Sono cristiana da ventisei anni, educatrice in parrocchia da dieci e da quasi un mese ho un baccalaureato in Teologia. Di persone con una fede diversa dalla mia ne ho incontrate molte in questi anni, eppure è stato necessario andare quasi dall’altra parte del mondo, in Thailandia [partecipando alla Summer School della Facoltà teologica del Triveneto, 10-24 luglio 2023], dove i cristiani sono lo 0,5% della popolazione, per smettere di dare per scontate alcune cose sul dialogo interreligioso e non solo. Prima tra tutte: la lingua. I missionari italiani, prima di iniziare il loro operato nelle missioni, dedicano due anni allo studio della lingua thai: l’inglese non è sufficiente, perché è una lingua straniera. Il dialogo non è solo comunicazione, non è un mero passaggio di informazioni, ma è il luogo in cui le vite delle persone si toccano e si confrontano, a partire da ciò che è più quotidiano e familiare, come la lingua. Imparare a salutare, ringraziare e pregare in thai è stato, per i missionari, importante sia per poter incontrare la gente e creare legami profondi e fecondi, sia per essere – per noi che in Thailandia siamo rimasti due settimane – degli ottimi mediatori permettendoci, così, di non considerare la lingua come un ostacolo. Mi sono resa conto, poi, che chi nasce e cresce nella fede cristiana spesso non riesce a rispondere alle domande sul motivo della loro appartenenza al cristianesimo. “Perché sei cristiano/a?”. “Per quale motivo credi in Gesù Cristo?”; domande semplici, ma sulle quali non siamo abituati a riflettere. Impegnati a mostrare la credibilità del cristianesimo agli altri, a volte ci dimentichiamo di chiederci il motivo per il quale esso è credibile per noi. È stato necessario andare quasi dall’altra parte del mondo e fare la domanda a una persona convertita, per avere una risposta autentica: sono cristiana perché Gesù mi ha insegnato a vedere le persone in modo diverso.
Lucia Fontana
Nella foto: Lucia Fontana con il cardinale di Bangkok.