Scienza e fede, incontro tra saperi e persone

“Cosa possiamo sperare? Tra scienza e fede: futuro, oltre i limiti”: è una domanda, con una lunga storia nel pensiero occidentale e una perenne attualità, il punto di partenza delle riflessioni di teologi, filosofi e scienziati che si avvicenderanno nel ciclo di conferenze promosso dalla Facoltà in collaborazione con Università di Padova e Fondazione Lanza. Ne parliamo con Simone Morandini.

Cosa possiamo sperare? Tra scienza e fede: futuro, oltre i limiti: è una domanda, con una lunga storia nel pensiero occidentale e una perenne attualità, il punto di partenza delle riflessioni di teologi, filosofi e scienziati che si avvicenderanno nel ciclo di conferenze promosso da Facoltà Teologica del Triveneto in collaborazione con Università di Padova e Fondazione Lanza a partire dal 2 marzo (qui il programma).
Obiettivo primario della proposta è la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, ma anche il coinvolgimento di tutti coloro che sono interessati al tema trattato.
Ne parliamo con Simone Morandini, che assieme a Piero Benvenuti e Giulio Peruzzi coordina il progetto giunto quest’anno alla undicesima edizione.

Professor Morandini, il corso ha varcato il decennio di vita. Qual è il bilancio di questi anni di attività?
«Si tratta di un’iniziativa nata in modo un po’ occasionale, legata alla collaborazione tra la Facoltà teologica del Triveneto e il Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova. Poi, però, essa ha progressivamente assunto un profilo sempre più interdisciplinare, coinvolgendo saperi diversi, in primo luogo scientifici (biologia, fisica, informatica) ma anche umanistici (filosofia, letteratura) e interessando anche riferimenti religiosi diversi (buddhismo). Al contempo si è ampliato l’insieme dei partecipanti, costantemente interessati e attivi nel dibattito: oltre agli insegnanti di religione sono sempre più presenti docenti di area scientifica e filosofica (e non solo). Per molti è diventato un appuntamento annuale imperdibile, l’occasione per una riflessione non compartimentata, ma capace di porre in relazione ambiti, competenze e appartenenze diverse».

Da dove si riparte quest’anno?
«La ripartenza è stata quella del 2022, dopo un paio di anni di stop a causa del Covid, con un corso offerto in modalità duale (in presenza e online). Ed è stata faticosa, come lo sono state molte delle riprese dopo la pandemia. Anche per questo nel 2023 si è privilegiata la partecipazione in presenza: la vivacità del dibattito e l’interazione dialogica tra i relatori e gli altri partecipanti è essenziale per la stessa fruizione dei contenuti. Di qui si riparte, dunque, dal desiderio di un incontro tra saperi che si realizzi assieme a un incontro di persone».

Come è stato scelto il tema del 2023, che fa riferimento alla speranza, al futuro, ai limiti da superare?
«Il gruppo promotore – esso stesso plurale nelle competenze presenti – ha condiviso la percezione di un tempo sofferto, denso di interrogativi che toccano il futuro della vita, generando spesso passioni tristi e ostacolando una buona vita. Ecco, allora, la volontà di riprendere la domanda kantiana “cosa possiamo sperare?”, ma di farlo in un contesto ben diverso – e più complesso – rispetto a quello in cui Kant visse. Le domande e i fronti di impegno che emergono dall’esperienza del riscaldamento globale sul nostro pianeta si intrecceranno così con un attento discernimento circa gli scenari cosmologici – tra la lettura delle dinamiche evolutive individuate e uno sguardo al remoto futuro. Al contempo i saperi teologici che attingono alla tradizione cristiana proveranno a parlare di speranza, esplorando la varietà di significati racchiusi in tale termine e interrogandosi sul loro significato in tali scenari».

Scienza, teologia, etica… ma nel programma si affaccia anche il pensiero buddista. Perché?
«Il pensiero orientale racchiude una diversa esperienza del tempo, assai meno lineare di quella cui è abituato l’Occidente. È allora estremamente stimolante chiedersi cosa possa significare speranza in un simile orizzonte, in un dialogo fatto di ascolto attento e di reciproca interrogazione. Non si tratta, del resto, solo di un vezzo spirituale: abitiamo una società sempre più globalizzata, in cui il colloquio tra religioni e culture diverse è imprescindibile, anche soltanto per la convivenza civile nelle nostre città. Lo stesso confronto con i saperi scientifici deve lasciarsi interpellare da tale pluralità, cogliendo i diversi orizzonti di senso a essa associati».

Quale sarà l’approccio al tema?
«L’approccio sarà quello più volte sperimentato nelle precedenti edizioni: in ogni incontro due relatori con diverse competenze presenteranno due ampi interventi di contenuto – debitamente intervallati da una pausa. A seguire poi il dibattito, in cui l’interlocuzione tra i due che si intreccia e si alimenta con gli interrogativi – sempre vivaci – portati dai partecipanti. Il metodo è, insomma, quello del dialogo, guidato dal rispetto per ogni interlocutore e ogni posizione espressa, ma anche da una volontà di reciproca comprensione che si traduce in un reciproco interrogarsi, magari anche in forma pungente. Sono questi, credo, i fattori che – assieme alla qualità dei docenti – qualificano e rendono stimolante l’esperienza del corso».

Paola Zampieri

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