Le mafie oggi: questione culturale, politica, economica

Oggi la mafia ha il volto dell’impresa, opera nei mercati, influenza il voto. Spara e uccide meno di un tempo, ma esercita la corruzione, l’intimidazione, la minaccia; è un modo di pensare e di comportarsi, fondato sul consenso sociale e sull’indifferenza. Intervista a Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico (che nel Veneto conta il maggior numero di soci), che aprirà il seminario-laboratorio “Etica sociale ed educazione alla legalità”.

Padova, 28 febbraio 2023. Oggi la mafia ha il volto dell’impresa, opera nei mercati, influenza il voto. Spara e uccide meno di un tempo, ma esercita la corruzione, l’intimidazione, la minaccia; è un modo di pensare e di comportarsi, fondato sul consenso sociale e sull’indifferenza. Per combatterla non basta delegare le forze di polizia, la magistratura, gli organi di controllo. Per prevenirla, oltre che contrastarla e sconfiggerla, ciascuno deve fare la propria parte a livello civile, culturale, politico, sociale.

È Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso pubblico. Enti locali e Regioni contro mafie e corruzione, a tracciare questo quadro, in un’intervista rilasciata in vista della sua partecipazione al primo incontro del seminario-laboratorio “Etica sociale ed educazione alla legalità”, organizzato dalla Facoltà teologica del Triveneto con il contributo della Regione del Veneto, a partire dal 2 marzo 2023 a Padova.

Quando si parla di mafie il rischio è di negare o di sottovalutare il fenomeno, oppure di sopravvalutarlo; per questo è importante innanzitutto definire che cosa sono oggi le mafie.

Dottor Pierpaolo Romani, che volto hanno oggi le mafie?
«Secondo l’art. 416bis del Codice penale, la mafia si configura innanzitutto come una forma di criminalità organizzata, segreta, composta di persone, dotata di armi, di eserciti privati e di capitali. Ma le mafie sono anche imprese che possono gestire appalti, servizi e forniture. Sono inoltre delle banche: in un momento in cui a molti i soldi mancano, i mafiosi li hanno e li danno a chi ne ha bisogno e non li trova nel circuito economico legale; si fanno soci di imprenditori che diventano così complici e conniventi con le organizzazioni mafiose. Infine, le mafie possono influenzare il voto, in maniera diretta o indiretta, per ottenere benefici ai loro traffici».

La tradizionale immagine della mafia che spara, minaccia e uccide è superata?
«Possiamo dire che oggi le mafie hanno ridotto la violenza, anche perché ciò che è successo in Sicilia negli anni Novanta – lo scontro frontale fra la Cosa Nostra gestita dai Corleonesi di Riina e lo Stato – ha portato alla sconfitta di quel pezzo di Cosa Nostra: sono stati tutti arrestati, sono morti in carcere, gli hanno portato via buona parte dei loro beni. Oggi la mafia si presenta soprattutto col volto dell’impresa e agisce nei mercati. Un occhio attento deve guardare oltre le denunce e gli arresti».

Quali sono i nuovi indicatori, i segnali sul territorio della presenza mafiosa?
«In Italia le operazioni finanziarie sospette, di cui periodicamente ci informa la Banca d’Italia, sono in aumento importante. Nel Nordest siamo passati da circa 8mila a 10mila. Verona è la provincia del Veneto che da almeno tre anni detiene il primato, insieme a Padova e Treviso. Questo indicatore ci dice che la mafia va dove si possono fare affari, dove il denaro circola. Chi opera nei mercati deve prestare attenzione alla provenienza del denaro, perché quando i mafiosi arrivano in un mercato, e quindi in un territorio, il loro obiettivo è di monopolizzarlo, di farla da padroni e non di mettersi in un’ottica concorrenziale».

Altri campanelli d’allarme che segnalano la presenza della mafia come impresa o banca?
«Ci sono le interdittive antimafia emesse dai prefetti, che segnalano il rischio significativo che un’azienda sia condizionata e fanno sì che quell’impresa per diversi mesi non possa operare con la pubblica amministrazione. In provincia di Verona negli ultimi due anni ne sono state emesse 14, ma ce ne sono state anche a Padova e Treviso; una delle ultime, nella provincia di Belluno, riguarda un’azienda che si era inserita nei lavori per le prossime olimpiadi. Un terzo dato è quello dei beni e delle aziende confiscate, fornito dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. In Veneto ce ne sono più di 400, di cui buona parte è utilizzata ora per fini istituzionali e sociali».

