Con uno sguardo sulle Trasformazioni dell’umano, portato dal teologo moralista Antonio Autiero, si è concluso a Padova giovedì 11 febbraio 2016 il ciclo di incontri Dove va l’umano?, promosso da Facoltà teologica del Triveneto e Fondazione Lanza. Sul tema Autiero ha proposto alcune considerazioni in chiave etica, utili a orientare le scelte dell’agire.
La trasformazione indica un punto di partenza e di arrivo, un tempo in cui ci si muove, un desiderio di superare la staticità: ha una semantica di carattere dinamico.
Nell’umano in trasformazione si intrecciano, nella storia culturale da cui proveniamo, due categorie: la natura umana e la legge morale. Nella prima si impattano due visioni: quella platonica-agostiniana e quella aristotelico-tommasiana. Nel platonismo – ha spiegato Autiero – l’umano e l’umanità dell’essere sono dati da un adeguarsi alla natura come a una realtà già data, che sta alle spalle (quod quid erat esse: passività e normatività). Nell’aristotelismo invece la natura sta di fronte: è il fine verso cui converge un essere; il termine finale della natura è la coesistenza nella polis e strumentario per raggiungerlo è logos e nous (visione dinamica). Nel pensiero moderno quest’ottica di movimento riemerge, rispettivamente con Heidegger (tema della tecnica: se l’uomo non rispetta il codice di fattura della sua provenienza salta in aria) e con Kant (la capacità di destinazione è la vera caratteristica dello sviluppo di umanità; l’uomo è determinato dalla sua ragione a vivere in società con gli uomini e a civilizzarsi e moralizzarsi). «L’umano è compresso da una parte nell’obbedienza a qualcosa di dato e nell’adeguamento individuale a ciò da cui si proviene – ha sintetizzato Autiero – e d’altra parte in una dinamica tesa a confluire in una convivenza».
Queste due varianti della categoria di natura si contagiano con la categoria della legge morale. Anche questa infatti vive nella stessa dialettica tra dinamicità e staticità: tra l’essere ordinatio rationis ad bonum commune (Tommaso d’Aquino) e praeceptum iustum et stabile (Francisco Suarez), cioè tra il promuovere solidarietà e costruire civiltà e il descrivere e prescrivere confini.
«Quando parliamo di umano – afferma Autiero – non possiamo parlare più di un costrutto normativo ma di un orizzonte di senso: con la teologia morale post-Concilio la natura diventa teleologica e non normologica. L’umano deve diventare uno spazio aperto dentro angolazioni diverse». Il teologo ne cita tre: l’ethos, dove lo spazio è la capacità di investire le risorse per arrivare a un fine: è capacità di amare, espressione della nostra libertà; il pathos, che è il prendere a cuore il destino di fragilità in noi e negli altri: è partecipazione e inclusione; il nomos, il sistema di riferimento: è saper coniugare il diritto con i diritti per un sistema giuridico che tenga conto dei diritti fondamentali di tutti.
«Tutte e tre queste angolazioni – ha sottolineato Autiero – convergono sulla categoria dell’amore: ci si prende a cuore dell’umano. L’arte del dubbio, per cui si è coniato oggi il termine “zetetica”, è l’arte del saper cercare e può diventare una nuova saggezza della perplessità, morbida, che ama, che si curva sulla complessità “naturale”». L’umano dunque mette se stesso a continua prova e verifica. «L’umano – ha concluso il teologo – è quella passione di abitare una casa comune in cui gli inquilini non sono solo i custodi ma al tempo stesso gli architetti e gli abitanti».
Paola Zampieri