia personale e collettiva, ma anche consegnati a ciò che sta oltre la storia stessa, almeno per il desiderio o un senso di infinito o di totalità intuito, vissuto o celebrato che sempre ci accompagna». Con queste parole il prof. Antonio Bertazzo ha introdotto il tema della giornata di studio I tempi dell’uomo e il tempo di Dio, proposta dal biennio di specializzazione in teologia spirituale della Fttr in collaborazione con l’Istituto Sant’Antonio dottore e svoltasi martedì 4 dicembre 2012.
La tematica così centrale, coinvolgente e misteriosa del tempo che ogni persona vive, e che è questione tipica della modernità, è stata affrontata innanzitutto in chiave biblica. La professoressa Roberta Ronchiato, docente della Fttr, l’ha svolta a partire dalla prima pagina del libro della Genesi, dove il tempo appare come la prima realtà creata, creatura di un Dio che è senza tempo e che dà all’uomo, altra sua creatura, il primato sul tempo: il tempo è a servizio dell’uomo, della sua possibilità di conoscere, di entrare in relazione con Dio. Il tempo è fruttuoso se l’uomo si lascia guidare da Dio. «Insegnaci a contare i nostri giorni – ha affermato Ronchiato richiamando il Salmo 90 – e noi faremo entrare nel granaio del nostro cuore questa messe nutriente che è la sapienza: questo significa sapere che la nostra vita è breve ed è in mano a Dio, che esiste un progetto di Dio che si dispiega giorno per giorno».
Ma qual è la stabilità nei nostri giorni? Che cosa non ci verrà portato via? «Per l’uomo biblico il passare dei giorni ha senso se, in questi giorni che passano, l’uomo incontra Dio: il tempo è il momento in cui Dio entra nella storia. Il tempo di Dio è un avvenimento, un evento e il tempo dell’uomo diventa tempo sacro, evento sacro».
Se il tempo nella concezione biblica è scandito tra promessa (passato) e compimento (futuro), l’uomo si gioca nel presente, tempo della decisione e della scelta, della rilettura e risignificazione del passato: «Oggi è il tempo di Dio, il tempo in cui io incontro Dio, in cui mi accorgo che c’è un progetto nella storia che ricompone all’unità i miei frammenti di tempo, che c’è un filo che li lega tutti». E per poter vivere, in questo mio oggi, già un tempo compiuto, per toccare che cos’è il tempo di Dio, lo spunto ci viene dato da Gesù, che ha svelato il modo di vivere che porta a non morire: l’amore gratuito.
«Dio entra nella nostra vita di sua iniziativa, – ha esordito il prof. Amedeo Cencini, docente della Pontificia Università Salesiana di Roma – è il Padre che vuole formare in noi l’immagine del Figlio suo e che però non svaluta la vita, anzi accetta di essere scandito e ritmato dai tempi dell’uomo. Egli si manifesta nel tempo e la sua rivelazione progressiva segna la maturazione della fede nel credente». L’azione formativa e formatrice continua di Dio nell’uomo dice che ciascuna età diventa tempo e spazio dell’incontro con Dio: formazione permanente vuol dire entrare in ogni momento nel tempo di Dio. Evoluzione psicologica ed evoluzione credente si intrecciano di continuo.
Come può rispondere l’uomo al progetto formativo del Padre? «La docibilitas – ha spiegato Cencini – è la disposizione interna di chi ha imparato a imparare, ad accogliere, a obbedire, a rendere cioè ogni istante della propria vita un tempo di grazia, tempo che Dio ha assunto e in cui noi ci siamo fatti toccare dalla vita, dalle situazioni, anche negative, che sono strumento nelle mani del Padre. Così è come se tutta la vita fosse un’unica stagione, quella del tempo di Dio».
Anche la psicologia oggi riconosce, ha fatto poi notare Cencini, il primato dell’oggettività sulla soggettività e che l’uomo non è riducibile a ciò che appare di lui (ciò che fa, dice, manifesta…) ma è sempre proteso verso una dimensione ulteriore: «questa dimensione per il credente è il mistero, il Deus absconditus che l’uomo si sente irresistibilmente di cercare in ogni momento, in ogni età della sua vita».
Se la fede è relazione, imparare a credere è imparare a entrare in relazione. Per questo percorso non c’è una “grammatica della fede” uguale per tutti, ma si possono individuare cinque tappe, anche queste prese a prestito dalla psicologia, che l’uomo percorre nella ricerca del mistero: autismo (una parte di noi resta spazio chiuso alla relazione: ci sarà sempre un non credente in noi); simbiosi (Dio è percepito come oggetto appagante, diamo per scontato che i suoi desideri coincidano con i nostri: la scuola di formazione più dura e più forte è l’ascesi dei desideri); differenziazione (è la constatazione della diversità o della irriducibile alterità di Dio: si entra in lotta – religiosa, non psicologica – con l’amore di Dio e si vince nella misura in cui si perde e ci si lascia amare senza merito); integrazione (è la tappa decisiva: la relazione si vive bene solo quando nella totalità di me stesso accolgo la totalità di Dio; riscoprendo la presenza di Dio in ogni istante della mia vita passata posso riconciliarmi col passato mettendo senso dove non ce n’era o trasformando in positivo ciò che avevo vissuto solo in negativo); consegna di sé all’altro (tappa finale e punto d’arrivo).
Paola Zampieri
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