In Veneto sono in corso diversi processi che hanno per oggetto organizzazioni criminali di tipo camorristico e ‘ndranghetistico. Qual è il dato che emerge da queste indagini?
«Questo fatto ci dice che non possiamo più parlare di infiltrazione mafiosa – cioè di un fenomeno che riguarda qualche parte del territorio e in maniera sporadica – ma di un radicamento, che è almeno trentennale, delle mafie nel Nordest. Già nel 1994 la Commissione parlamentare antimafia si disse particolarmente preoccupata – e lo ha ribadito la Commissione presieduta da Rosy Bindi nel 2018 – per la sottovalutazione del fenomeno mafioso in Veneto, sia a livello investigativo sia a livello civile. Le mafie sono ben presenti in Veneto, hanno complici e conniventi tra imprenditori, professionisti e amministratoli locali, ricordiamo la vicenda del Comune di Eraclea».

Cos’è che rende i Comuni particolarmente appetibili per le mafie?
«I Comuni sono diventati degli importanti centri di spesa, in quanto distribuiscono risorse – pensiamo al Piano nazionale di ripresa e resilienza – e quindi far eleggere un sindaco o un assessore ai lavori pubblici piuttosto che un altro vuol dire poter godere di alcuni vantaggi. Se le mafie hanno ridotto la violenza, hanno però aumentato molto la corruzione, che non spaventa come un omicidio, non fa rumore, non crea scandalo salvo quando salta fuori. E, per quanto riguarda il Nord Italia, aggiungo anche un altro fenomeno a cui dobbiamo prestare attenzione, pur senza fare generalizzazioni: l’evasione fiscale. Dove si fa di tutto per non pagare le tasse, si dà l’idea di non sentirsi parte dello Stato e questa mentalità favorisce l’arrivo delle organizzazioni mafiose».

È anche una questione culturale?
«Non dobbiamo dimenticare che la mafia è anche un modo di pesare e di comportarsi che si fonda sul privilegio e sul favore piuttosto che sul diritto, sull’omertà piuttosto che sulla trasparenza, sull’avere piuttosto che sull’essere. Una delle forze storiche delle mafie è il consenso sociale, un’altra è l’indifferenza. È importante vedere le mafie non solo nell’ambito delle leggi del codice penale o civile. Le mafie sono una grande questione culturale, politica, economica».

Un segnale preoccupante di indifferenza è l’aumento dell’astensionismo al voto.
«Nelle recenti elezioni regionali sei italiani su dieci non sono andati a votare in regioni traino per il nostro paese quali sono Lazio e Lombardia. Se la stragrande maggioranza delle persone perbene non crede più nella politica, tanto da non andare più a votare o anche da non candidarsi neanche più a fare il consigliere comunale, sicuramente quel vuoto verrà colmato da qualcun altro, un incompetente nella migliore delle ipotesi, un “birbante” nella peggiore».

Che cosa possiamo fare da un punto di vista civile, culturale, sociale e anche politico?
«Innanzitutto non possiamo delegare questa battaglia solo alle forze di polizia e alla magistratura, agli organi di controllo. Loro devono fare la loro parte, e la fanno anche bene. Dobbiamo però considerare un principio base: la mafia è una forma di criminalità organizzata. Se vogliamo prevenirla, oltre che contrastarla e sconfiggerla, dobbiamo essere organizzati anche noi. È questo l’impegno di Avviso pubblico».

Come opera Avviso pubblico?
«Avviso pubblico è una associazione nazionale nata 27 anni fa per creare una rete di legalità organizzata sul versante delle istituzioni, che mette insieme comuni, province, regioni, città metropolitane, unione di comuni, camere di commercio, società partecipate. Diffondiamo informazione di qualità e aggiornata, offriamo formazione e strumenti, raccogliamo buone pratiche e le mettiamo in circolo ma anche impariamo dalle cattive pratiche».

