Famiglia e fragilità alla luce della fede

Giornata di studio

«Fragile come frantumabile e quindi bisognoso di attenzione e di cura perché prezioso» così il preside della Facoltà teologica del Triveneto, prof. Roberto Tommasi, citando le Etimologie di Isidoro di Siviglia, ha aperto la giornata di studio svoltasi mercoledì 14 novembre 2012 nell’aula tesi della Fttr, promossa dal biennio di specializzazione in teologia pastorale e dedicata al tema La famiglia nelle situazioni di fragilità. Non c’è solo un negativo in quell’aggettivo “fragile”, dunque, ma pure un positivo, che chiede la salvaguardia di ciò che è vulnerabile, sia costitutivamente sia per cause contingenti. Sulla fragilità come condizione dell’umano si è soffermato l’intervento di  Riccardo Battocchio, docente di teologia sistematica alla Fttr (Il limite, la fragilità, il peccato. Contributi dell’antropologia teologica all’interpretazione della condizione umana). C’è una fragilità ontologica (il limite ci definisce come esseri finiti, come creature), una fragilità esistenziale (le tensioni che abitano la vita degli umani), una fragilità teologica (il peccato che è, alla radice, un’assolutizzazione di sé, un rifiuto della propria finitudine). Questa fragilità “nativa”, nei tre sensi indicati, «non deve essere vista in negativo – ha sottolineato Battocchio – ma richiamare piuttosto a un sereno rapporto con l’“umano”, evitando la contrapposta retorica dell’auto-assoluzione (siamo fragili: non è colpa nostra) o dell’esercizio del potere (siete fragili: dovete affidarvi a me)». Se la fragilità non si può escludere, dunque, bisogna avere l’onestà di riconoscere i limiti e il coraggio di fare i conti con le fragilità esistenziali.

In tutto ciò l’uomo, e la famiglia, non sono lasciati soli. In tutta la Scrittura la vicenda amorosa dell’uomo e della donna risulta intrecciata con quella del loro rapporto con Dio: la solidità coniugale trova fondamento nella rivelazione cristiana e nel legame con Cristo. Proprio allo sviluppo di questo aspetto è stata dedicata la relazione di Aristide Fumagalli, docente di teologia morale al seminario arcivescovile di Milano (L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Fragilità e solidità coniugale alla luce della Bibbia). « Il matrimonio cristiano – ha detto – non è il legame amoroso che un uomo e una donna stabiliscono in proprio, ma il legame tra un uomo e una donna che sorge a causa dell’amore di Cristo. Ciò che Dio congiunge indissolubilmente, “sicché non sono più due, ma una sola carne”, e che dunque è inseparabile dall’uomo, non sono immediatamente un uomo e una donna, pur innamorati, ma un uomo e una donna che si amano in Cristo, che cioè, pur con tutto il realismo di chi rimane debole e peccatore, fanno del “come” Cristo ha amato il criterio ispiratore e la forza vitale della loro relazione amorosa. Sembra dunque di poter dire che l’unione prospettata all’uomo e alla donna è a loro donata da Cristo, il quale, per mezzo dello Spirito, li unisce attraendoli a sé». Fumagalli ha concluso: «La chiesa è invitata a prendere in seria considerazione la “drammatica matrimoniale”, nella quale la grazia si offre certo come risorsa decisiva affinché l’amore di coppia sia solido, sino all’indissolubilità, senza tuttavia che si possa escludere la fragilità, data l’eventualità che i due, essendo liberi, non corrispondano alla grazia loro donata di amarsi come Cristo ha amato, “sino alla fine”».

E se la famiglia non ce la fa? Se la frattura fra i coniugi è irreparabile? La ricerca di una risposta alla questione è stata affrontata da Basilio Petrà, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale (Quando le fragilità diventano fallimento…). Di fronte al fallimento matrimoniale e alla possibilità di nuove unioni, ha spiegato, già dal primo millennio le chiese hanno messo in atto due tipi di strategie. La strategia orientale (delle chiese non cattoliche) ha accettato l’idea che qualcosa fatto dall’uomo possa ferire mortalmente il matrimonio (il peccato di adulterio, cfr. Matteo 5,32 e 19,32) e quindi ha aperto a un nuovo inizio. La strategia latina, invece, non ha accettato il divorzio e la possibilità di nuove nozze; di fronte alla crisi irreversibile di un matrimonio, per fronteggiare situazioni di vita delle persone che, non sanate, possono portare a mali maggiori, la dottrina canonica ha elaborato la categoria della nullità del consenso nuziale e sviluppato il potere del pontefice di scioglimento del matrimonio “rato e non consumato”. «Oggi – ha affermato Petrà – c’è un coinvolgimento delle coppie “irregolari” nella vita della chiesa, seppure in situazione di digiuno eucaristico, e si favoriscono percorsi di tipo biblico, spirituale, psicologico. Altre ipotesi, se non sono accettate dal magistero, sono però studiate con attenzione. Sarà necessario arrivare a una soluzione, in chiave di continuità con la tradizione latina, per dare una risposta alla sofferenza che tocca oggi tante persone. La chiesa deve trovare il modo di essere chiesa per tutti i suoi figli».

 

Paola Zampieri

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