Che cosa possiamo imparare oggi dalla Riforma? È stata questa la domanda al centro della giornata di studio proposta il 23 febbraio 2017 a Venezia da Istituto di studi ecumenici San Bernardino e Facoltà teologica del Triveneto nell’ambito del progetto A 500 anni dalla Riforma protestante. Ripensare l’evento, viverlo ecumenicamente.
Sul tema La nozione di “riforma” e il presente come “tempo di riforma” si sono confrontati Jörg Lauster, docente di teologia sistematica alla Facoltà di teologia protestante della Ludvig-Maximilians Universität di Monaco di Baviera, e Riccardo Battocchio, docente di teologia dogmatica alla Facoltà teologica del Triveneto.
«La riforma della chiesa è dovere permanente del cristianesimo – ha affermato il teologo protestante Jörg Lauster – perché la chiesa vive da un fonte che è sempre più profondo di quanto gli uomini possono immaginare. Ecclesia semper reformanda. La Riforma non è solo un evento storico, ma anche un principio, una protesta perpetua, un processo».
Se la chiesa è costantemente da riformare, significa anche che ogni aspetto del cristianesimo non può trovare il suo completamento finale e quindi «la critica di Lutero non vive per la sua realizzazione nel periodo della Riforma, vive per la potenza dei suoi ideali nel corso del tempo. La sua critica della dottrina medievale della transustanziazione – sostiene Lauster – si rivolge al problema fondamentale del cristianesimo, quello di trovare un linguaggio per il trascendente».
E se il sacro è sempre più di quanto le persone possano esprimere, le forme di espressione del cristianesimo devono restare aperte a ciò che è più grande. «Questa intuizione – sottolinea – è il nucleo della Riforma». Ciò chiede di ripensare la nostra vita attuale nella chiesa: «né il potere e neanche le strutture sono fatte per l’eternità, quello che conta è l’annuncio del vangelo nella consolazione divina».
La Riforma come principio e processo ha anche un valore ecumenico. Con la diversità confessionale abbiamo «uno specchio in cui vediamo quello che ci manca nella nostra realizzazione del cristianesimo, sia protestante, cattolica o ortodossa – e che deve necessariamente mancare. Il cristianesimo vive da una forza sacra che è inesauribile e necessariamente si esprime in una varietà di espressioni e modi di vita».
Una buona risposta è lasciare quello che ci divide in una diversità riconciliata, ma «la più alta arte di teologia ecumenica – afferma Lauster – è rendere forte l’altro e cogliere manifestazioni della presenza divina nell’altra confessione, che non conosce, che ha perso o che non ha mai avuto la mia forma di cristianesimo. La varietà di denominazioni riflette l’inesauribile del sacro. Un passo in più saranno nuove forme di ospitalità reale».
Il cristianesimo è più della nostra storia ed è per questo che «la Riforma è di tutti».
I 500 anni di Riforma ricordano che «la riforma è un atteggiamento aperto alle varie manifestazioni dello Spirito nella chiesa, nella storia umana, nella cultura e nella natura, un atteggiamento che vive da un coraggio instancabile e una fiducia profonda che Dio stesso guida e accompagna la nostra storia».
«Ogni azione ecclesiale, anche quella orientata alla riforma, è un’incompiuta – fa eco il teologo cattolico Riccardo Battocchio –. Accettare l’incompiutezza della storia non significa, d’altra parte, rinunciare a metter mano al cambiamento dei processi e delle istituzioni ecclesiali che un adeguato discernimento segnala come non in grado di corrispondere alla “forma” della chiesa, ossia l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, della misericordia trasformante di Dio. Oggi possiamo dire, insieme, cattolici e luterani: l’annuncio della giustificazione».
I cambiamenti vanno fatti non per rendere più robusta la chiesa, ma per annunciare il vangelo oggi: nunc est ecclesia reformanda. Questo nunc, l’oggi in cui agire, richiama le sfide poste dalla complessità del reale, che non ammettono risposte semplici, lineari. Vivere l’esperienza ecclesiale accettando di essere in stato di riforma chiede la disponibilità a lasciarsi coinvolgere in una riforma del pensiero, delle dottrine, delle strutture – afferma Battocchio, che prosegue:
«L’esodo dalla cristianità detta l’agenda di una riforma che non può prevedere solo aggiustamenti strategici. Ogni riforma – da quella della curia romana a quella dei seminari, da quella della parrocchia a quella dei ministeri ecclesiali – va attuata nella consapevolezza che oggi l’appartenenza alla chiesa è una possibilità fra le tante. Anche quando è scelta con convinzione, questa appartenenza non cessa di fare i conti con la pluralità e frammentazione delle esperienze. Da qui l’esigenza, già indicata dal Vaticano II, di cercare, nello Spirito, il consenso su ciò che è centrale nell’annuncio e nella vita della chiesa (nella logica di Unitatis redintegratio 11), distinguendolo dalle dottrine che, nel variare dei tempi, custodiscono l’annuncio».
Un contributo che le chiese potrebbero offrire alla vita delle comunità civili e politiche, in un contesto plurale, in un mondo secolare o post-secolare, senza cercare posizioni di privilegio o di apprezzamento a priori, «è la testimonianza del fatto che, a partire dall’accoglienza del Vangelo di Gesù Cristo, è realistico immaginare un sistema di relazioni interpersonali nel quale riconoscimento della dignità di ciascuno, partecipazione di tutti, apprezzamento dei doni e dei compiti particolari di alcuni, non vanno a scapito dell’azione condivisa ed efficace».
Paola Zampieri