Quali sono le vostre preoccupazioni principali in questo momento?
«Siamo nella cosiddetta fase di messa a terra del Pnrr e temiamo che il criterio della velocità prevalga su quello della legalità, del controllo e della trasparenza. Inoltre, ci preoccupa il fatto che la giustamente invocata semplificazione normativa assomigli sempre di più a una deregolamentazione. Non si può tirare una riga sulle norme e dire “Intanto facciamo e poi vediamo”. Sappiamo che un piccolo tarlo assieme ad altri tarli può distruggere pian piano l’intera trave portante di una casa. Questo è il rischio che noi stiamo correndo. Aggiungo un appunto all’Unione europea: non deve pensare che la mafia sia un affare italiano. Abbiamo avuto arresti e stragi mafiose in Germania, Olanda, Spagna, Francia, repubbliche dell’Est; sono chiari segni che la mafia è già in Europa, oltre che in altre nazioni del mondo. È una realtà da non sottovalutare».

Anche la chiesa e le istituzioni ecclesiastiche sono chiamate a fare la propria parte.
«Papa Francesco è una persona molto attenta alle mafie e alla corruzione, avverte che una parte del magistero della chiesa deve preoccuparsi di queste questioni, perché toccano la libertà e la dignità delle persone. Io credo che le chiese abbiano un ruolo importantissimo nella formazione culturale. Lo testimonia anche l’impegno di don Pino Puglisi e don Peppe Diana, assassinati dalla Camorra e da Cosa Nostra, perché volevano portare i bambini a scuola e formare le coscienze. Possiamo fare tutte le leggi che vogliamo, ma i principi e la responsabilità le persone devono sentirli dentro di sé. Tutto ciò si coltiva con l’educazione e la formazione, che scacciano l’indifferenza».

Criminalità, rabbia sociale, sfiducia verso la politica spesso sono un mix micidiale… Gli amministratori locali con quale tessuto sociale oggi si devono misurare?
«Una parte delle intimidazioni e minacce agli amministratori e amministratrici locali ha origine criminale; si verificano quando sindaci, assessori, consiglieri comunali lavorano, ad esempio, per promuovere la trasparenza laddove i mafiosi vorrebbero opacità e omertà. È in aumento però il numero di cittadini arrabbiati che minacciano e intimidiscono i sindaci. In un paese sempre più impaurito e diseguale, dove i salari non crescono da trent’anni, dove il lavoro è precario, povero e in buona parte anche nero, tante persone disperate e sfiduciate, che non trovano risposte nelle istituzioni, istintivamente se la prendono con il politico più vicino, che appunto è il sindaco. Oggi probabilmente un pezzo di cittadinanza non va più a votare e non si candida alle elezioni perché è molto sfiduciata da una parte e impaurita dall’altra, e vede la politica distante dai bisogni delle persone».

Avviso pubblico come risponde a queste situazioni?
«Censiamo la situazione, nel rapporto annuale “Amministratori sotto tiro”, e poi proviamo a raccontare un’Italia fatta di donne e uomini che in qualità di pubblici amministratori e amministratrici fanno delle cose positive, concrete. Oggi l’associazione a livello nazionale conta 530 enti soci, di cui 111 nel Veneto, che attualmente è la prima per numero di aderenti. È importante sottolineare che questi comuni ed enti sono governati da maggioranze diverse, che ricomprendono tutto l’arco politico. Questo vuol dire che contro la mafia si sta tutti insieme da una sola parte. Crediamo fermamente che una politica competente e responsabile può incidere per cambiare in meglio le situazioni di criticità e lavorare sulla prevenzione».

Che ruolo hanno i media?
«I media giocano una parte fondamentale nella prevenzione e nel contrasto alle mafie; ne è prova il fatto che diversi giornalisti sono stati assassinati e altri sono sotto scorta per essersi occupati con responsabilità di questi temi. Penso che oggi un ruolo importantissimo lo rivesta l’informazione locale, che documenta quanto succede nei territori. I grandi giornali e le testate televisive si occupano di mafia prevalentemente quando c’è un fatto di cronaca, mentre sarebbe auspicabile che ci fosse un incremento del lavoro di approfondimento e di inchiesta, che pure alcuni programmi svolgono già. Inoltre, un grande aiuto che i media possono fornire è nel tenere lontane le fake news, impedire cioè che l’informazione-spazzatura, falsa e strumentale, possa diffondersi, soprattutto in televisione e nei social media che sono le principali fonti attraverso cui il grande pubblico si informa».

Paola Zampieri

 

Foto dal sito www.avvisopubblico.it

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