Paolo VI. Un ritratto spirituale è il titolo della giornata di studio, aperta al pubblico, promossa dal biennio di specializzazione della Facoltà teologica del Triveneto, in programma martedì 14 maggio 2019 presso l’Istituto teologico S. Antonio Dottore (via S. Massimo 25 a Padova), dalle ore 16 alle 18.
Sul tema interverranno Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI di Brescia, e Claudio Stercal, docente di Teologia spirituale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e alla Facoltà Teologica del Triveneto, curatore del volume Paolo VI. Un ritratto spirituale (Istituto Paolo VI-Studium, Brescia-Roma 2016) [leggi l’intervista a Claudio Stercal].
Professor Angelo Maffeis, il pontificato di Paolo VI è stato indissolubilmente intrecciato con la prosecuzione del concilio Vaticano II e con l’attuazione degli orientamenti maturati dall’assemblea conciliare. Qual è il tratto caratteristico con cui Montini ha portato avanti la riforma conciliare?
«Paolo VI è stato eletto papa il 21 giugno 1963, a Concilio aperto. Questo ha segnato evidentemente in modo profondo il suo pontificato, sia negli anni della celebrazione del Concilio (1963-1965), sia negli anni successivi che sono stati occupati dall’attuazione delle riforme prescritte dai suoi documenti. Rispetto all’assemblea conciliare, Paolo VI si pone con l’intento di rispettarne la libertà e, insieme, di favorire la formulazione di un consenso unanime nei testi che erano in preparazione. Rispetto a Giovanni XXIII che nel primo periodo conciliare ha consentito la presa di coscienza dei padri della loro responsabilità come corpo episcopale, anche a costo di una certa indeterminatezza dell’agenda dei lavori, Paolo VI ha dunque guidato l’assemblea verso la determinazione degli orientamenti teologici e pastorali da consegnare alla chiesa una volta concluso il Concilio».
Quali sono, secondo lei, le intuizioni di Paolo VI ancora da realizzare o da approfondire? E quali gli aspetti ancora attuali del suo pontificato, quarant’anni dopo?
«Le intuizioni più importanti di Paolo VI sono legate ai gesti simbolici da lui compiuti, che hanno un significato anticipatore di un futuro che si intravede e si intende costruire: il pellegrinaggio in Terra Santa esprime il bisogno della chiesa di un continuo ritorno alle origini, i gesti ecumenici esprimono la volontà di iniziare una storia nuova segnata da gesti di riconciliazione, il discorso all’assemblea dell’Onu e la difesa della pace esprimono la convinzione che alla missione della chiesa appartiene essenzialmente la collaborazione con l’intera famiglia umana nella promozione della giustizia e della pace».
Un tratto peculiare del pontificato di Paolo VI è la necessità, che egli avvertiva fortemente, di entrare in relazione con la cultura. Che cosa era per lui la cultura? E quali vie intraprese per aprire la coscienza contemporanea alla luce del Vangelo, per coniugare cultura ed evangelizzazione?
«La sensibilità per la cultura matura fin dagli anni della sua formazione giovanile e del suo primo ministero in mezzo agli studenti universitari: egli percepisce l’ostacolo che la mentalità moderna rappresenta per l’accoglienza del messaggio cristiano nei giovani che incontra. Come risposta a questa situazione egli mette a punto una critica severa all’assolutizzazione del soggetto che caratterizza la cultura moderna, ma cerca al tempo stesso vie per aprire la soggettività alle questioni di fondo dell’esistenza che attendono una risposta religiosa».
Che cosa pensava della teologia del suo tempo? E della formazione teologica?
«Giovanni Battista Montini si è formato nella stagione successiva al Modernismo e quindi in un contesto ecclesiale che vedeva con sospetto ogni novità in campo esegetico e teologico. Egli si muove perciò con grande cautela, anche se sono documentate letture di autori contemporanei “aperti”, sia in campo esegetico (J. Lagrange, F. Prat) sia in campo teologico (K. Adam, R. Guardini), dalle quali attinge il cristocentrismo caratteristico del suo pensiero. Al tempo stesso, gli interessa un’apologetica che sia all’altezza delle questioni della cultura del tempo e a tale scopo dilata il campo della sua attenzione alla filosofia, alla letteratura e all’arte».
Quale idea aveva di università e della missione a essa affidata? È ancora attuale?
«Montini si occupa intensamente di università nel periodo trascorso come assistente ecclesiastico della Federazione cattolica universitaria italiana (1924-1933). Il suo punto di vista è perciò anzitutto quello “pastorale”, di chi è chiamato ad accompagnare gli studenti negli anni degli studi universitari. Il progetto pedagogico che egli mette in atto è centrato sulla formazione di una coscienza credente, capace di integrare e portare a unità i diversi aspetti dell’esperienza, e di una coscienza critica rispetto alla cultura e a un contesto sociale dominato dal regime fascista. Unità della coscienza e capacità critica possono essere considerati elementi che ancora oggi rimangono validi della pastorale universitaria messa in atto da Montini».
Paolo VI è stato il papa della formazione di Jorge Mario Bergoglio. In quali aspetti del pensiero di papa Francesco vede la maggiore influenza?
«L’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) ha avuto una particolare importanza nella formazione di J.M. Bergoglio: egli l’ha definita il documento pastorale più importante del periodo successivo al Vaticano II. Il significato di questo documento è legato al ruolo che avuto per la recezione del Vaticano II in America Latina e alla scelta di raccogliere attorno all’idea di evangelizzazione l’intera azione pastorale della chiesa. L’esortazione apostolica propone inoltre una visione equilibrata della dimensione religiosa dell’azione della chiesa e della sua responsabilità sociale».
In merito alla pastorale delle istituzioni educative, nell’esortazione apostolica Christus vivit papa Francesco afferma che «la scuola cattolica continua a essere essenziale come spazio di evangelizzazione dei giovani» e richiama quanto ha scritto in Veritatis gaudium per un «rinnovamento e rilancio delle scuole e delle università “in uscita” missionaria». Che cosa significa oggi, nell’ambito della missione culturale della chiesa, garantire ai giovani il “diritto alla cultura”?
«Nell’enciclica Populorum progressio (1967) Paolo VI parla di uno sviluppo che deve essere integrale e solidale. La prima caratteristica radica l’impegno per lo sviluppo in una visione non riduttiva dell’essere umano e della sua vocazione: non è sufficiente una concezione dello sviluppo che miri esclusivamente a soddisfare i bisogni elementari o si riduca all’aspetto economico, ma un autentico sviluppo deve rispondere anche al bisogno di cultura e di formazione che abita nell’essere umano e aprirsi infine alla dimensione religiosa e alla possibilità per ognuno di rispondere alla propria vocazione. In questa prospettiva si comprende il ruolo attribuito alla scuola e all’opera dei cristiani nell’ambito della formazione delle nuove generazioni».
Paola Zampieri