Una relazione di inquadramento storico su Nicea deve innanzitutto dar conto del radicale cambio di paradigma storiografico, elaborato nel secolo scorso, con accelerazione negli ultimi 50 anni. Si è sostanzialmente passati da un modello apologetico, tarato soprattutto sulle affermazioni di Atanasio di Alessandria, a una considerazione aperta e in ricerca riguardante Nicea, soprattutto in relazione al simbolo.
Bisogna poi comprendere che l’informazione su Nicea è fatta di luci e ombre: non abbiamo gli atti (così come non li abbiamo per il Costantinopolitano I) e questo lascia agli storici un margine di incertezza assai ampio, sicché è stata anche revocata in dubbio la ragione della convocazione da parte di Costantino: fu effettivamente la controversia ariana il motivo della convocazione o l’idea di un concilio “ecumenico” era già precedente? Ritengo in proposito, dopo una serie di considerazioni che la relazione si occuperà di proporre, che in ogni caso la questione ariana sia stato il detonatore che ha offerto l’opportunità di attuare un progetto inedito, quello di far incontrare vescovi provenienti da diverse diocesi e aree geografiche. Già Eusebio di Cesarea parla infatti di concilio “ecumenico”.
Per comprendere poi la portata del simbolo niceno è necessario da un lato rivolgersi alle dispute precedenti Nicea, quella che Pietras ha chiamato la “guerra epistolare” e che avevano prodotto, nel secondo decennio del IV secolo, un affaire geopolitico di proporzioni preoccupanti in Oriente e dall’altro soffermarsi sui simboli di fede conosciuti e sulle affermazioni kerygmatiche sparse nelle fonti precedenti, per comprendere la novità di un simbolo che intendeva gettare lo sguardo sulla vita intradivina e non solo sulla economia della salvezza. Si cercherà di contrastare l’opinione vulgata secondo la quale Eusebio di Cesarea ha presentato a Nicea il simbolo della sua chiesa. Se lo ha fatto lo ha certo integrato con affermazioni sulla generazione divina di sua composizione.
La novità più sconcertante, probabilmente per la maggioranza dei presenti a Nicea, fu l’inserimento nel simbolo di un termine non scritturistico, l’homoousios, che, per giunta, non era stato in precedenza sostenuto da Alessandro di Alessandria, almeno stando alle sue lettere rimaste e il cui significato, al di là di quanto dice Eusebio di Cesarea nella lettera alla sua chiesa, era stato compreso diversamente dai presenti, e ‘ingoiato’ a forza dai pochi competenti, come dimostrano le vicende successive. Ma a Nicea, a causa del pregresso incandescente, si trattava non di cercare una conciliazione tra le parti (i vescovi, Ario era ormai ai margini) ma della vittoria di una parte sull’altra.
Di certo la volontà di Costantino fu determinante per ottenere il risultato niceno: uno degli elementi di grande interesse della vicenda è vedere come Costantino impone a Nicea, e per l’immediato periodo post niceno, la sua agenda, sia pure trasformandola nei modi rispetto alla lettera che aveva in precedenza inviato ad Alessandro e Ario per tentare di ricomporre la frattura, in quanto la lettera che invia alle chiese dopo il concilio conferma la sua visione di quello che deve essere l’attività dei capi delle chiese, un’attività volta a regolare il culto e l’adorazione di Dio nei modi opportuni (donde l’attenzione alla data pasquale) e non a dividersi sulla dottrina, che è impervia e destinata a un numero ristretto di competenti, che possono discuterne, senza liti e fratture, sapendo che il mistero di Dio rimane indecifrato. Per questo Costantino, dopo Nicea, mantenendo per ferma l’autorità del concilio, cercò invano una pacificazione fra le parti sulla base di formule di fede generiche. In fondo la posizione di Costantino converge con quanto Eusebio di Cesarea aveva sostenuto, in tempi non sospetti, nella sua Storia ecclesiastica, laddove ravvisava nelle liti tra i vescovi la massima tragedia del mondo cristiano.
A Nicea, di contro all’indubbio guadagno di una professione di fede universale (che però si affermò come tale solo molto lentamente, e che fu consacrata di fatto solo a Calcedonia nel 451), iniziò un percorso accelerato e potenzialmente intollerante di ricerca definitoria, in cui, cosa da non trascurare, l’eresia, una volta condannata, diventava reato da colpire penalmente.