Sinodalità e “primavera ecumenica”

Verso il convegno sulla sinodalità (12 aprile 2019) - 4. Proseguiamo l’approfondimento di alcuni aspetti legati al tema della sinodalità con un’intervista al prof. Simone Morandini sul valore che la dimensione sinodale assume, declinata in forme diverse, per la vita delle diverse chiese cristiane.

Padova, 1 aprile 2019. Le chiese delle diverse tradizioni cristiane interpretano in maniera diversa i modi in cui si esprime la dimensione sinodale che è costitutiva della chiesa. È importante che ci sia un dialogo fra le chiese su questi temi, sul modo in cui la sinodalità può corrispondere alla missione e all’identità della chiesa. L’ambito ecumenico – anche se non verrà affrontato esplicitamente nel convegno Sinodalità: una chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme (Padova, 12 aprile 2019 – vai alla notizia) – è certamente un orizzonte da cui non si può prescindere.

Apriamo quindi una finestra ecumenica con Simone Morandini, vicepreside dell’Istituto di studi ecumenici “San Bernardino” di Venezia e docente di Teologia della creazione alla Facoltà teologica del Triveneto.

Professor Morandini, il concetto e la pratica della sinodalità quale ruolo hanno, in ambito ecumenico, per il raggiungimento della piena unità fra le chiese e le confessioni cristiane?

«La dimensione sinodale – declinata certo in forme diverse – è elemento importante per la vita di gran parte delle chiese cristiane. Lo ha evidenziato lo stesso papa Francesco, che più volte ha sottolineato quanto ci sia da imparare in quest’ambito dal mondo ortodosso. Ma anche il mondo protestante vive una ricca pratica di sinodalità».

Ci sono anche dei testi, in ambito protestante, a sostegno della pratica?

«Anche l’ultimo documento della commissione cattolica-anglicana, pubblicato nel 2018, dedica pagine importanti alle dinamiche di reciproco apprendimento che possono realizzarsi in quest’ambito tra le due chiese, in una logica di “ecumenismo recettivo”. E gli ultimi testi del dialogo cattolico-ortodosso offrono indicazioni di grande rilievo per una comprensione del rapporto tra sinodalità e primato (a livello locale, così come regionale e universale) che possa essere compatibile con i rispettivi orizzonti ecclesiologici».

Stile e metodo sinodale come possono incentivare il cammino ecumenico?

«Un orizzonte di sinodalità già costituisce, in realtà, un elemento chiave del cammino ecumenico. Lo stesso Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) – che raccoglie gran parte delle comunità legate all’ortodossia e al protestantesimo storico e in molti ambiti agisce in stretta collaborazione con la chiesa cattolica romana – vede le sue strutture decisionali operare in forma sinodale. Tale dato è ancor più vero dopo la crisi vissuta attorno all’Assemblea di Harare del 1998, che ha portato il Cec a orientarsi a un modello deliberativo basato sul consenso, piuttosto che sulla logica della maggioranza».

Che ruolo gioca la valorizzazione delle differenze?

«In un orizzonte sinodale si muove anche quella ricerca sui “modelli di unità” tramite i quali la riflessione ecumenica si sforza di anticipare teologicamente la forma della comunione futura e a cui contribuisce in modo determinante la commissione Fede e Costituzione. Come notavo anche nel mio libro Teologia dell’ecumenismo, si è gradualmente passati da una logica centrata su una “unità organica”, nella quale poco spazio avrebbero trovato le ricchezze delle diverse confessioni, a una di “unità nella diversità”, decisamente valorizzata anche da papa Francesco. Valorizzare le differenze, però, esige una ricca prassi di confronto e di scambio, per la quale la riflessione ecumenica usa spesso appunto il linguaggio della sinodalità o addirittura quello della conciliarità».

È il momento per la chiesa cattolica di assumersi una responsabilità nuova nel cammino ecumenico?

«La nuova attenzione per la sinodalità portata da papa Francesco nella chiesa cattolica offre opportunità importanti per approfondire quei percorsi di dialogo – teologico, spirituale, pastorale – che vivono ormai da decenni le chiese cristiane. Molte delle storiche differenze teologiche appaiono sempre meno come fattori di divisione, ma piuttosto come espressioni di diverse esperienze spirituali del mistero di Cristo; ecco allora che per il cammino ecumenico si dispiegano orizzonti inediti».

Qual è oggi la sfida da affrontare?

«La sfida adesso è passare da accordi “locali” (su specifici punti di divergenza) a quel salto di qualità che occorre per realizzare una comunione piena. È dunque un tempo che molti autori – nonostante le difficoltà – continuano a leggere come “primavera ecumenica”. Essenziale per la teologia cattolica è esplorare coraggiosamente tali prospettive, contribuendo a elaborare strumenti concettuali per passi ulteriori nel cammino. Anche per questo l’Istituto di studi ecumenici “San Bernardino” di Venezia dedicherà il suo prossimo seminario ecumenico di ecclesiologia (3-4 maggio 2019) proprio alle implicazioni ecumeniche della sinodalità».

Paola Zampieri

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